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Paola Egonu ha ragione, l’Italia è razzista. E anche maschilista. Ma è così da sempre e dappertutto

Paola Egonu ha ragione, l’Italia è razzista. E anche maschilista. Ma se ne deve fare una ragione: non sono solo gli italiani a essere razzisti nello specifico con lei che è nera e alta due metri.

 

Lo sono quasi tutti gli esseri umani sotto tutte le latitudini e longitudini, da che mondo è mondo. E sono anche maschilisti, le donne in prima fila. Guardate cosa fanno patire alla povera Meloni Macron e Schultz. Quando all’Espresso fu nominato un direttore donna, a spingere per lo sciopero di protesta furono le donne.

Non mi sarei sentito spinto a scrivere di Paola Egonu e della sua comparsata al Festival di Sanremo se non avessi ricevuto all’alba di oggi un sms da un mio caro amico, gran bel giornalista, più anziano di me di qualche anno. Persona colta, i suoi articoli sono sempre molto equilibrati.

La sua reazione alle parole di Paola Egonu mi ha colpito. Ecco il suo sms.

“Caro Marco, credo che Blitz si debba occupare di Claudia Egonu la pallavolista italiana che è emigrata in Turchia per ragioni di cassetta. Guadagna un milione l’anno, in Italia ne prendeva cinquecentomila. Ebbene dopo essere diventata famosa nel nostro Paese ed aver indossato la maglia azzurra, ora si permette di dire che l’Italia è un paese razzista anche se sta migliorando. E’ andata a Sanremo e la sua partecipazione è costata per pochi minuti 25 mila euro, una somma che a molte famiglie serve per andare avanti un intero anno. Scusami lo sfogo”.

Raccolgo l’esportazione ma non per condividere lo sdegno. Anzi, condivido, non nel senso di internet ma nel senso che sono d’accordo con la Egonu. Posso aggiungere solo, ma non rileva, che il fatto che il festival della canzone italiana (italiana, non universale, e qui c’è già un tocco di razzismo) si faccia rampa di lancio di messaggi etici
moralistici social messianici sa un po’ di boy scout. Linus, che è il più intelligente di tutti e che io stimo e ammiro da più di 30 anni, come artista e come uomo, ha circoscritto benissimo l’argomento:

“A me non piace questa cosa cominciata con Fabio Fazio 20 anni fa, che poi è diventata obbligatoria, di portare l’attualità stretta dove si canta. I macro argomenti della nostra esistenza e civiltà non hanno bisogno di essere ospitati ovunque, se non per attirare attenzione. Il fatto che siamo qui a parlarne lo dimostra” .

A chi gli chiede se non “lo definirebbe il festival dei diritti”, Linus risponde:

Tolga una i, è il festival dei dritti. Questa è un’operazione fatta col righello, molto misurata, perfetta, dove funziona tutto”.

La storia del mondo è basata sulla sopraffazione di un gruppo minoritario su altri che già occupavano un territorio. A Roma sull’Aventino abitava una tribù di liguri. I romani, cioè latini e sabini amalgamati dagli etruschi, li sottomisero, espropriarono, deportarono, mantennero l’Aventino fuori della città per quasi mezzo millennio e ne fecero un simbolo di miseria e servitù. Gangs of New York è meglio di un libro di scuola per capire come le razze definiscano l’identità degli americani. Un professore nero è comunque un nero e i poliziotti gli sparano.

Il fatto che il primo ministro britannico sia figlio di immigrati indiani non è segno che gli inglesi non sono razzisti. A noi italiani ci chiamano “wog”, termine spregiativo sinonimo di negro. (Come ci chiamano gli adorati ucraini? Maccarono). Un primo ministro indiano e un governo infarcito di appartenenti a razze che una volta sarebbero state tenute fuori dalla buona società conferma la teoria che espongo tra poco. Sono tutti i ricchi. I loro genitori hanno tratto vantaggio dalla pigrizia dell’ex working class inglese, hanno fatto i soldi, li hanno mandati alle scuole giuste. Così i figli hanno potuto colmare il vuoto di una classe dirigente bianca ma inadeguata.

E poi, se ancora non siete convinti che il razzismo è universale, leggete la Bibbia e scoprite che per gli ebrei era peccato mortale sposare una donna di una altra razza. Così la razza è stata usata come sinonimo di classe, almeno fino a quando la crescita della economia di quella nazione o impero fu tale che anche gli inferiori, diventati ricchi, ebbero accesso al potere. Non come classe ma come numero crescente di individui. Questa è la leggenda americana (genocidio dei nativi a parte). Questo è quello che è successo in Italia dal 1860, con ritmo accelerato con la Repubblica. E è anche la leggenda di Paola Egonu.

Purtroppo democrazia libertà benessere non cancellano migliaia di anni di storia in cui tribù e gruppi etnici si sono interfacciati, disputandosi angoli di territorio. Penso alla rivalità fra Recco e Camogli, vicino a Genova. Ancora di recente ho sentito un cameriere a Recco dire di un collega: “E l’unico intelligente a Camogli”. E cosa sì dicono dietro i calabresi da una provincia all’altra? E in Puglia baresi contro leccesi e foggiani? Per non parlare dei friulani: provate a dirgli che sono veneti. E i triestini? Un po’ di anni fa al Gruppo Espresso si era pensato di fare un unico stabilimento di stampa per i due giornali Piccolo di Trieste e Messaggero Veneto di Udine (Friuli). La scelta logica e più che razionale era caduta su un terreno vicino al confine fra le due province ma in territorio friulano. Ne seguì una grave crisi identitaria, con dimissioni a catena dal cda aziendale. Non erano scaricatori del porto a darle, ma professionisti e anche un esponente di rilievo della sinistra triestina.

Chiudo col Piemonte. “A sud del Tanaro son tutti terroni” scherzava ma non troppo un mio amico torinese. “Non si affitta a meridionali “ era scritto su molti portoni di Torino negli anni del boom. Questo non era successo ai tempi della prima immigrazione, quella dal Veneto. Il Veneto, detto per inciso, è stato per anni la maggiore fonte di
cameriere per le famiglie benestanti italiane, ruolo oggi delle immigrate dal resto del mondo. “La veneziana che sta sempre sul balcone“ è nella canzone di Modugno (anni ‘50) dedicata alla cameriera tanto “bona”.

Oggi Torino è la più grande città pugliese d’Italia e a Torino si distinguono bene l’accento del vecchio centro da quello dei discendenti meridionali, ormai torinesi di fatto e di diritto. Egonu se ne faccia una ragione. La Rai non ci infligga tanto perbenismo. Ma, come dice Amadeus, basta non guardare la tv.

Alessandro Avico

Classe 1984, direttore responsabile di Blitz quotidiano dal 2022, lavoro per questa testata sin dalla sua fondazione. Prima come collaboratore, poi come redattore, caposervizio e vice direttore. Mi occupo principalmente di politica e di cronaca cercando sempre di fornire al lettore uno spunto diverso sulle notizie più importanti e curiose.

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