Sinistra: il fatto stesso che ci si interroghi su cosa significhi e cosa debba essere è un chiaro indice della confusione mentale da quelle parti.
Mi esprimo subito. Essere di sinistra per me vuol dire mettere le classi inferiori di crescere migliorare occupare le posizioni occupate dalle classi dominanti.
L’analisi marxista è valida sempre (altra cosa è stata la diagnosi, altra ancora la previsione…).
Così è stato, così sarà. Da che mondo fu mondo, fino al tempo della rivoluzione industriale, gli esseri umani si sono divisi in due categorie. La massa dei poveracci, con le sue suddivisioni fra campagna e città, fra mercanti artigiani e poveri poveri da una parte; i nobili e i pochi ricchi dall’altra.
Questi ultimi discendevano, nelle varie fasi della storia, da quegli invasori che si erano presentati al vostro campo o gregge dicendo: da oggi io sono il tuo nuovo padrone. Erano pochi ma ben armati e sapevano come farsi obbedire. Giulio Cesare conquistò la Francia con poche migliaia di uomini.
Così è stato per migliaia di anni. La rivoluzione industriale ha sconvolto le regole. I vecchi padroni, i nuovi padroni e i loro figli non bastavano più per governare il sistema.
Vi risparmio la storia recente perché credo la conosciate abbastanza. Mi limito a sottolineare alcuni dettagli.
C’è però un punto chiave che va precisato, perché intorno ad esso ruota l’equivoco della sinistra italiana e non solo.
La grande differenza fra la quasi eternità precedente la rivoluzione industriale e i tempi successivi, dall’800 in poi.
La differenza è che nel passato la proprietà era figlia di usurpazione e tramandata per eredità senza alcun titolo o merito. Oggi è frutto di lavoro e ingenio e merito. Ci sono affinità certo nelle logiche di sfruttamento della manodopera, ma le lotte dei lavoratori hanno profondamente modificato le condizioni. Nella mia quasi cinquantennale vita nei giornali di sfruttati non ne ho proprio visto.
Diversamente quindi si pone il problema della redistribuzione della ricchezza fra le due epoche. Nel caso della proprietà terriera del passato essa non poteva avvenire che intaccando la proprietà stessa.
Oggi lo stesso principio non vale perché la proprietà, frutto di lavoro e intelligenza, è innanzi tutto generatrice di ricchezza che si trasforma in benessere per le masse.
Così hanno fatto nel mondo occidentale, così ha fatto l’Italia a partire dalla riforma fiscale degli anni ’70, forse eccedendo nella crescita delle aliquote, dall’iniziale 30 per cento della aliquota marginale sul modello americano, all’attuale quaai 50 per cento.
Andare oltre, come vorrebbe la nuova sinistra, sarebbe forse un po’ rischioso. La nostra fortuna è che siamo ancorati alla parte più forte e sana del mondo, il sistema americano e, come cantava Giuseppe Marzari.
Nuove classi dirigenti si sono formate sostituendo la vecchia aristocrazia. Ogni paese ha seguito un suo percorso ma anche nel paese più classista e più razzista del mondo, la Gran Bretagna i vecchi padroni hanno dovuto allargare le maglie. Oggi hanno un primo ministro indiano, un sindaco di Londra pachistano, in Scozia, al posto di Maria Stuarda e del suo confidente italiano ora c’è un palestinese.
Proprio dall’Inghilterra è partita la metamorfosi di Tony Blair che ha voltato le spalle a Keynes e ha virato il socialismo in una forma di liberalismo, tagliando il cordone ombelicale col sindacato di cui era emanazione. Il successo del Labour di Keir Starmer in un paio di elezioni locali conferma che la sinistra vince al centro, senza terrorizzare i borghesi sul futuro delle loro piccole proprietà (il precedente leader, Jeremy Corbin minacciava le case di milioni di famiglie non proletarie).
Importata in Italia, la rivoluzione blairiana ha fatto sì che il vecchio Pci mutasse in Ds e Pd. Come in un film dell’orrore, i comunisti hanno assunto le sembianze dei socialisti, mantenendo il vizietto omicida, sterminandoi socialisti senza assumerne le ispirazioni. Anche da noi il cordone ombelicale col sindacato si è spezzato, capovolgendo il rapporto con Elly Schlein al punto che si parla di opa della Cgil sul Pd).
Al termine del processo, numeri e proporzioni fra le classi sociali oggi sono molto diversi dal passato ma alla fine la vecchia divisione è tornata a imporsi: da una parte la massa dall’altra le elites.
Una strada tentata dalla sinistra fu quella di abbattere le vecchie classi dominanti, appiattendo tutti. Tre quarti di secolo di socialismo più o meno reale nell’est europeo hanno avuto come apoteosi il 1989.
Un trentennio di più o meno socialismo in Italia ci hanno portato alla Meloni premier.
La rivoluzione americana ha funzionato meglio, agendo su due linee: la ricchezza e l’istruzione.
Un sistema di borse di studio ha trasformato masse di figli di immigrati in tecnici e professionisti che hanno costituito e costituiscono la struttura portante della società e della economia americane.
Credo fermamente che questa della formazione e educazione sia la strada che la sinistra deve seguire.
Dare ai figli dei poveri le stesse potenzialità dei figli dei ricchi: l’istruzione, il senso del dovere e la fede nel poter migliorare sono le leve.
Dei miei compagni di scuola, nei primi vent’anni dopo la guerra, i figli dei ricchi (o benestanti o borghesi come preferite) se la sono sempre cavata, per quanto asini fossero. La maggior parte dei figli dei poveri restavano poveri o finivano in carcere.
Per me stesso, oltre allo studio in cui nessuno mi ha aiutato, avere frequentato le famiglie dei miei compagni asinelli, per aiutarli nei compiti, mi ha aperto visioni e orizzonti più di una università.
Non che tutto si esaurisca in un corso di formazione. Dove sono andati gli effetti delle 150 ore mitizzate negli anni ‘70?
Lo sforzo di redistribuzione della ricchezza avviato negli anni ‘60 in Italia ci ha portato alla attuale condizione di diffuso benessere.
Ancora un dieci per cento di noi ne è escluso, dice l’Istat un po’ tanto politicizzato. Alla fine della guerra e della monarchia e all’inizio della Repubblica la proporzione era inversa.
Ora però forse le riserve da redistribuire sono esaurite o quasi. Così i partiti di sinistra Pd e M5S inventano battaglie come il salario minimo che non sembrano andare oltre lo slogan da voti. Uno si chiede: il Pd è stato dentro o attorno al governo negli ultimi 30 anni, perché non ci hanno pensato prima?
Mi dice un vecchio militante: la Schlein se ci pensi è stato un film dell’orrore: premarxista, pauperista, un po’ luddista, in un tempo virtuale si colloca prima della prima internazionale, e nel 2023 guida uno dei maggiori partiti della sinistra europea. Il salario minimo è una follia che porterebbe tutte le aziende in crisi a uscire dalle associazioni datoriali, disdettare i CCNL e applicare il salario minimo. Quale norma lo impedirebbe? Nessuna.
Più preoccupante ai fini del progresso dell’Italia e dei suoi cittadini più deboli, immigrati inclusi, è la strada dei diritti, affascinante, quasi evangelica sul piano della morale e del sentimento, ma gravida di rischi quando il sublime diritto fa svanire il più umile senso del dovere.
Il fenomeno non è esclusivo italiano ma da noi siamo al massimo.
Già una trentina d’anni fa un mio compianto amico vero puro e duro comunista mi confidò questa riflessione: Temo che il mio partito sia andato un po’ troppo in là con questa storia dei diritti.
Simbolo di questa pericolosa deriva appare oggi un libro appena uscito, Futura umanità. Storia della sinistra raccontata ai miei figli di Andrea Romano.
Il titolo del libro è piatto, quasi da cronaca. Allarmante è però il titolo con cui lo presenta Repubblica, porta bandiera dei diritti: Sinistra è tutelare i diritti. Tutti.
C’è tanta Schlein in questo. Almeno Conte e i suoi grillini vanno al sodo: il reddito di cittadinanza è il sogno di tanti di noi, vivere senza dover lavorare.
Inseguendo i voti di minoranze rumorose dov’è andrà il fu Pci? Farà la fine degli omologhi inglese e francese?
Certa è una cosa: continuerà a regalare voti a Lega e post fascisti. In fondo i loro progenitori erano comunisti vestiti di nero.