ROMA – Disinnescare la bomba, altrimenti esplode in faccia a tutti i governi d’Europa. Disinnescare quei neri di pelle che vagano tra coste, stazioni, confini. Altrimenti è paura, rabbia e rivolta elettorale. Disinnescare la bomba dei migranti è l’imperativo urgente. Ed è stato chiamato un artificiere che si chiama setaccio. Deve dividere, separare chi resta in Europa e chi viene ricacciato indietro: rifugiati sì, clandestini via. Solo che l’artificiere rischia grosso di fare cilecca.
Il primo punto è che i migranti sono troppi. E che siano numericamente troppi o lo siano solo nella percezione dei cittadini europei è un dettaglio che non sposta. Il secondo punto è che in Europa, per una serie di motivi soprattutto politici, i migranti non li vuole nessuno. Non li vogliono Italia e Grecia che pure della prima accoglienza si fanno carico (con tutte le difficoltà del caso) e davanti all’aumentata pressione alla frontiera fanno entrare sperando che quello dei migranti sia solo un transito verso il nord. Ma i migranti non li vogliono neppure gli altri. Non li vogliono i francesi, basta vedere cosa è successo in questi giorni a Ventimiglia.
Non li vogliono gli austriaci che da qualche settimana controllano i treni con uno zelo eccessivo persino per i tedeschi. Non li vogliono gli inglesi, che finché si tratta di metterci le navi non c’è problema, purché sia solo per prenderli dai barconi e scaricarli sulla terraferma più vicina. Non li vogliono tutti i paesi dell’europa centrale, che da subito hanno detto e fatto in modo che la proposta della divisione in quote rimanesse soltanto a livello di parole. E che il problema rimanesse sulle spalle dei paesi di frontiera. Quanto ai paesi del ex Europa dell’Est i migranti neri di pelle non li vogliono vedere neanche dipinti.
Ma non è tutto così facile. Prima di tutto perché i migranti, pur avendo in comune la disperazione di chi lascia tutto e rischia la pelle su un barcone, a livello di diritto non sono tutti uguali. Ci sono quelli che scappano dalla povertà, chiamiamoli immigrati economici, che una volta arrivati in Europa, non avendo diritto all’asilo politico diventano giocoforza clandestini. E poi ci sono i profughi. Quelli che scappano dalla guerra e dalle persecuzioni. Un esempio su tutti: i siriani. Loro hanno diritto di scappare e l’Europa ha il dovere di accogliere. Diritti e doveri sanciti da leggi internazionali e anche da una sorta di legge di sopravvivenza: chi scappa da una guerra deve poter trovare asilo, può capitare a tutti nella storia dover fuggire da una guerra.
Da qui, da questa distinzione profughi-clandestini, nasce la proposta di Francia e Germania. Quella di setacciare i migranti a casa nostra (cioè in Italia e Grecia), dividerli in rifugiati e clandestini, dividersi poi tra paesi i rifugiati politici e rispedire in patria, in Africa o dove sia, i migranti economici. Proposta che affascina un po’ tutti, anche se ciascuno la declina a modo suo. Il problema dei problemi è che il primo passo, il setaccio dei migranti tra chi viene fatto restare e chi viene ricacciato indietro è una di quelle cose che, tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare.
Dicono Francia e Germania che loro danno tutto il supporto in uomini e mezzi per classificare e assistere i migranti che arrivano sulle nostre coste. E si dicono pronti a prendersi i profughi. Sembra un atto di generosità e invece è semplicemente dovere stabilito dai trattati internazionali. La risposta è debole e obbedisce a due istanze antitetiche: far vedere a Italia e Grecia che l’Europa esiste e fa qualcosa, far vedere ai propri cittadini che non ci si apre alla “invasione degli uomini neri”. Il problema è prima di tutto politico: in Francia si chiama Le Pen, in Italia Salvini. Ovunque si chiama destra estrema e fondamentalmente xenofoba. Destra che ammonticchia voti ogni volta che una stazione diventa un improvvisato rifugio di immigrati. E con cui tutti i paesi europei devono fare i conti. Ma quello che Francia e Germania propongono, semplicemente non si può fare. Per almeno cinque motivi.
E ormai non è solo destra: se un sindaco come Pisapia di Milano dice basta agli arrivi in città, se sugli accampati in diaspora per il paese il Pd ci perde un bel pezzo di elezioni, se “riluttanti” all’accoglienza risultano presso il Viminale un centinaio di sindaci Pd…Allora alleggerire la pressione, farne sparire qualcuno, rimandare indietro qualcuno diventa una priorità, un bisogno. Col rischio di sconfinare nel sogno. Perché, appunto, quei cinque ostacoli.
Uno. Quando i migranti arrivano sui barconi arrivano tutti insieme. Profughi e immigrati economici. E non si può certo distinguere in sede di primo soccorso. E allora si portano in Sicilia o in Grecia. Se ne portano così tanti (la stima per l’anno in corso è di circa 300mila) che per accoglierli decentemente servirebbe la Sicilia tutta. Sicilia che, però, da qualche migliaio di anni è già abitata.
Due. Per distinguere profughi da clandestini bisogna prima identificarli. Molti migranti lo sanno. E non portano documenti, anche perché non vogliono essere identificati in Italia altrimenti rischiano, se poi ce la fanno ad andare altrove in Europa, di essere rispediti in Italia.
Tre. Ed è il problema dei problemi, quello etico-politico. Per dividere profughi da clandestini devi in qualche modo imprigionare i migranti. Puoi chiamarli Cie. E puoi assicurare che non siano lager anche se in qualche modo li ricordano. Ma resta un enorme problema: quello della detenzione di massa di persone colpevoli di nulla. Senza dimenticare un problema logistico. Che la Ue ha gioco facile a dire: “Sì al carcere”. Ma quale paese ha carceri per 200mila persone? Non l’Italia, tutto sommato per fortuna. E allora restano le immagini degli ultimi mesi: Lampedusa al collasso, immigrati come fantasmi che dormono coperti alla bene e meglio sugli scogli di Ventimiglia oppure fuori e dentro le stazioni di Roma e Milano.
Quattro. Una volta identificati (ammesso e non concesso che si riesca a farlo in tempi ragionevoli) bisogna provvedere a rimpatriare i clandestini. Solo che spesso e volentieri i paesi da cui sono partiti offrono collaborazione logistica ed economica zero: non li rivogliono. Sono scappati, fatti loro. E nostri.
Cinque. Per rimpatriare materialmente un clandestino servono un paio di poliziotti che lo accompagnino in aereo. Quindi bisogna trovare e pagare due poliziotti, un volo di andata per tre e un volo di ritorno per due. Ripetere questa operazione per 2oomila e passa volte l’anno e fare di conto. E’ insostenibile. Ed è complicato anche trovare i poliziotti.
Dunque separare davvero chi ha diritto ad essere accolto e chi no e farlo in tempi rapidi e con efficienza e giustizia è una favola bella che non sta in cielo né in terra. Si può fare all’ingrosso, con una specie di decimazione al contrario: uno dentro, nove fuori. Si può fare all’italiana o alla greca: una volta entrati, ce li si perde sperando che vadano oltre confine. Si può fare alla francese: frontiera aperta, siamo europei, tranne per chi ha la pelle nera. O alla tedesca: li prendiamo, lì li prendono davvero in casa, purché in regola e purché in regola li abbiano messi italiani, greci, francesi…figurati. Si può fare alla Lituana, alla baltica e ungherese: manco morti. Si può fare con quattro/cinque campi di detenzione da 30 mila l’uno più o meno (il dibattito è se tutti in Italia e Grecia o anche qualcuno nell’altra Europa). Si può fare con l’esercito in armi fuori di questi campi/carceri setaccio. Cioè non si può fare davvero e fino in fondo. Si può far finta di farlo, questo sì. Perché a farlo davvero sarebbe più facile perfino andarli ad affondare in Libia i barconi.