Carcere e carcerazione preventiva in democrazia. Quando un opinionista affronta argomenti di vasta portata come i rapporti tra cittadino e potere, per dare prova d’onestà intellettuale deve fare in modo che la sua interpretazione dei fatti non appaia faziosa o manipolatrice.
La prova della mia indipendenza deriva dall’età: ho vissuto infinite esperienze in materia economica in Italia e all’estero, nel pubblico e nel privato, credo
- che l’unica salvezza di un piccolo paese come il nostro sia l’eliminazione delle Regioni,
- che l’immigrazione incontrollata sia uno strumento di guerra,
- che i paesi teocratici siano il cancro del mondo,
- che i partiti che predicano la morale siano una iattura,
- che il giurista deve porsi al servizio dello stratega politico e non viceversa,
- che la giustizia, durante il fascismo e nel successivo periodo repubblicano, si è sempre posta al servizio di regimi o interessi e per questo ha perso la sua indipendenza,
- che non esiste partito libero e democratico nel nostro paese.
Carcere preventivo e Mani pulite
Penso quindi di avere le credenziali per discutere della carcerazione preventiva con distacco e pragmatismo.
Il dibattito sulla liceità della carcerazione nel corso delle indagini si è svolto da tempo all’interno della stessa Magistratura.
Nel 1996, il procuratore capo di Roma, il dott. Coiro, aveva condannato gli abusi della carcerazione preventiva, auspicando che quanto prima “venga recuperato lo Stato di diritto”.
Il capo del pool di “Mani pulite” aveva invece affermato: “nessuno di noi si scandalizza del fatto che la previsione del carcere sia considerata un deterrente dal potenziale delinquente; non vedo allora perché ci si debba scandalizzare del fatto che la restrizione della libertà durante le indagini possa costituire un incentivo a fare ammenda dei propri peccati. Che una persona colpita da provvedimento restrittivo pensi che, confessando, può guadagnarsi anticipatamente la libertà, mi sembra nell’ordine delle cose”.
L’entità della pena come “deterrente”, la “collaborazione con la giustizia”, la “confessione dei propri peccati per ottenere la libertà”, sono sempre state le parole chiave esplicitate senza tanti giri di parole dal “partito giustizialista”.
Sul principio che le pene elevate possano diminuire la propensione a delinquere si discute da millenni.
Dracone e le pene
Quando si domandava a Dracone perché egli avesse previsto nel suo codice la pena di morte per il furto di una pecora e per un omicidio, così rispondeva: “non è colpa mia se non posso stabilire una sanzione superiore alla pena capitale”.
Nessuna autorità può reggersi soltanto sulla forza; il periodo della massima corruzione nella vita inglese (il XVI secolo) coincide con il più alto rigore delle leggi che prevedevano la pena di morte per il furto di una somma superiore alla sterlina.
Tale situazione aumentava a dismisura il potere dei giudici definiti come “degli animali che, per mezza dozzina di polli, violano una dozzina di leggi”. Non si può punire con il taglio della mano gli artigiani o i commercianti che si rifiutano di rilasciare lo scontrino fiscale.
Con il tempo si deve formare un sentimento di obbedienza spontanea alle norme, una “coscienza del cittadino” che dia luogo alla cooperazione dell’individuo con il sistema più vasto di cui fa parte. Questo livello di civiltà non è stato mai raggiunto in Italia.
I grandi inquisitori religiosi che dovevano convincere l’infedele a confessare i propri peccati, si basavano su un’imputazione chiara: ad esempio, chi non ammetteva la verginità della Madonna doveva essere bruciato vivo.
Gli imprenditori e i politici ai tempi di Mani pulite erano invece inquisiti dai Pm sulla base di un’ipotesi di reato che non era affatto chiara.
Di Pietro e il carcere
Come ha dichiarato Di Pietro in una recente intervista, gli arresti e il carcere di quel periodo si dovevano al falso in bilancio all’italiana, un reato che, in quei termini, non esisteva nel nostro ordinamento e in nessuna parte del mondo.
Nessun professionista, uomo politico o delle istituzioni, principiante del diritto che avesse almeno letto Beccaria, all’epoca aveva replicato.
Gli avvocati “collaborazionisti” che convincevano i propri clienti a “denunciare presunti correi” per ottenere la scarcerazione, si erano arricchiti con parcelle da capogiro, si diceva, pagate rigorosamente in “nero”.
La vicenda Toti ha caratteristiche simili a quella milanese degli anni Novanta: la dubbia esistenza “giuridica” dei reati ipotizzati.
La legge consente l’arresto di Toti in relazione all’ipotesi di corruzione o di finanziamento illecito ma nessun giudice condannerà Toti per avere ricevuto contributi di poche migliaia di euro dichiarati ai sensi di legge.
La stessa motivazione dell’arresto basata sul rischio di inquinamento delle prove o di reiterazione del reato, rispetto a finanziamenti elettorali dichiarati alla luce del sole, appare debole.
I magistrati che gestiscono la vicenda Toti sembrano increduli nel constatare che il Governatore preferisca stare ai domiciliari, non si dimetta, si professi innocente, non chiami in causa altri soggetti e affermi che la politica non deve assoggettarsi alla magistratura, contestando in tal modo la maestà della legge rappresentata dai Pm.
L’unica raccomandazione che si può fare è quella di evitare gli arresti in presenza di un quadro giuridico poco chiaro o in via di formazione.
Vediamo su cosa si basa la cultura giuridica ed economica della più grande democrazia mondiale, quella USA.
Il caso americano
L’americano medio pretende per sé il frutto del proprio lavoro, ritiene che il disoccupato sia tale per scelta e considera un peccato mortale la “pigrizia” di parte della popolazione.
Il guadagno economico è esibito come fattore di successo. Gli americani pensano che il governo non abbia altro fine che il mantenimento della proprietà e che il comunismo debba essere combattuto in ogni modo dentro e fuori il paese.
Ogni cittadino ha il diritto di comprarsi un’arma per tutelare la casa, la famiglia e il patrimonio.
La campagna di Trump è basata sulla promessa di difendere le imprese dal globalismo, in nome dell’”America firsrt”. L’imputato può uscire su cauzione e attendere il processo in libertà.
I Pm sono funzionari eletti per la maggior parte dai cittadini e se hanno avuto molti flop non sono rieletti.
Un imprenditore non perde l’onorabilità in caso di reiterati fallimenti e può aspirare a diventare presidente.
La Corte Suprema è nominata dalla politica e chi la controlla può uscire indenne da processi che avrebbero stroncato dieci Berlusconi.
Gli studi più accreditati di avvocati sono pagati milioni di dollari per difendere i colletti bianchi o le famiglie mafiose. I fondi raccolti servono per comprare grandi pacchetti di voti nelle fabbriche, negli agglomerati urbani, nelle Chiese. Un enorme voto di scambio documentato con regolare ricevuta.
Possiamo certo criticare quel sistema, ma possiamo concludere che in America non esiste democrazia? Possiamo ritenere che la Riforma Nordio sia illiberale perché stabilisce la divisione delle carriere e alcuni profili di responsabilità dei magistrati?