Italia: Repubblica “aristocratica”? Mazzette, ma senza democrazia né elezioni

di Carlo Luna
Pubblicato il 4 Ottobre 2012 - 06:23 OLTRE 6 MESI FA

 

Quella italiana è ancora “una Repubblica democratica fondata sul lavoro” come dice il primo comma dell’articolo 1 della Costituzione? La “sovranità” appartiene ancora al “popolo” come recita il comma successivo? Fino ad ora, chi faceva domande di questo tipo era accusato di qualunquismo, perché sicuramente, con i suoi alti e bassi, la nostra Repubblica è stata sostanzialmente “democratica” e la sovranità è stata esercitata dal popolo attraverso legittime e regolari consultazioni elettorali. Tuttavia, nella nuova fase politica che stiamo vivendo le due domande poste all’inizio, non hanno più una risposta tanto scontata. Anzi meritano un’attenta riflessione.

Dal novembre scorso il Governo del nostro Paese è affidato a illustri personaggi che non hanno ottenuto alle elezioni del 2008 nemmeno un voto, perché non si sono presentati. Sono guidati da un professore illustrissimo e assai stimato in Europa e nel mondo, nominato, ancor prima di diventare Presidente del Consiglio, senatore a vita. Il tutto è avvenuto – va detto subito – nel più rigoroso rispetto della Costituzione, perché il Governo tecnico ha ottenuto in Parlamento una larga maggioranza che ha singolarmente visto assieme schieramenti fino a poco prima duramente contrapposti.

Il primo errore l’hanno compiuto proprio i partiti dell’attuale maggioranza. Quelli che prima erano all’opposizione si sono limitati a festeggiare rumorosamente la caduta di Berlusconi, mentre quest’ultimo ha avuto l’assai magra consolazione di aver evitato le elezioni, che molto probabilmente avrebbero aperto la strada ad un governo guidato dalla sinistra. Non sono andati oltre. Nessuno dei contendenti in tregua d’armi si è fermato a riflettere sul valore vero e profondo della nascita del Governo presieduto da Monti. Nessuno ha preso atto, cioè, che aldilà delle chiacchiere e delle giaculatorie sul “senso di responsabilità” che le forze politiche avrebbero dimostrato, la nascita del Governo tecnico ha significato una grande sconfitta complessiva della classe politica tutta.

Nei fatti, i partiti politici italiani hanno ammesso di non essere in grado di governare e l’hanno deciso non in un momento qualsiasi ma nel pieno di una crisi economica pesante e, soprattutto, globale. La Grecia e la Spagna, che sono messe economicamente anche peggio di noi, hanno governi politici, così come tutte le altre nazioni europee. Solo in Italia i partiti hanno aperto la strada a un Governo tecnico. Che altro doveva succedere per certificare la loro grande sconfitta?

Centrodestra e centrosinistra avrebbero dovuto approfittare del periodo di tregua per operare al loro interno un profondo rinnovamento, tagliare i rami secchi, espellere le mele marce, disegnare soprattutto strategie nuove e convincenti. Il loro compito era di ridare dignità e affidabilità alla politica, ma questo finora agli occhi della pubblica opinione non è avvenuto. Il PDL si sta liquefacendo in attesa delle decisioni di Berlusconi, nel PD è aperta la “caccia al rottamatore” Renzi, reo di voler cambiare un partito vecchio e impacciato. Poca roba.

La situazione è poi di molto peggiorata perché si è aggravata in modo esponenziale la questione morale. La gente si va pericolosamente convincendo che i partiti sarebbero tutti uguali, con la loro interno un’altissima percentuale di malfattori. Le cronache di questi giorni lo testimoniano; con un’impressionante abbondanza di particolari in alcuni casi sconcertanti, come le feste romane. Rispetto a Tangentopoli siamo caduti ancora più in basso: la mazzetta non viene più dal privato per essere destinata prevalentemente al proprio partito, ma si tratta di soldi pubblici arraffati per uso personale. Si va dalla “modica quantità” allo “spaccio” in grande stile.

Certo fa impressione (e desta pure qualche sospetto) che solo ora si venga a sapere che nelle Regioni i partiti, compresi quelli di opposizione, si concedevano soldi pubblici senza controlli e rendiconti. Lo stesso dicasi per le province sulle quali la magistratura ha aperto un secondo fronte di indagine. Sono coincidenze o c’è qualcos’altro? Per non parlare poi del tempestivo rinvio a giudizio di Penati, l’ex braccio destro di Bersani. La somma di tutti questi scandali e di quelli che magari seguiranno nei prossimi mesi potrebbe essere la conferma che l’attuale classe politica non è in grado di guidare il Paese e porta a dare una risposta meno sbrigativa alle domande che ho posto all’inizio.

Da “Repubblica democratica fondata sul lavoro” l’Italia è dunque destinata a diventare una “Repubblica aristocratica” fondata sul merito? Con un Governo composto da chi è più bravo e non da chi vince le elezioni? Viene inevitabilmente da pensare a una prospettiva del genere quando Monti, all’estero, fa capire, di essere disponibile per un secondo mandato e tre personaggi come Fini, Casini e Montezemolo, si mettono scompostamente a correre per catturarlo.

Repubblica “aristocratica” significa governo dei migliori, di quelli che si considerano o sono considerati tali. Il problema è stabilire chi è legittimato a concedere un titolo così importante e decisivo. Non va dimenticato però che istituzioni e organizzazioni alla cui base non c’è il consenso popolare esistono da sempre e sono piuttosto influenti. La più importante in Italia è la Chiesa cattolica, i cui milioni di fedeli non scelgono certo Vescovi, Cardinali e tantomeno il Papa. La più misteriosa è la massoneria dove si entra e si sale, così viene detto, solo per merito.

Ma una Repubblica “aristocratica” sarebbe un bene o un problema?