Moro, le rivelazioni di Luigi Zanda 43 anni dopo: il tormento di Cossiga per non averlo potuto salvare

Moro si poteva salvare? Cossiga fu tormentato fino alla fine. Parla Luigi Zanda, oggi senatore del PD, nel 1978 era portavoce e primo consigliere di Cossiga. Un testimone dei 55 giorni in posizione privilegiata. Andrea Colombo descrive, in un suo libro, le convulse, drammatiche, reazioni dei politici quando, il 16 marzo entrando a Montecitorio seppero del rapimento. “Zaccagnini  barcolla”, sorretto da Bodrato e De Mita.  Pietro Nenni “si accascia, colto da malore”. In Vaticano, vengono somministrati d’urgenza due cardiotonici a Papa Paolo VI.

Il 16 marzo Ugo La Malfa e Giorgio Almirante invocarono, in singolare sintonia, la pena di morte, mentre il Segretario della CGIL, Luciano Lama, annunciava lo sciopero generale. Sottolineando che il movimento sindacale voleva consegnare un messaggio “perentorio” al Governo. ”Nessuno si illuda di trattare per la vita di Moro, con cinque agenti rimasti uccisi”.

Decine di migliaia di persone raggiunsero Piazza San Giovanni, tradizionale luogo di incontro della folla comunista.

Ma quel giorno, accanto alle bandiere rosse c’erano anche quelle bianche dei democristiani. Lama rivelò alla folla che “In Italia non esistono prigionieri politici”. In questo modo, i sindacati costruirono un muro contro la trattativa. Lama aveva colllocato il primo mattone. In questo modo, quello che fu definito “infame ricatto “veniva respinto prima ancora che fosse proposto dalle BR.

Zanda, 43 anni dopo, ha dichiarato a Repubblica poche settimane fa, che i delitti politici sono maturati nel clima della guerra fredda (e questo lo sapevamo). Secondo lui si potrebbe far luce piena solo facendo aprire gli archivi dei servizi segreti di Stati Uniti, Unione Sovietica, Inghilterra, Francia, Germania, Bulgaria e Israele. Non mi sembra un obiettivo raggiungibile entro il millennio in corso…

Moro, Wojtyla, Berlinguer: il collegamento fra i tre attentati

Per il portavoce di Cossiga esiste un collegamento fra il delitto Moro, il ferimento di Papa Wojtyla e l’attentato in Bulgaria a Berlinguer del maggio del 1973.

La notizia del rapimento Zanda la seppe entrando al Viminale, quando lo mandò a chiamare Cossiga che gli disse. “Da questo momento dimenticati della mia vita politica, perché politicamente sono finito”. Poi gli affidò la lettera di dimissioni da conservare in cassaforte: «Può aver fatto errori, dice adesso Zanda, ma ha fatto tutto quel che poteva per liberare Moro”. Affermazione che appare a molti, me compreso, imprudente.

Subito dopo una considerazione di rilievo quando dice: “Cossiga era stato tra i sostenitori più convinti della linea della fermezza, ma non sono sicuro che nella parte finale della sua vita lo fosse ancora. Era preso dal rimorso di essere stato il responsabile della morte di Moro, lo tormentava l’idea che si sarebbe potuto salvare”.

Troppo tardi per salvare Aldo Moro

Si arriva a un altro punto dolente che Zanda affronta sostenendo una sorta di mancanza di prove. La presenza al Viminale in qualità di esperto, dello spione americano Steve Piezenik nel comitato voluto da Cossiga che indagava sul rapimento del Presidente democristiano.  Costui aveva detto in TV: “Fino alla fine ho avuto paura che liberassero Moro”. A Zanda non sembra “verosimile” che Piezenik prendesse parte “a un piano criminale della Cia e poi abbia avuto l’ingenuità di rivelarlo pubblicamente”.

Zanda parla anche del comitato di difesa istituito da Cossiga cui parteciparono molti uomini della loggia P2 di Licio Gelli. Zanda risponde di non essere in grado di dare una spiegazione” e comunque si trattava di un comitato di “assoluta inutilità, una superfetazione immaginata da Cossiga”.

La difesa del senatore del PD riconosce che nelle indagini “furono fatti molti errori”. Ma subito dopo sostiene che fin dal momento del sequestro, “erano i brigatisti che avevano già deciso di uccidere Moro”. Le BR sarebbero state contrarie alle trattative e per boicottarle avevano reso pubblica, nonostante il parere contrario dello stesso Moro, la prima lettera inviata a Cossiga dalla “prigione del popolo”.

Questa affermazione appare tesa ad assolvere da ogni colpa i sostenitori della linea della fermezza, scaricando la responsabilità sulle sole BR. Come è arcinoto, la famiglia Moro è stata sempre tenacemente contraria a tutto questo. Ne parleremo nel prossimo articolo.

(Continua 5)

Clicca qui per il primo articolo della serie di Carlo Luna sul caso Moro

Qui per il secondo

Qui per il terzo

Qui per il quarto

 

Gestione cookie