Terrorismo, il rapimento di Aldo Moro e la classe politica italiana. Una tragica vicenda politica ancora lontana dalla verità.
Intervistato da Repubblica, Sergio Mattarella ha detto che sulla vicenda Moro “Ci sono ancora ombre, spazi oscuri, complicità, non pienamente chiarite”. E che questo desiderio di chiarezza “è anche un’esigenza fondamentale per la Repubblica. E il trascorrere del tempo non colloca quanto avvenuto tra gli eventi ormai esausti, consumati, da derubricare”.
Insomma permane il mistero. Ma, come dichiarò il Presidente Napolitano in occasione della Giornata della Memoria nel 2012 “non brancoliamo nel buio di un’Italia dei misteri.
Ci troviamo dinanzi a limiti da rimuovere e a problemi di giustizia e di verità ancora da risolvere” Non si tratta di una carenza di poco conto….Anzi.
Il Presidente della DC fu rapito il 16 marzo del 1978 e giustiziato il 9 maggio del 1978.Tutti i tentativi di chiarire in modo definitivo e condiviso quella tragedia figlia del terrorismo sono falliti, a cominciare dalle conclusioni della Commissione Parlamentare d’inchiesta.
Io lavoravo al quotidiano cattolico Avvenire, diretto da Angelo Narducci che mi aveva affidato la responsabilità della sezione politica del giornale. Passavo gran parte del tempo di lavoro nei palazzi del potere. Ecco quello che ricordo di quei giorni.
C’erano allora personaggi politici di altissimo livello, di ogni partito, dal MSI al PCI. Il 16 marzo del 1978 le Brigate Rosse sequestrarono Aldo Moro, dopo aver massacrato la scorta. Il mondo politico fu sconvolto. Moro doveva proporre alla Camera la fiducia al governo Andreotti, sostenuto per la prima volta dai comunisti.
La linea della fermezza contro il terrorismo
La classe politica si pronunciò, a larghissima maggioranza, per la “teoria della fermezza”. Contraria a qualsiasi tipo di negoziato con i terroristi.
Quasi tutti i giornali la sostennero a spada tratta. Unica eccezione il PSI di Craxi che voleva mettere in difficoltà il governo: c’erano non solo “falchi e colombe” ma anche avvoltoi.
Furono spacciate clamorose fake news come quella del Corriere della Sera (“Una vedova di Via Fani: mi do fuoco se trattate”). O l’altra di Montanelli che definì la signora Moro “una cavalla di razza”, attribuendole falsamente l’adesione alla fermezza.
Il TG1 ipotizzò che Moro fosse in preda della “sindrome di Stoccolma”, che vede il prigioniero solidale con i rapitori. Tutto falso. Le lettere del Presidente della DC non avevano affatto contenuti che potevano rendere credibile questa diagnosi.
Narducci su Avvenire propose, in sintonia con Papa Paolo VI, una lettura sofferta ma completamente diversa. Rispettosa del pensiero di Moro e favorevole al tentativo di salvarlo. La classe politica reagì negativamente e non cambiò nemmeno dopo il messaggio del Pontefice agli “uomini delle Brigate Rosse”. La vicenda si concluse nel peggiore dei modi e lascia ancora aperti numerosi, inquietanti interrogativi.
E’ passato quasi mezzo secolo e ancora quella divisione della classe politica non lascia il posto a una verità condivisa. Perché i fautori della fermezza sono tutt’ora in campo per nascondere la verità. In prima fila Carlo Nordio che ha scritto un editoriale francamente allucinante nel quale sottolinea che, la linea dura prevalse “come era ovvio e doveroso”. Perché “se lo Stato avesse ceduto, le Br avrebbero ottenuto un riconoscimento politico”.
Sulla risposta al terrorismo contraddizione insuperabile
Qui l’analisi dell’editorialista cade nel ridicolo e contiene una insuperabile contraddizione. Non si accorge che trattando con le Br per la liberazione del Generale USA, James Lee Dozer, lo Stato italiano nel 1982 dava ai terroristi quel “riconoscimento politico” che era stato a loro negato durante la vicenda Moro? Non solo ma anche la Camorra di Cutolo, che aveva partecipato al negoziato, otteneva lo stesso risultato.
Grazie a Dio c’è chi la pensa diversamente. Sempre su Repubblica un’intervista di grande rilievo nella quale l’ex segretario del PD, Valter Veltroni afferma che Moro fu sì ucciso dalle Br “ma qualcuno lavorò perché quello fosse l’esito”.
”Non bisogna essere dei dietrologi ma neanche dei fessi”. Nei 55 giorni della prigionia del Presidente della DC si creò “uno spazio “ nel quale si infilarono le grandi potenze politiche mondiali”, entrambe contrarie alla solidarietà nazionale. Gli USA non volevano i comunisti nel governo italiano; l’ URSS era contro la linea politica di Berlinguer che puntava allo sganciamento del PCI dal blocco sovietico. “E’ chiaro che Moro libero faceva più paura di Moro morto”.