ROMA . A Matteo Renzi continuano a piacere i neologismi. L’ultimo è annuncite. Sul dizionario non c’è.
“Leggo e sento dire che ne sarei sofferente…”
scherza il premier nella sala stampa di palazzo Chigi affollata per la grande occasione: l’avvio della campagna #millegiorni. Ovverosia la presentazione di un sito passodopopasso.italia.it “dove mi potrete giudicare per tutto quelle che realizziamo da qui a maggio 2017”.
Conto alla rovescia, quindi. Con un contatore in alto che ricorda i giorni che passano e una homepage suddivisa nei vari capitoli: a che punto è la riforma della giustizia, quella della pubblica amministrazione, l’andamento dell’occupazione con un +0,2 da febbraio a luglio 2014 certificato dall’Istat, piano scuola, il dimezzamento dei permessi sindacali con “un risparmio di 10 milioni” e via con tutti i provvedimenti messi in campo dal Renzi dream team a partire dal 22 febbraio, giorno dell’insediamento, quello là in cui arrivò al Senato mani in tasca e disse: “Spero di essere l’ultimo leader che chiede la fiducia in quest’aula”.
Al di là del count down un po’ ansiogeno – due finestre in alto, una accanto all’altra, a destra 0001, a sinistra 999, il totale farà sempre mille – si tratta certamente di una buona iniziativa. Utile per tenersi aggiornati nella babele dei percorsi parlamentari dei numerosi provvedimenti riformatori messi in campo da Matteo Renzi.
“Continueranno a darci degli arroganti ma noi l’Italia la cambiamo nonostante gufi, rosiconi e pantani”
promette Matteo Renzi tra il sottosegretario alla presidenza Graziano Del Rio diventato il responsabile dei fondi strutturali europei promettendo che saranno spesi tutti e bene; e tra il ministro Maria Elena Boschi, celestiale nell’abito e nell’aspetto.
Ora, al di là della scenografia – c’erano le slide seppure un po’ sbiadite -, quello andato in scena questo primo settembre è tutto un altro film rispetto a quello visto finora.
A voler essere benevoli, la fine dell’estate consegna un Matteo Renzi più moderato, meno esuberante, quasi sulla difensiva. Della serie che non si può spaccare il mondo, anche se lo meriterebbe, perché è più forte di te.
Di certo la fine dell’estate avvia la Fase 2 del governo Renzi. Gli indizi sono tanti. Nel lessico, ad esempio, dove il cauto “passo dopo passo” sostituisce il perentorio “una riforma al mese” e i drastici “o si fa così o salta tutto”.
Nei tempi, visto che il premier ha smesso di ventilare il voto anticipato (anche se non significa che possa comunque esserci a maggio 2015) e rinvia i giudizi a maggio 2017, quasi alla fine naturale di questa incredibile legislatura.
Si possono osservare mutazioni importanti anche nei modi: sebbene reduce dal successo europeo di aver ottenuto lo scranno di Lady Pesc per Federica Mogherini, ha evitato di sbandierare uno scontato “detto e fatto” ed ha anzi sorvolato mostrando una misura per la verità già vista nei giorni dello straordinario successo europeo.
Ma più di tutto è cambiato il contesto. E Renzi lo ha capito perfettamente.
Le elite industriali hanno annunciato un count down all’ex sindaco di Firenze. Prima Diego Della Valle che a luglio, in piena bagarre per la riforma del Senato se ne uscì con un appello a Napolitano:
“Presidente, la Costituzione è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall’ultimo arrivato seduto al bar con un gelato in mano”.
Poi i fondi del Corriere della Sera e del Sole 24 ore. Sergio Marchionne una settimana fa ha detto:
”Non ne posso più di vedere l’Italia rappresentata su barchette e con gelati in mano, occorre reagire, ripartire”.
Infine il numero uno di Confindustria Giorgio Squinzi che prima al metting di Cl e poi alla festa nazionale dell’Unità ha messo in fila due bocciature:
“Lo Sblocca Italia non ha la copertura” e “gli 80 euro non sono serviti”.
Alle parole vanno poi aggiunte cifre e percentuali di questi ultimi venti giorni: la deflazione, il pil a -0,2, i consumi a -2,6, la disoccupazione che aumenta con il grido di Bankitalia sul debito pubblico (2.138 miliardi) e di Confcommerco sulla pressione fiscale (al 44%).
Un quadro decisamente impegnativo. Non è colpa di Renzi, sia chiaro. Che però ha il torto – veniale – di aver sfoggiato un approccio troppo ottimistico. L’ottimismo serve, l’esser positivi e anche un po’ positivisti pure, ma tutto deve essere accompagnato, sempre, da realismo.
Ecco che da metà agosto il premier ha scelto il nuovo paternage di Mario Draghi e del presidente Giorgio Napolitano, due saggi. Ed ecco che da qualche giorno è tornato al suo fianco Graziano Delrio, il “fratello maggiore” e… due papi. Il risultato è passo dopo passo.
Poteva Renzi cambiare agenda? Accelerare sulle riforme che servono, fisco, lavoro, burocrazia? Molti lo aspettavano. Lui ha glissato. Magari lo farà. Stavolta, però, senza annunciarlo prima.