Ok, faccio coming out anch’io e lo annuncio urbi et orbi: non ne posso più dei coming out dei gay. È lo sfogo di Antonello Piroso su La Verità.
Ho da sempre un sovranissimo disinteresse per il sesso degli altri, adulti consenzienti.
Tutto il resto è noia. Ho già abbastanza problemi a gestire la mia, di sessualità, figuriamoci se posso perdere tempo ad occuparmi dell’autocertificazione in materia di gay, lesbiche, trans. E perfino degli etero.
Apprendere quindi che il pentastellato Vincenzo Spadafora ha confessato in tv di essere gay – “non esattamente un segreto di Stato”, così il sito Vigilanzatv.it– mi ha lasciato del tutto indifferente. Come gli ammiccamenti sulla tempistica dell’esternazione. In occasione della promozione di un suo libro. L’avesse fatta quando era sottosegretario alle Pari Opportunità nel primo governo di Giuseppe Conte, quello giallo-verde, forse sarebbe risultata più utile alla causa. Ma tant’è.
Io posso solo testimoniare che dopo le elezioni del 2018, una persona del mondo dello spettacolo che stavo intervistando per La Verità, registrando il colloquio, mi riferì sua sponte della sua amicizia con Spadafora.
“Ma ti prego di non scriverlo. Non tanto perché si potrebbe pensare a una mia liaison con lui. Ma perchè finirei per essere intruppato nei Spadafora boys, che sta facendo lavorare in Rai e altrove”. Ipotesi non campata in aria, visto che Striscialanotizia ha ora esortato l’ex ministro a fare coming out “anche su quante persone ha piazzato nella tv pubblica”.
Tecnicamente il mio interlocutore stava realizzando un outing, il rendere pubblico l’orientamento sessuale altrui senza -o contro- il consenso dell’interessato.
Consentito per me in un solo caso. Quando svela l’ipocrisia di chi -personaggio pubblico (in primis, i politici)- sbandiera la propria omofobia, o esibisce un virile machismo eterosessuale. E poi frequenta di nascosto disco o escort gay.
Altrimenti l’outing è un entrare a gamba tesa nella privacy degli altri.
Come fece Platinette. Sono un suo estimatore. 15 anni fa lo convinsi a venire in tv su La7 a Niente di personale come Maurizio Coruzzi, una testimonianza emozionante e commovente. Nel 2007 pubblicizzò in radio l’omosessualità di Tiziano Ferro.
Se ne occupò anche un ispirato passaggio di una canzone del neo paladino della causa Lgbt Fedez. “Mi interessa che Tiziano Ferro abbia fatto outing/Ora so che ha mangiato più würstel che crauti/Si era presentato in modo strano con Cristicchi/Ciao sono Tiziano, non è che me lo ficchi?”.
Alle accuse di omofobia, il rapper replicò: “Tutti cambiano idea nella vita, la canzone poi s’intitola Tutto il contrario. Scrivo tutto il contrario di quello che penso”. Frase che non suona come garanzia di coerenza e linearità, ma pazienza.
Spiegò Platinette: “Di Ferro lo sapevano tutti nell’ambiente. Ormai aveva i paparazzi alle calcagna che gli facevano la posta aspettandolo fuori dai locali gay, sono arrivati a offrire soldi perfino a me per tirargli una specie di trappola. A quel punto ho pensato che era meglio squarciare il velo del non detto”.
Peggio fece nel 2020 il Messaggero con un’intervista-interrogatorio a Fabio Canino (il cui coming out è di anni fa al Maurizio Costanzo Show. Quando raccontò di essere stato tradito dal suo fidanzato).
“Ma Rai 1 adesso è davvero Gay 1?”, “Ci sono tanti gay in Rai?”, fino all’incredibile: “Scusi, ma Alberto Matano è gay?”. “Non lo posso certo dire io” fu la fin troppo signorile risposta di Canino.
I boatos romani narrarono di rimostranze (di Matano? Di amici o sponsor di Matano?) a muso duro non al direttore del giornale. Ma direttamente all’editore Francesco Gaetano Caltagirone.
Intervenne lo stesso Matano: “Da giornalista ho provato vergogna. Non amo categorie, etichette e diffido da chi mette timbri sugli altri. Io non ho mai nascosto nulla. Quando e se ci sarà qualcosa di veramente importante sarò il primo a condividerlo con tutti”.
Il “quando” è arrivato ora, giusto una settimana prima delle esternazioni di Spadafora. “Una semplice coincidenza?” si è domandato maliziosamente il sito Dagospia, aggiungendo che l’uscita sincronizzata “sarebbe stata studiata a tavolino dai due amici per arrivare sui giornali quasi nello stesso momento e mettere a tacere i vari brusii che accompagnano da anni le loro carriere e le loro manovre”.
Bene. Tutto ciò ampiamente premesso, possiamo commentarlo con un sonoro, colossale e definitivo: “E chissenefrega!”?
1) Sbattere in faccia agli altri la propria sessualità sarà forse liberatorio per chi lo fa, ma non per me che giudico le persone per come si comportano, non per chi amano, non sopportando le ostentazioni e gli esibizionismi, di qualunque genere, da parte di chiunque.
2) Ti senti (il “tu” è generico e impersonale) “finalmente sollevato” per la tua pubblica epifania? Ottimo. Ma il cosiddetto movimento di liberazione sessuale è su piazza da decenni. Giuliano Ferrara affidò nel 2002 sul Foglio una rubrica dall’inequivocabile titolo Froci a Daniele Scalise. Fu autore di un delicato pamphlet Lettera di una padre omosessuale alla figlia. Ci sarebbe semmai da criticare, seguendo il tuo ragionamento, la tua tardiva presa di coscienza.
3) Hai deciso di fare un proclama per convincere gli altri a non nascondersi più? Be’, ma se ritieni sia una condizione drammatica non potevi pensarci un po’ prima a spezzare tali catene? E lo è: è angosciante dover celare la propria sessualità per paura di una qualsivoglia riprovazione, o peggio: violenza.
4) Ti rendi conto però che ribadendo la tua “diversità” contribuisci a avallare e perpetuare quella coazione a ripetere che si alimenta della “diversità” per emarginare e escludere?
5) Tanto più che magari tu sei un privilegiato, con una visibilità sulla ribalta mediatica che un giovane omosessuale – costretto a simulare quello che non è in una realtà culturalmente, socialmente, antropologicamente magari meno evoluta (al Nord come al Sud) – si può solo sognare.
Giovane gay tagliato fuori dai salotti, circoli, lobby e conventicole autoreferenziali. Che pertanto non solo non potrà contare di essere paracadutato in tv o in un ente. Ma neppure su plateali solidarietà e affettuose pacche sulle spalle.
Perchè poi alla fine, come sempre, ovunque e comunque, la vera diversità è quella che deriva dallo status socio-economico: “Il povero ha un odore diverso dal ricco”.
Parola non di Patrick Süskind, autore dell’acclamato romanzo Il profumo, ma di Rocco Casalino.
- da La Verità