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Comune di Roma capitale (sotto tutela del Tesoro): manovra da 271 milioni

di Marco Benedetto |26 Febbraio 2020 10:09

All’indomani della presa del Comune di Roma, la nuova amministrazione di centrodestra, che subentrava ad un lungo periodo di governo di centrosinistra (14 anni), denunciò l’eredità di un debito insostenibile.

Un caso analogo, a parti invertite, si era verificato qualche anno prima alla Regione Lazio, nella sanità. L’analisi delle differenze tra le due situazioni, che sono profonde, ci porterebbe lontano, ma un punto merita di essere evidenziato. Mentre alla Regione Lazio è stata fatta una scelta di continuità amministrativa, assumendo il debito esistente e cercando, con l’aiuto del governo nazionale, le forme migliori per onorarlo e evitare che se ne formasse di nuovo, al Comune di Roma si è scelta, anche qui con il supporto governativo, la strada della gestione separata.

Nel primo decreto-legge finanziario del governo Berlusconi (112/2008), viene infatti riservato un intero articolo alle “misure urgenti per Roma capitale”. Il sindaco viene nominato “commissario straordinario” ed assume, in un “bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte alla data del 28 aprile 2008”. Un prima, che viene congelato. E un dopo, che riparte da zero.

Il tempo trascorso da quella data (quasi tre anni) ha mostrato, tra le innumerevoli difficoltà, anche oggettive, di governo della Capitale, un inconveniente evidente ed evitabile, sotto il profilo tecnico, fin dall’inizio sta proprio nella difficoltà pratica di interrompere la continuità amministrativa. La separazione crea infatti un intricato intreccio tra le due gestioni che vantano crediti e debiti l’una con l’altra e fa emergere contenzioso amministrativo tra l’amministrazione comunale e i creditori.

Sotto il profilo metodologico inoltre la scelta effettuata non appare generalizzabile. In ogni ente territoriale soggetto ad alternanza il vincitore del confronto elettorale sarebbe indotto ad adottare una strategia elusiva non facendosi carico degli effetti amministrativi delle azioni del predecessore, con riflessi negativi sui rapporti giuridici consolidati (per esempio i creditori). Ogni ente diverrebbe un caso, bisognoso di continui interventi normativi del legislatore nazionale, come dimostra il caso romano. Anche perché le norme per la separazione sono mutuate da quelle del dissesto e il regime che regola questa fattispecie appare altamente inadeguato al processo di devoluzione di funzioni sempre maggiori agli enti territoriali. Può essere una valida norma di chiusura dell’ordinamento, per responsabilizzare il decisore politico ad una corretta gestione ordinaria della finanza comunale. Ma non è adatto per gestire una situazione prolungata nel tempo.

Nel caso di squilibrio strutturale, che rende problematico l’adempimento di una funzione fondamentale, andrebbe invece previsto un sistema di regole che, con progressività, induca l’ente inadempiente a rientrare nella normalità, stimolandolo, con aiuti e sanzioni adeguate, e limitando temporaneamente la sua sfera di autonomia, fino al superamento della crisi.

Lo schema è quello dei piani di rientro per i disavanzi strutturali della sanità che, da ultimo, la legge finanziaria per il 2010 ha esteso anche agli inadempimenti delle regioni diversi dai disavanzi sanitari. Si potrebbero mutuare da quella disciplina alcune disposizioni anche per gli altri enti territoriali. In questo modo si potrebbe superare la distinzione tra gestione ordinaria e straordinaria; redigere un piano di rientro (triennale a scorrimento); individuare un sistema di monitoraggio periodico; e condizionare il finanziamento alla attuazione del piano. Una ipotesi interessante che, a regime, potrebbe essere integrata con la definizione di un sistema di sanzioni progressive (tra cui l’incremento automatico delle imposte locali), nonché il commissariamento, da modulare per ambiti di attività, onde evitare di travolgere l’intera sfera di azione dell’ente locale.

Più coerente sotto il profilo finanziario sarebbe stato inoltre, mantenendo l’unità amministrativa, rifinanziare la legge per Roma Capitale (396/1990), come era stato fatto, attraverso la legge finanziaria. Fino al 2007 (Governo Prodi), anno in cui erano stati stanziati circa 600 milioni di euro (212 milioni di euro per ciascun anno 2007 e 2008 e 170 milioni di euro per il 2009), ciò era avvenuto. Sarebbe stato più coerente proseguire su questa strada, tenendo conto del decreto di attuazione della legge sul federalismo fiscale relativo a Roma capitale.

Per comprendere l’inefficacia della procedura di separazione attuata nel Comune di Roma è utile ricostruire i passaggi principali della vicenda.

Al momento del suo insediamento, il 28 aprile 2008, la nuova giunta ha ritenuto, come si è detto, che l’ammontare dell’indebitamento sommato al disequilibrio finanziario dovuto alla mancanza di liquidità non erano più sostenibili . La risposta del Governo, interessato della questione, è stata quella, attraverso l’art. 78 del decreto legge n.112/2008, di nominare il sindaco commissario straordinario per “la ricognizione della situazione economico-finanziaria del comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati, e per la predisposizione ed attuazione di un piano di rientro dall’indebitamento pregresso” e di separare la gestione antecedente l’insediamento della nuova giunta da quella successiva.

Il piano di rientro è stato elaborato e consegnato a fine settembre 2008. In esso si evidenzia un debito totale di 8 miliardi e 646 milioni di euro, composto da 6 miliardi e 980 milioni di debito strutturale e da un miliardo e 816 milioni del cosiddetto extra debito (dovuto al costo delle ricapitalizzazioni, ai contenziosi [70.000 pratiche oltre i 50.000 euro presso l’avvocatura] e ai crediti vantati dalle aziende partecipate nei confronti del comune). Il piano di rientro prevede un recupero di 200 milioni di euro l’anno (da realizzare con tre strumenti: blocco delle assunzioni e rallentamento del turn-over, semplificazione della Holding Comune di Roma, e recupero della fiscalità).

Il debito era stato in prima battuta quantificato in 9,5 miliardi, proprio per effetto della confusione indotta dalla separazione delle gestioni. Nel distinguere per il 2008 i costi, di gestione e di investimento, caricati nella gestione commissariale, dalle entrate, che invece si facevano affluire alla gestione ordinaria si causava uno sbilancio tra le due gestioni di 924,6 milioni di euro che, da una parte gravava la prima, portando il debito da 8,6 a 9,5 miliardi e dall’altra, migliorava la seconda, consentendo al consiglio comunale di approvare il bilancio 2008 con un avanzo di 699,5 milioni. La definizione dell’ammontare del debito comunale continua a presentare forti margini di incertezza. Il commissario governativo nominato nella primavera del 2010 (che ha sostituito il sindaco nella gestione straordinaria) ha effettuato una ulteriore ricognizione (al 10 luglio 2010) della massa attiva e passiva rettificando il valore determinato con il piano di rientro. La nuova massa passiva è stata fissata in 12,238 miliardi di euro; di cui 4,110 miliardi di disavanzo “commerciale” verso fornitori e 8,128 miliardi di disavanzo “da indebitamento” (mutui). Le partite dell’extradebito precedentemente individuate sono state integrate con nuove voci che attengono al mancato pagamento delle procedure di esproprio (1,6 miliardi) ed a linee di credito aperte con le banche per progetti esecutivi (le rate della metropolitana, per 1,1 miliardi). Il decreto mille 225/2010 (mille proroghe) prevede una ulteriore ricognizione, si spera definitiva, della massa passiva.

Il carattere aleatorio di queste partite della massa passiva risentono della debolezza delle convenzioni che presidiano la contabilità degli enti pubblici e che, se da un lato favoriscono l’approccio elusivo del decisore, dall’altro scontano una debolezza strutturale delle articolazioni amministrative locali. In alcuni casi le criticità sono evidenti: la complessità delle procedure di esproprio, che restano aperte per decenni, le migliaia di contenziosi, gestiti con approccio burocratico, le metodologie di contabilizzazione tra le aziende in house e l’ente territoriale, non supportate da adeguati strumenti per il controllo della gestione.

Il Governo, con DPCM del 5 dicembre 2008 ha approvato il piano di rientro proposto per far fronte allo squilibrio finanziario del Comune di Roma, definendo in tal modo un quadro di riferimento finanziario.

Per le risorse necessarie, nelle more dell’approvazione del piano di rientro, il citato decreto 112/2008 (comma 8 dell’articolo 78) aveva autorizzato la Cassa Depositi e Prestiti a concedere al Comune di Roma una anticipazione di 500 milioni di euro per il 2008, al fine di superare la grave situazione di mancanza di liquidità che il comune si trovava ad affrontare. Successivamente, il D.L. n. 154/2008 (articolo 5, comma 3), ha previsto per le medesime finalità l’attribuzione al Comune di Roma di un analogo contributo di 500 milioni di euro anche per l’anno 2009, a valere sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate.

Il medesimo comma 3, ultimo periodo, ha altresì disposto, ai fini del rifinanziamento annuale del piano di rientro, che a decorrere dall’anno 2010, in sede di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, venisse riservato prioritariamente a favore di Roma Capitale un contributo annuale di 500 milioni di euro nell’ambito delle risorse disponibili. Ma questa disposizione aveva un carattere programmatico e necessitava quindi di specifica copertura finanziaria.

Ciò ha determinato uno stallo nella attuazione del piano, che ha favorito lo svilupparsi di azioni giudiziarie di natura amministrativa, attivate dai creditori del comune, che hanno visto il Consiglio di Stato e il TAR del Lazio pronunciarsi sullo sdoppiamento della contabilità del comune, che “non rende in alcun modo dubbia l’individuabilità della parte debitrice dell’ente locale” con la conseguenza di dare esecuzione alle sentenze oggetto del giudizio di ottemperanza entro il termine di 60 giorni. Gli organi di giustizia amministrativa hanno in sostanza ribadito il principio di continuità, che non può essere messo in discussione dalla separazione delle gestioni contabili.

L’incertezza finanziaria ha complicato anche il processo di approvazione del bilancio comunale (rendiconto 2009 e previsioni 2010).

L’avanzo di amministrazione contabilizzato del rendiconto dell’anno 2008 pari a 699,5 milioni di euro non aveva reale consistenza in quanto determinato dalla iscrizione in bilancio del credito della gestione ordinaria nei confronti di quella commissariale per 1,9 miliardi che, oltre ad essere stato, come si è detto, erroneamente calcolato, presentava problemi di esigibilità, non avendo la gestione commissariale adeguata liquidità.

Per l’anno 2010, la legge finanziaria (articolo 2, comma 195) ha attribuito al Commissario straordinario del Governo (ancora il sindaco) un contributo pari a complessivi 500 milioni di euro, attraverso assegnazione di quote dei fondi comuni di investimento immobiliari costituiti ai sensi del comma 1 dell’ articolo 314 del codice dell’ordinamento militare (D. Lgs. n. 66/2010) ovvero attraverso i proventi realizzati con i trasferimenti degli immobili stessi ai fondi comuni.

Ma per sbrogliare la matassa del bilancio comunale sono stati necessari ulteriori interventi legislativi. Sul versante organizzativo con il decreto sulla finanza locale n. 2/2010 (articolo 4, comma 8-bis) si stabilisce una netta separazione tra la gestione Commissariale e la gestione Ordinaria, con un netto discrimine tra le obbligazioni assunte prima e dopo il 28 aprile 2008 (un fornitore del comune di Roma che ha stipulato un contratto il 27 aprile 2008 e un altro che lo ha stipulato il 29 aprile dello stesso anno, risultano in pratica diversi, a dispetto del principio della continuità amministrativa, ribadito dagli organi di giustizia amministrativa). La gestione ordinaria si conferma come il principale creditore della gestione commissariale, per un credito pari a 2,6 miliardi di euro (che il comune deve dare a se stesso). Non c’è più la unione personale tra sindaco e commissario straordinario (per quest’ultima funzione viene nominato un funzionario del governo). In sede di conversione del decreto-legge erano stati prospettati interventi per ritornare alla gestione ordinaria, senza riuscire nell’intento. Il nuovo commissario governativo (Domenico Oriani, magistrato della Corte dei Conti, che aveva partecipato come sub, alla prima fase, e che sarà sostituito successivamente da Massimo Varrazzani), ha il compito di completare la ricognizione della massa passiva e attiva relativa alle obbligazioni derivanti da fatti fino al 28 aprile 2008, anche se accertate successivamente. Al commissario vengono assegnati 500 milioni per il ripiano dei debiti previsti dal piano di rientro e si prevede un successivo DPCM per fissare i nuovi termini per l’approvazione del consuntivo 2009 e del preventivo 2010 (poiché quelli previsti dal TUEL erano già decorsi).

Resta il problema del finanziamento strutturale, a partire dal 2011, del piano di rientro della gestione commissariale, cui provvede il decreto legge 78/2010 (art.14, commi da 13-bis a 18). Per 300 milioni si provvede con un finanziamento statale. Per 200 milioni con l’istituzione di un addizionale comunale di 1 euro a passeggero in partenza su aeromobili dalla Città di Roma e la maggiorazione dell’addizionale comunale Irpef fino allo 0,4%. Le somme eventualmente riscosse in misura eccedente ai 200 milioni per anno sono riversate alla gestione ordinaria del Comune di Roma e concorrono alla stabilità finanziaria. Inoltre la gestione ordinaria ha la possibilità di istituire nuovi tributi (contributo di soggiorno per i turisti che soggiornano negli alberghi della Città e maggiorazione fino al 3 per mille sull’ICI sulle abitazioni diverse dalla principale tenute a disposizione).

L’accesso al fondo di 300 milioni annui è condizionato alla verifica positiva da parte del Ministero dell’economia e delle finanze dell’adeguatezza e dell’effettiva attuazione delle misure occorrenti per il reperimento delle risorse necessarie alla copertura del fondo di 200 milioni, nonché di quelle finalizzate a garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria.

Con questo nuovo quadro normativo che, oltre a prospettare uno sforzo fiscale significativo per la città, pone l’amministrazione comunale sotto la tutela del ministero dell’economia, il bilancio comunale per il 2010 (5,4 miliardi, di cui 3,6 di parte corrente e 1,8 di investimenti) è stato finalmente approvato. La manovra prevista, finalizzata a garantire l’equilibrio della gestione ordinaria, ammonta a 271,5 milioni di euro e include alcune disposizioni indicate nel decreto (aumento dell’ICI sulle case sfitte, per un importo di 18 milioni). La manovra prevede 85 milioni di interventi sulle spese (personale 35 milioni, sprechi 17 milioni, oneri del debito 33 milioni), 58 sulle entrate (di cui 21 di recupero evasione e 15 di aumento della COSAP, oltre alla già citata ICI) e ben 78 di entrate straordinarie. Si prevede inoltre l’introduzione di una tassa di soggiorno dal 1 gennaio 2011, da cui è previsto un gettito di 80 milioni.

Il decreto-legge 225 del 2010 (l’ormai consueto mille proroghe annuale) prevede ulteriori disposizioni normative sulla gestione commissariale del comune di Roma. Si tratta di norme che non modificano radicalmente l’impianto faticosamente raggiunto con il decreto-legge 78 del 2010. Si dispone che i 200 milioni reperiti dal comune per il piano di rientro con specifiche imposte non debbano essere versate all’entrata del bilancio statale e da questo rigirate al comune, ma direttamente a quella del comune che successivamente, con delegazione di pagamento, le dirotta alla gestione straordinaria. Si prevede inoltre una ulteriore ricognizione del debito, nonché il trattamento economico e organizzativo del commissario.

Numerosi aspetti, più o meno rilevanti, che probabilmente richiederanno ancora l’attenzione del legislatore e che dimostrano sopra ogni cosa la ridondanza della separazione tra le due gestioni, tra l’impossibile distinzione di un prima e di un dopo. Il giro di boa, il punto di svolta, inoltre, è nientemeno che l’alternanza di schieramenti diversi alla guida di una amministrazione locale, cioè la fisiologia del confronto elettorale. Veramente incomprensibile, in un paese normale.

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