L’elegante, raffinata e sofisticatissima signora che presiede la Banca Centrale Europea (BCE), ovvero il più importante organismo finanziario del mondo insieme al U.S. Federal Reserve System (FED), si chiama Christine Lagarde.
Non è esattamente un’ex-cassiera di bar, designata a quel posto con quattro clic su una piattaforma Rousseau (non inganni il francese…!).
La signora, avverte Ernesto Trotta in questo articolo pubblicato anche su Uomini & Business, ha al contrario uno strabiliante curriculum vitae, che parte dalla nazionale francese di nuoto sincronizzato (mica di “pétanque”…) per diventare più volte Ministro con Chirac prima e Sarkozy poi, quindi Direttrice Operativa del Fondo Monetario Internazionale nel periodo della recente nuova “grande depressione” ed infine, da novembre scorso, Presidente della BCE, succedendo al nostro mai-troppo-lodato Mario Draghi.
Malgrado ciò, la signora si è sciaguratamente resa protagonista ed artefice di uno dei più terrificanti crolli borsistici di tutti i tempi (per Milano il più imponente di sempre), solo con una stizzita risposta ad un giornalista, che la sollecitava sugli effetti della politica della BCE sullo spread italiano.
Le sue parole (“non siamo qui per chiudere gli spread”) potevano anche essere formalmente e tecnicamente corrette (però poche ore dopo il suo Economista Capo affermava il contrario, per cui la cosa non è così netta), ma la sede, l’occasione, il contesto, (non era un’aula universitaria in un noioso semestre qualunque!) hanno fatto sì che si scatenasse un autentico “panic selling” in pochi minuti.
Escludendo che si tratti di atto deliberato (non sono mai stato un complottista), può trattarsi solo di “sventatezza” e di mancanza di controllo sul linguaggio, dovute ad un’evidente sottovalutazione delle possibili conseguenze.
Cose che dal Presidente di una Banca Centrale (la BCE, poi!) uno non si aspetterebbe mai, soprattutto dopo l’esperienza di un Mario Draghi, che con sole tre parole (dico tre: “whatever il takes”) stroncò sul nascere nel luglio 2012 ogni tentativo di speculazione sull’euro.
Eppure, è successo: sia come sia, e non voglio criminalizzare nessuno, la risposta di Lagarde ha scatenato il panico e c’è voluto l’intervento di una impressionante sfilza di pezzi da novanta per riportare, almeno per ora, la calma sui mercati. Domani, chissà…
Il Presidente Mattarella, una delle persone meno umorali che la politica abbia mai conosciuto (non un Pertini o un Cossiga, per intenderci), si è sentito costretto ad emettere un comunicato di una durezza mai vista prima (complimenti a chi l’ha scritto! Era di una precisione e di un’efficacia linguistica pazzesche… rileggetelo!).
Tutto il Gotha della Commissione Europea (Von den Leyen, Dombrovkis, Vestager) ha dovuto esporsi in riga per tre davanti alla stampa per smentire la signora e dire che invece, ci piaccia o no, “siamo qui anche per chiudere gli spread”, in un modo o nell’altro.
Insomma, una mobilitazione generale per quattro parole oggettivamente inopportune e inappropriate.
Vero è che i tempi sono davvero eccezionali, che lo stress è altissimo, ma è proprio in questi frangenti che la classe dirigente deve dare massima prova di saggezza, equilibrio, autocontrollo. Altrimenti, che razza di classe dirigente è? Cadiamo nel famoso “uno vale uno”, di cui abbiamo visto e toccato con mano la perniciosità, qui da noi. Eppure, Lagarde non viene dai casting improbabili della Casaleggio e Associati…
Questa storia ci porta dritti a considerare che società complesse come le nostre (occidentali ma anche orientali) richiedono sempre più a chi le governa una preparazione, una competenza, delle caratteristiche sia umane, sia tecniche che psichiche tali da rendere indispensabile un processo di selezione a prova di bomba. Non è tecnocrazia! Non è di quello che sto parlando.
Qui abbiamo bisogno di uomini e donne che acquisiscano caratteristiche “politiche” eccezionali, che abbiano avuto accesso alle migliori pratiche di istruzione, che siano addestrate e diano prova di equilibrio emotivo e psichico fuori del comune.
D’altronde, chiedete a Parmitano, a Cristoforetti, a Nespoli (per citare solo i nostri più recenti astronauti) che processi di selezione e di addestramento vengono adottati per andare nello spazio: e non è questione di età. Non si va sulla luna a settant’anni! Si comincia a trent’anni, o anche meno.
Ma che razza di paragoni stai facendo? Già sento le obiezioni. È tutto un altro mestiere!
Certo che lo so, che diamine! Ma la solidità psichica è una e una sola, in ogni situazione. In caso di emergenza sulla International Space Station (ISS) non ci si può far prendere dal nervosismo o dalla stizza; quando Parmitano si trovò con il casco dello scafandro pieno d’acqua, fuori dalla Stazione, a 400 km di altezza e a 28.000 km/ora di velocità orbitale, ha dovuto controllare eccome le sue reazioni per rientrare sano e salvo, senza mettere a rischio né sé stesso, né la missione, né l’ISS.
Con questo non sto proponendo Parmitano premier e Cristoforetti alla BCE, sto solo sostenendo che ci sono lavori ed incarichi che non sono per tutti, che non ci si può arrivare per cooptazione, per conoscenze, per meriti “politici”, per fedeltà al Partito. Serve addestramento, serve cultura, serve alta capacità tecnica, studio, approfondimento, doti che possono anche essere innate, ma che vanno comunque sviluppate coscienziosamente, e dalle strutture stesse della democrazia.
Oggi da questo scenario siamo ben distanti, anche dove la selezione pare ferrea. Donald Trump esce da un processo che ha sì prodotto Kennedy, Clinton e Obama, ma anche Bush jr., e ha schiacciato una sgobbona lucida e razionale, anche se poco simpatica, come Hillary.
E Boris Johnson, che sta letteralmente e spregiudicatamente giocando con la vita di decine, forse centinaia, di migliaia di inglesi, è esponente della più antica delle democrazie occidentali.
Per non parlare di noi: Conte sta facendo egregiamente, meno male! ma da quale processo di selezione esce? Del tutto casuale.
E vi rendete conto che solo un anno fa avremmo dovuto affrontare questo disastro con Salvini agli Interni?
Bene, anzi, male: pensiamoci, mentre stiamo a casa. I meccanismi della democrazia, se davvero essa ci sta a cuore, meritano di essere rianalizzati, ripensati e forse riprogettati.
Al più presto. Senza spaventarsi e senza preconcetti. Il gioco è troppo rischioso per improvvisare.