Dal sindacato francese una lezione per la inistra italiana. Laurent Berger non è conosciuto al di là dei confini nazionali e del mondo sindacale europeo.
Eppure, il segretario della Cfdt, la principale confederazione transalpina, è stato il leader della battaglia (persa) sulla riforma delle pensioni, ma la sua pacatezza, anche nei momenti più tesi, ha ispirato fiducia e rispetto.
E le sue idee riformiste meritano di essere ascoltate con attenzione. Emmanuel Macron ha sbagliato a inimicarselo, perché Berger ha uno sguardo lucido sulla società francese e forse anche su quella europea. Negli ultimi giorni ha insistito molto sulla crisi democratica che attraversa il paese, irritando il capo dello Stato.
Ma non ha avuto torto: la democrazia rappresentativa perde colpi dappertutto, non solo in Francia, ma qui perde colpi anche la democrazia sociale, il dialogo si è trasformato in monologo del potere, la società, percorsa da ansie e malcontento, si frammenta in mille rivoli.
Macron ha una visione verticistica del potere. Vorrebbe forse riattaccarsi alle origini della V Repubblica, costruita su misura per il generale de Gaulle. Ma quei tempi sono lontani, l’idea fondatrice di un incontro fra un uomo (il capo dello Stato eletto a suffragio universale) e il popolo suona oggi come una stanca retorica, l’introduzione del mandato di cinque anni ha reso più fragile l’impalcatura politico-istituzionale.
Macron ha distrutto i due partiti tradizionali, i socialisti riformisti e la destra democratica, senza riuscire a rimpiazzarli con un partito degno di questo nome. E ha sempre guardato con sospetto i corpi intermedi, dalle Ong ai sindacati alle rappresentanze imprenditoriali. Un errore che oggi paga con una popolarità in forte ribasso, contestazioni a ripetizione quando visita scuole o fabbriche, insofferenza diffusa per la sua persona.
La Cfdt è un sindacato che potrebbe assomigliare a un’organizzazione nata dalla fusione della sinistra Cisl con l’ala riformista della Cgil. Durante il regno di Berger ha conquistato il posto di primo sindacato transalpino, spodestando la comunista Cgt, senza tuttavia riuscire a far risalire il tasso di sindacalizzazione francese, tra i più bassi in Europa. Ciononostante, il segretario confederale si è conquistato un’indubbia popolarità, le sue analisi sono ascoltate con attenzione.
Il 21 giugno, dopo dieci anni e mezzo al vertice della Cfdt, lascerà l’incarico. In una lunghissima intervista a Le Monde, ha fotografato i tre mali che affliggono la democrazia francese: la fortissima diffidenza verso le istituzioni; un possente risentimento sociale, con i lavoratori che si sentono disprezzati; il non riconoscimento dell’espressione dei cittadini, che crea collera.
Tutto ciò, senza contare l’astensionismo crescente a ogni elezione, lo ha spinto a parlare di una crisi democratica evidenziata dal conflitto sull’aumento dell’età pensionabile da 62 a 64 anni. Un conflitto in cui non vede un vincitore, ma solo perdenti: i lavoratori, il governo che non capisce più il mondo del lavoro, la democrazia che ha visto rovinarsi il rapporto tra la politica e il sociale.
Molti attribuiscono a Berger ambizioni politiche e una tentazione per le prossime presidenziali. Lui smentisce categoricamente. Ma ha un messaggio per la sinistra. Anziché pensare a lui come un possibile candidato, i leader della gauche «dovrebbero lavorare molto di più sulla sostanza, cogliere la complessità della società, parlare del lavoro, delle disuguaglianze, dell’economia, dei servizi pubblici, della fiscalità.
Con equilibrio, senza caricature. Dovrebbero anche parlare d’Europa per vedere come la si costruisce e non come la si contesta rumorosamente».
Si rivolgeva ai francesi, ma la sua saggezza dovrebbe far fischiare anche le orecchie di Elly Schlein e di tutto il Partito democratico.