ROMA – Daria Bignardi non è Enzo Biagi e a Rai3 dovrà fare pulizia di comunisti, o ex comunisti, o comunque nemici di Matteo Renzi scrive Giuseppe Turani in questo articolo pubblicato anche su Uomini & Business. Daria Bignardi, coincidenza da cui nn va immune certo la sinistra, accade di essere nuora di Adriano Sofri, il cui ex braccio destro, Guelfo Guelfi, che ora vive a Firenze come lui e come viveva Renzi, militava come Sofri in Lotta Continua negli anni del ’68 che hanno messo l’Italia in ginocchio per sempre. Ora Guelfo Guelfi è autorevole membro del Consiglio di amministrazione della Rai. Non si conoscono titoli professionali e competenze specifiche che giustifichino la nomina, ma la forza dei rottamatori è di innovare rischiando.
La regola universale da non dimenticare mai è sempre la stessa: “La colleganza è odio vigilante”. E questo spiega benissimo una certa acidità nei giudizi per la nomina di Daria Bignardi alla direzione della rete tre della Rai.
È brava, non è brava, è colta, non è colta, cosa diavolo c’entra con la direzione di una rete? La rete che fu di Angelo Guglielmi, fine letterato e dirigente Rai straordinario in cui programmi tengono banco ancora oggi.
Allora è bene provare a dire le cose come stanno. Dal punto di vista del giornalismo televisivo, o scritto, Daria Bignardi non esiste. Non sono noti suoi grandi interventi. Non è Enzo Biagi, insomma. In realtà ha fatto un bellissimo programma all’inizio della sua carriera: “Tempi moderni” su Italia 1. Visto, temo, quasi da nessuno. Ma quella era una cosa nuova, interessante, un diverso modo di fare televisione.
Poi, immagino, la scelta di correre lungo sentieri più semplici e più agevoli, più popolari, alla ricerca di un buon successo, che in realtà non è mai arrivato, se si esclude la conduzione del “Grande Fratello”. Ma per un’aspirante intellettuale, desiderosa di ruoli prestigiosi nell’informazione tv, quella conduzione è una specie di pugno nell’occhio.
Dopo di che si imbocca una strada tipo-Fazio. Studio, interviste, un po’ dolci, un po’ amare, qualche volta (raramente) pungenti. Ma non succede niente. Gli ascolti restano modesti e anche l’eco presso i giornali che contano è modestissima. Alla fine questa roba viene chiusa, e non sene parla più.
Daria, però, si presenta bene, parla un ottimo italiano, è garbata. E quindi molti la trovano deliziosa, al contrario del suo modello (Fabio Fazio) che sta sempre un po’ sulle scatole a tutti.
I giornali di destra la detestano e l’hanno già battezzata “la signora 3 per cento”, con riferimento all’audience delie sue trasmissioni (proprio per questo poi chiuse).
E allora come mai arriva a dirigere una rete? Perché Rai è l’ultima trincea della “ditta”, lì hanno scavato un bunker i sopravvissuti alle rottamazioni renziane. E Rai 3, ovviamente, sta molto sulle scatole a Renzi. Il compito di Daria, che insieme col marito Luca Sofri [è la nuora di Adriano Sofri, quello del commissario Calabresi, Guelfo Guelfi, consigliere di amministrazione Rai, fiorentino, era la spalla di Sofri ai tempi di Lotta Continua] , è una sua fedelissima e amica, è quello di fare piazza pulita.
Poi, se farà buoni programmi, se avrà fortuna, meglio. Ma la missione numero 1 è quella di “ripulire” Rai 3: non editto bulgaro, che suona male, ma sapienti accantonamenti, spedizioni in soffitta.
Mi immagino il colloquio con Giannini: a me poiché facevo il 3 per cento mi hanno mandata a casa, tu perché sei ancora qui? E così via.
Tutto questo è troppo politico? Troppo di parte? In Italia no. La Rai è una specie di dinosauro con varie stratificazioni: gli antichi democristiani, gli antichi Pci, un po’ di leghisti, forse persino qualche cinque stelle. Ma nell’insieme molto poco renziana. Adesso il premier ha cominciato, già con la nomina dell’amministratore delegato per la verità, a fare quello che hanno fatto tutti quelli venuti prima di lui: l’occupazione della Rai.
Quelli del sindacato Rai protestano vibratamente, ma hanno la coda di paglia. Diciamo che per l’80 per cento sono tutti lì perché lottizzati in epoche più antiche?
Insomma, questa non è una bella storia, sotto molti aspetti. Ma siamo in Italia. La Rai non è la BBC e Daria Bignardi non è Biagi.