Debito pubblico e fornitori, sforzi vani senza piano sul ciclo passivo

Pubblicato il 13 Aprile 2012 - 08:16| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

La pubblica amministrazione italiana paga con grande ritardo i suoi fornitori, nonostante direttive comunitarie e norme legislative nazionali che invocano tempi rapidi e prevedono gravi sanzioni in caso di ritardo. E’ una chiara patologia del sistema. Le imprese non possono essere il banchiere dello stato. Se forniscono un bene o un servizio, secondo quanto previsto dagli accordi, devono essere pagate in tempi rapidi. Altrimenti salta il sistema dei prezzi, si scatena la corsa alla cessione del credito, si percorrono strade non lineari, che possono portare anche alla corruzione. Il governo cerca di porre rimedio a questo problema: si susseguono norme, la stampa ne parla (da ultimo il Corriere della Sera dell’11 aprile, pag. 6, “L’accordo tesoro-banche per i pagamenti alle imprese”)

Ma se non lo si prende dal verso giusto, il problema rischia di restare schiacciato, anche con la nuova proposta normativa in discussione, tra due corni: impossibilità di aumentare l’indebitamento della PA e esigenza di razionalizzare il ciclo passivo delle pubbliche amministrazioni.  Si tratta dei commi 11-quater e 11-quinquies introdotti, nel corso dell’esame parlamentare, nel disegno di legge di conversione del decreto-legge 16 del 2012 in materia di semplificazione fiscale.

La norma integra quanto previsto dal descritto articolo 9, comma 3 bis, del decreto 158 del 2008 (come modificato dalla legge di stabilità per il 2012) affiancando alla fattispecie dei crediti “pro soluto” da cedere a banche ed intermediari finanziari quella dei crediti “pro solvendo”. Il fine è evidente: evitare che una operazione importante di smobilizzo di questi crediti possa avere riflessi negativi sul debito pubblico (come probabilmente sarebbe stata la ventilata regolazione in titoli di stato dello stock di debiti delle pubbliche amministrazioni).

Ma si tratta di un artificio contabile di corto respiro. La distinzione tra cessione pro-soluto e pro-solvendo è semplice: nel primo caso si rescinde il rapporto tra creditore originario (il fornitore) e il debitore (la pubblica amministrazione). Subentra il cessionario (la banca o l’intermediario finanziario) che dovrà essere pagato dal pubblico. Il fornitore, pagando un prezzo (che cercherà a sua volta di trasferire su quello praticato alla PA) al cessionario, si libera del credito, migliora il conto economico del proprio bilancio, riacquista solvibilità rispetto alle sue banche di riferimento. Con il meccanismo del pro solvendo, invece, il fornitore non esce dal meccanismo, ma resta coinvolto fino al pagamento del debito ottenendo dal cessionario solo un’anticipazione (di parte) del suo credito. Non può ripulire il suo conto economico, non può ricostruire la sua normale linea di credito con le banche di riferimento.

Il meccanismo del pro solvendo viene in genere richiesto dal cessionario quando il credito non è ancora stato certificato dall’ente. In questi casi la banca si copre dal rischio di una fatturazione impropria mantenendo in solido anche il creditore originario (cui anticipa parte della somma con l’impegno alla restituzione nel caso in cui, ad esempio, l’azienda sanitaria non liquiderà la fattura). Nel caso delle norme in discussione l’incertezza verrebbe, in modo francamente bizzarro, trasferita sulla pubblica amministrazione: nel momento in cui si decide una operazione di smobilizzo dei debiti commerciali governata dal centro (quindi dirigisticamente orientata) si ipotizza di fatto, non liberando il fornitore, che il pagamento possa non avere luogo. Sembra, a tutti gli effetti, un non senso, nell’ipotesi evidente che la cessione si riferisca a crediti certi, liquidi ed esigibili.

Il riflesso sul debito non è legato alla natura della cessione ma, come è stato stabilito con chiarezza dai pronunciamenti in sede Eurostat (recepiti nella normativa vigente), dalla ristrutturazione delle posizioni debitorie oltre il termine temporale di 12 mesi, o dalla concessione di delegazioni di pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Solo in questi casi, espressamente vietati, il debito commerciale si trasformerebbe in debito finanziario, e si aumenterebbe lo stock di debito pubblico. Probabilmente in alcuni casi critici ciò si è verificato ancora, dopo il 2005, e questo dovrebbe essere oggetto di rapida ricognizione.

I debiti commerciali rappresentano l’anello terminale di un processo che parte dallo stanziamento, nei bilanci di competenza, delle relative risorse. Lo scollamento tra competenza e cassa è il primo fenomeno da ridurre per favorire una ordinata gestione dei pagamenti (e il passaggio ad un bilancio per cassa favorirebbe questo processo). Vanno inoltre ridotti i tempi di trasferimento delle dotazioni, siano esse legate all’accertamento e alla riscossione di entrate o al trasferimento da altri livelli di governo. La fissazione di opportune regole nei contratti di tesoreria possono essere di ausilio per ridurre questi scompensi.

Infine la gestione del ciclo passivo. Allo stato attuale la norma vigente, che si vuole modificare introducendo la fattispecie del pro solvendo, è inapplicabile per moltissime pubbliche amministrazioni. Le regioni e gli enti locali non sono in grado “su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti” di certificare ”nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia di patto di stabilità interno, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione dell’istanza, se il relativo credito sia certo, liquido ed esigibile”. Tant’è che la stessa norma esclude i casi più critici (“La certificazione di cui al comma 3-bis non può essere rilasciata, a pena di nullità: a) dagli enti locali commissariati ai sensi dell’articolo 143 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Cessato il commissariamento, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti sorti prima del commissariamento stesso. Nel caso di gestione commissariale, la certificazione non può comunque essere rilasciata in relazione a crediti rientranti nella gestione commissariale; b) dalle regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari”).

Bisogna pertanto intervenire, centralmente, sulla razionalizzazione del ciclo passivo delle pubbliche amministrazioni, con un piano pluriennale. Solo in tal modo sarà possibile raggiungere l’obiettivo dei 30 e dei 60 giorni, fissato nelle direttive europee. Si tratta di un intervento di ottimizzazione dei processi amministrativi, dal forte impatto organizzativo, un esercizio di spending review, in cui l’informatica può essere di grande ausilio. Tutto il processo deve essere tracciato, per evitare errori, duplicazioni e fenomeni corruttivi.

Se si avvia un processo di questo tipo può avere senso un intervento sullo stock di crediti accumulati, che forse potrebbe essere ricondotto ad una forma di anticipazione di liquidità da parte sistema bancario e degli intermediari sui crediti esigibili, coordinata ed accompagnata da una regia centrale. Diversamente lo stock abbattuto si riformerebbe subito, e l’eccessiva intermediazione, che allenta il legame tra fornitore e pubblica amministrazione, non fa bene al sistema.