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Elezioni 2018. Grasso come Berlusconi: ridondante e sfuggente

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Elezioni 2018. Grasso come Berlusconi: ridondante e sfuggente

ROMA – Abolizione delle tasse universitarie, cancellazione del canone Rai, pensioni minime a 1000 euro, taglio del bollo auto; la campagna elettorale non è ancora cominciata, almeno ufficialmente – il nostro sistema ne fissa l’inizio trenta giorni prima del voto – ma già la classe politica, in cerca di consenso, non lascia trascorrere un giorno senza annunciare una nuova promessa elettorale. È sicuramente ancora molto presto per sviluppare qualsiasi articolata riflessione, ma quel poco o quel tanto, dipende dai punti di vista, che è stato detto, basta per tratteggiare una prima impressione sulle schermaglie che stanno animando il dibattito politico. Gli aggettivi da utilizzare per provare a definire questa fase potrebbero essere tre: ridondante, sfuggente ed esitante.

Ridondante. Le singole proposte, e molti lo stanno già facendo, dovranno essere verificate, analizzate e ben studiate, ma quello che per adesso colpisce è l’eccessiva enfasi e sovrabbondanza che le caratterizza.

Il proclama del Presidente del Senato Aldo Grasso, leader di Libertà e uguaglianza, che ha annunciato la volontà di abolire, qualora il suo schieramento uscisse vincitore dalla tornata elettorale, le tasse universitarie, ne è un chiaro esempio. I toni con i quali è stata fatta la proposta e l’ovazione dell’assemblea che l’ha accolta, ci rappresentano una politica che sempre di più sposta il baricentro verso la “spettacolarizzazione dell’iniziativa”.

Questa misura non è certo una novità nel nostro paese: Silvio Berlusconi che firma il “contratto con gli italiani” nel maggio del 2001, durante la trasmissione televisiva Porta a Porta, si muoveva dallo stesso pathos comunicativo.

Il rapporto tra comunicazione e politica non è affatto un tema secondario, ed anzi, soprattutto nei passaggi più significativi di una sfida elettorale, le scelte che determinano il modo con il quale si trasmettono all’elettore i punti principali del programma, possono rivelarsi decisive per l’esito finale della competizione; tuttavia, il fenomeno che si registra in questa “partenza” sembra spingersi ben oltre i limiti, in uno spazio dove l’aspetto strategico lascia il posto alla brutta copia di se stesso.

Forse occorrerebbe un “gentlemen agreement” rispettato da tutti i contendenti e che sicuramente sarebbe colto positivamente dall’elettore.

Sfuggente. Sono di questi giorni le statistiche ufficiali sul mercato del lavoro italiano targate Istat. Sicuramente è positivo sapere che  per dei cittadini si apre un periodo nel quale recepiranno un reddito – per moltissimi una vera e propria boccata d’ossigeno – ma la politica non può evitare di confrontarsi sulla qualità di questi dati, perché oltre il 90 % dei nuovi occupati è a tempo determinato, ed andranno a rimpinguare il già grasso mondo del precariato.

Si assiste invece al retrocedere del dibattito verso una polemica sterile incentrata sul dualismo “ occupazione si, occupazione no ”, confinando ai margini delle discussione il vero tema sul quale si dovrebbe aprire una sana e decisa contrapposizione dialettica.

Gli schieramenti politici dovrebbero esprimersi con chiarezza, ed indicare all’elettore quale prospettiva di sviluppo intendono portare avanti: si vuole favorire la crescita di una società fondata sul precariato, come prevede un’ideologia neoliberista, oppure si ambisce a creare le condizioni per costruire, dalle macerie della socialdemocrazia, un nuovo mondo? Ed ancora: quale visione hanno del futuro e come vogliono contrapporsi alle crescenti e preoccupanti disuguaglianze di cui tanto si parla? Quale modello di sviluppo sostenere e quale contrastare?

Un altro esempio che potremmo fare riguarda le statistiche, ancora Istat, relative alla lettura dei libri. I dati sono stati divulgati il 27 dicembre e sono disarmanti: si passa dal 42 % del 2015 al 40,5 % del 2016. Tradotto, su 10 italiani 4 leggono almeno un libro l’anno, gli altri 6 nemmeno quello. Devastante.

Ma la campagna elettorale sembra sfuggire lontana, e non dedica, come invece dovrebbe, alcun approfondimento pubblico a questa fragilità che, se non “ curata ”, inciderà profondamente in senso negativo, molto più di adesso, sul futuro del paese. I leader che si candidano a governare l’Italia quale politica metteranno in campo per cercare di invertire questa allarmante tendenza? Di questo si dovrebbe discutere tra le altre cose.

Esitante. Non sarà sfuggito a nessuno che gran parte delle varie proposte, equamente rappresentative di tutti gli  schieramenti, tendono ad offrire all’elettore l’abolizione di qualcosa.

L’elenco di ciò che dovrebbe essere frettolosamente depennato è intriso di un sentimento di ottimismo che si agita nello slogan del “si può fare”, che ovviamente oscura il suo austero fratello, il tanto vituperato “non si può fare”.

Forse i meccanismi della campagna elettorale non sono ancora oliati a dovere, ma la propensione ad esaltare solo gli aspetti positivi è una modalità che denuncia l’assenza di un coraggio che invece gioverebbe alla serietà del dibattito.

Promettere di snellire le procedure amministrative, ad esempio, è impegno che non può non essere condiviso, ma è altrettanto vero che una politica non più esitante dovrebbe, allo stesso modo, esprimere con chiarezza che “non si può fare” semplificazione se i cittadini non inizieranno ad utilizzare con più decisione gli strumenti che l’innovazione tecnologica mette a loro disposizione; che “non si può fare” semplificazione se la pubblica amministrazione non sposa con entusiasmo l’inevitabile passaggio dal cartaceo al digitale; che “non si può fare” semplificazione se non si trovano adeguate risorse economiche da investire nelle infrastrutture tecnologiche che occorrono per raggiungere questo importante obiettivo.

Lo stesso principio è valido anche per spunti programmatici che toccano altri temi, come ad esempio le questioni ambientali: uno sviluppo sostenibile fatto di energia pulita? Certo, “si può fare” se la politica riuscirà a mettere in campo valide soluzioni alternative a quelle attuali, ma “non si può fare” se ogni singolo cittadino non si adopererà in buone pratiche quotidiane di “green culture”.

Sobria, chiara e coraggiosa. Speriamo che alla mezzanotte del 2 marzo, quando il silenzio elettorale taciterà i “megafoni” della politica, saranno questi gli aggettivi che invece prevarranno nelle analisi, perché se con questi, obietterà qualcuno, non si vincono le elezioni, senza di questi, di sicuro, si perde credibilità.

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