Elezioni europee: si vota per l’Europa o per la maggioranza in Italia? appena sfiorati i problemi del continente

di Bruno Tucci
Pubblicato il 2 Giugno 2024 - 07:12
Elezioni europee: si vota per l’Europa o per la maggioranza in Italia? appena sfiorati i problemi del continente

Elly Schlein e Giorgia Meloni

Elezioni europee, l’interrogativo è: fra prochissimi giorni si vota per l’Europa o per verificare se la maggioranza di centro destra è ancora la “preferita” da chi si reca alle urne? Questa domanda non è fuori posto perché la campagna elettorale cominciata anzitempo ha soltanto sfiorato i problemi del vecchio continente e si è concentrata sul solito ritornello di chi ha torto e chi ha ragione nel nostro Paese.

Dati alla mano verifichiamo la situazione dal mese di marzo ad oggi. Le battaglie politiche più dure si sono concentrate principalmente su tre temi: il premierato, la riforma della giustizia e l’autonomia differenziata. Argomenti che hanno coinvolto tutte le forze politiche con dichiarazioni e atteggiamenti non proprio consoni per persone che siedono alla Camera o al Senato senza dimenticare Palazzo Chigi. Intendiamoci: problemi di grandissima importanza per l’Italia, ma per l’Europa? Non crediamo che a Bruxelles si stracciano le vesti se il ministro Roberto Calderoli vedrà respinta la sua proposta di legge; o se Nordio l’avrà finalmente vinta sulla divisione delle carriere dei magistrati.

Maggiore attenzione ha avuto l’Europa per il premierato non perché si abbia a cuore la sconfitta o la vittoria di Giorgia Meloni.  Per il semplice motivo che l’esempio italiano potrebbe rappresentare una guida pure per gli altri Paesi. In Italia si è parlato delle elezioni dell’otto e il nove giugno solo per innestare l’ennesima polemica. La stragrande maggioranza dei leader politici si è candidata per il voto di sabato e domenica prossimi. E subito è scoppiato il putiferio.

Sia per la destra che per la sinistra. La premier si presenterà come capolista in tutti i collegi. “Per rubare preferenze”, dice la minoranza.  “Approfitta del suo ruolo per ingigantire il suo partito che balbetta e non ha più i sondaggi favorevoli di un anno e mezzo fa”. “Sciocchezze”, si replica. “La minoranza si arrampica sugli specchi perche non ha argomenti sui quali potrebbe intavolare una seria discussione”.

Nemmeno a sinistra, la situazione è tranquilla. Elly Schlein ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie per dare equilibrio al Pd. In primis, sono state le donne dei dem ad alzare la voce quando la segretaria aveva deciso di non esser da meno della Meloni. Capolista dappertutto. “Così danneggia noi. I posti per arrivare a Bruxelles si ridurranno, di modo che chi è già da tempo in Europa rischia di rimanere fuori. Non siamo mica al Grande Fratello”.

Elly Schlein ha dovuto ingoiare il rospo ed ha dovuto dimezzare la sua presenza. Poi, è stata la volta degli uomini, in specie dei cosidetti moderati, i quali non vedono l’ora di poter mettere all’angolo la segretaria per la “rivoluzione” creata nel partito. Guai se dovesse scendere sotto il venti per cento, dovrebbe lasciare ad altri la poltrona di Via del Nazareno.

I cespugli che fanno da contorno alla triade e al Pd sono intervenuti ora in un modo, ora in un altro a seconda delle convenienze. Di Europa si è parlato a senso unico, solo per polemizzare con quanti si volevano candidare per Bruxelles per poi abbandonare quella sede perché in tutt’altre faccende affaccendati.Questo è  stato l’unico ritornello che ha riguardato il vecchio continente. Per il resto,  la solita musica del tu sei un cattivo ed io sono buono. Niente o quasi del futuro dell’Europa, di quel tanto di cui avrebbe bisogno in avvenire: l’unità, il riarmo, un esercito in grado di difendere i confini. Di tale materia il dieci per cento, se non meno, hanno discusso i parlamentari di casa nostra.

Allora, per chi andrà a votare l’italiano fra una manciata di giorni? Molti non lo sanno, tranne nel Piemonte e nelle altre migliaia di piccoli centri dove per fortuna si è dibattuto su problemi concreti che riguardano spesso la sopravvivenza dei paesi con meno di diecimila anime.