Emanuela Orlandi sepolta nei sotterranei di Castel Sant’Angelo? Siamo a una svolta? A 40 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, nel giugno del 1983, il mistero si infittisce.
Questa volta a indicare Castel S. Angelo come tomba di Emanuela Orlandi ci sono alcune intercettazioni telefoniche fatte nel settembre del 1983 dalla Terza Sezione del Reparto Operativo della Legione Carabinieri di Roma e notificate al sostituto procuratore della repubblica Domenico Sica.
Sica era specialista di indagini sul terrorismo e aveva sostituito la collega Margherita Gerunda impegnata a indagare invece nel giro delle amicizie di Emanuela e del parentado.
Le telefonate in questione, una delle quali secondo i carabinieri partita da un numero riservato della Rai, sono state fatte da un uomo e da una donna all’avvocato Gennaro Egidio, all’epoca e per molti anni legale della famiglia Orlandi, nel settembre del 1983: poco più di due mesi dopo la scomparsa della ragazza, avvenuta poco dopo le 7 di sera del 22 giugno.
Le trascrizioni sono 16 e le ha inviate a Sica il maggiore Antonio Ragusa, comandante delle Terza Sezione del Reparto Operativo della Legione Carabinieri di Roma. A me le ha inviate l’ex carabiniere Antonio Goglia, che lo scorso 30 maggio ho intervistato proprio per la sua convinzione che Emanuela sia stata sepolta a Castel Sant’Angelo. Ma di Goglia e di come è nata tale sua convinzione parleremo dopo.
Di queste 16 trascrizioni a citare Castel S. Angelo, in modo alquanto bislacco, sono solo tre, tutte del 7 settembre. Le altre danno l’idea dell’abbondanza di mitomani e segnalazioni sballate che purtroppo hanno prontamente e volenterosamente fatto ala alla scomparsa di Emanuela rendendo impossibili indagini produttive.
1) – Telefonata delle ore 9:30 del 7 settembre, voce di donna che all’avvocato Egidio dice: “Faccia trovare Emanuela Castel Sant’Angelo, nel nome del Signore glielo chiedo”.
Egidio chiede “Ma dove a Castel Sant’Angelo?”. La donna però anziché rispondere riattacca.
I carabinieri provvedono al blocco delle linee e avvertono “il tecnico Sip MENDITTO”, il quale constata che il blocco era caduto. Impossibile quindi sapere da quale numero è partita la telefonata.
2) – Alle 10:05 dello stesso giorno altra chiamata della “stessa donna della telefonata delle 9:30”. Questa volta la donna a Egidio dice: “Avvocato, ho l’impressione che non mi ha compreso, in Nome del Signore cercate Emanuela a Castel S. Angelo”. E subito dopo riattacca. Anche in questo caso, blocco caduto.
3) – Alle18:22 arriva la telefonata di uno sconosciuto che dice all’avvocato:
“di cercare “la ragazza” a Castel S. Angelo, a destra, scendere tre scalini di legno,, c’è delle terra battuta, ancora avanti un altro gradino e si entra dentro un “tunnel”, lì si trova!. Sotto di loro c’è un tubo di eternit Sotto dov’è la ragazza…. “Loro” si trovano sopra”.
L’avvocato chiede ”loro” chi?” e lo sconosciuto risponde “sono in quattro: la ragazza e tre. Sono in quattro e stanno li sotto; uno di colore, uno biondo e una ragazza con vestito lungo. Parlo in Nome del Signore”.
Per quanto parli “in Nome del Signore” sta di fatto che dice che “sotto sono in quattro”, ma ne elenca solo tre. E comunque Emanuela il giorno della scomparsa indossava jeans e maglietta, non un “vestito lungo”. Col quale però potrebbe essere stata vestita in seguito.
Il blocco delle linee dà esito positivo e il tecnico della Sip signor Tantucci afferma: “…la chiamata proveniva dall’utenza nr. 3611058 (RISERVATA = intestata a Rai via del Babuino 9)”. Numero di telefono che in seguito risulta intestato a un utente di via Germanico.
Ammesso che sia vero, il particolare che l’utenza della terza telefonata fosse un numero della Rai fa venire in mente un altro particolare. I magistrati hanno indagato sull’origine della telefonata che nel settembre 2005 diede fuoco alle polveri del grottesco tormentone di lungo corso secondo il quale Emanuela era sepolta nella stessa bara di Enrico De Pedis, l’asserito grande capo o almeno boss della banda della Magliana, situata nello scantinato della basilica di S. Apollinare.
Quella storica telefonata era arrivata, come ormai arci noto, alla redazione del programma “Chi l’ha visto?” della Rai, che l’ha mandata in onda scatenando l’incredibile tormentone. E ricevendone una pubblicità immensa.
Le indagini hanno dato un risultato sorprendente: stando ai tabulati, quella telefonata non è passata per il centralino della Rai, NON è cioè arrivata dall’esterno della Rai. Il che significa che è stata fatta dall’interno della Rai. Impossibile appurare da quale ufficio e telefono, ma comunque ufficio e telefono della Rai.
Può parere incredibile, oltre che strano e spiacevole, e può dare adito a brutti sospetti, ma il risultato delle verifiche per quanto strano e spiacevole è questo. Nelle trascrizioni delle telefonate ho notato che in alcune il numero di telefono dello studio di Egidio è preceduto dal prefisso 06 di Roma e in altre no. Strano che nell’83 venisse indicato tale prefisso, perché mi dicono che non era ancora in uso per le chiamate a utenti dello stesso distretto del chiamante, in questo caso da Roma a Roma. Ma potrebbe trattarsi di un eccesso di zelo del carabiniere estensore del rapporto.
Ho notato anche che il numero di telefono dello studio dell’avvocato in alcuni rapporti viene indicato con le ultime due cifre diverse da quanto riportato in altri. Ma potrebbe trattarsi di un errore di battitura oppure lo studio di Egidio aveva più numeri di telefono. Ho provato a controllare se all’epoca esistesse nella Legione Carabinieri di Roma un maggiore di nome Antonio Ragusa. Mi dicono che esisteva e che, dopo alcune traversie, sfociate sui giornali, è anche arrivato al grado di generale.
E veniamo ora a Goglia
“Buongiorno, Nicotri. Ha visto il botto che ha fatto la versione breve di Italia Oggi della mia intervista a Blitz su Emanuela Orlandi forse sepolta a Castel S. Angelo?! Citata da molti giornali e televisioni, con la replica stizzita e un po’ velenosa di Pietro Orlandi. Per lui quello che ho detto è “pura follia” e accusa lei di avermi intervistato solo perché “per qualcuno l’importante è fare un articolo”. Saranno invece normali le sue varie piste, tutte fallimentari e non meno scombiccherate della mia”.
Buongiorno, Goglia. Sì, sì, certo ho visto tutto.
“Io – prosegue l’ex carabiniere – non ho dato nulla per scontato e sicuro. Mi sono limitato a chiedere per lettera ai magistrati, come ha fatto lui anche tramite avvocato, di condurre una verifica. Peraltro molto facile, si tratta solo di aprire una porta, non di scoperchiare tombe qua e là. Tutto qui. Evidentemente Pietro Orlandi vuole il monopolio delle piste. In fatto di “pura follia” teme la concorrenza”.
Va bene, ho capito. Ma ci spieghi per cortesia come è arrivato a credere che Emanuela, e pure Mirella Gregori, possano essere sepolte a Castel Sant’Angelo. Anzi, come fa a esserne certo? Intanto però devo darle una brutta notizia.
“Brutta notizia? Come sarebbe a dire?”.
Lei nell’intervista che mi ha rilasciato il 30 maggio ha sostenuto che il famoso codice segreto 158 per comunicare via telefono con il Segretario di Stato del Vaticano, Agostino Casaroli, è stato imposto dal telefonista dei “rapitori” perché faceva riferimento all’articolo 1058 del codice di diritto canonico, l’articolo che proibisce il matrimonio per chi indossa la tonaca. Secondo lei i “rapitori” avrebbero voluto indicare come codice il numero 1058, di quattro cifre, ma hanno dovuto ripiegare sul 158 di tre cifre perché il centralino analogico d’Oltretevere per i numeri interni dell’epoca non permetteva di superare le tre cifre”.
“Certo. E allora?”.
E allora c’è che il codice segreto, concordato con la telefonata del 5 luglio ’83 dei “rapitori” al Vaticano, NON serviva per accedere direttamente a un numero interno, messo a disposizione dei “rapitori” per comunicare direttamente con Casaroli. Le tre cifre 1-5-8 NON dovevano essere digitate per completare il numero di telefono vaticano da chiamare. Erano invece un codice che chi chiamava doveva scandire a voce alle suore del centralino. Pertanto poteva essere senza nessun problema di quattro cifre o anche di più. Inoltre, a parte il fatto che non è ben chiaro se il codice sia stato scelto dai “rapitori” o dalla Segreteria di Stato, c’è anche un’altra novità”.
“Un’altra brutta notizia?”.
Veda un po’ lei. La signora Elena Hilal Agca, l’italiana Elena Rossi moglie di Alì Mehemet Agca, l’uomo che attentò alla vita di Papa Wojtyla nell’81, nel libro che sta scrivendo afferma che “sarà Agca in persona a spiegarne finalmente il vero significato del codice 158”.
Però intanto anticipa che quel “codice riguardava Agca e non altro”, smentendo così tutte le altre spiegazioni e “rivelazioni”. Compresa quella riguardante l’articolo 1058 del codice di diritto canonico. Trova tutto scritto nella prima puntata dell’intervista alla signora Agca pubblicata da Blitzquotidiano domenica 11 giugno, puntata alla quale ne seguiranno altre 6 o 7.
Beh, ora ci spieghi come è arrivato a concludere che i resti di Emanuela dovrebbero trovarsi “in una stanza di circa 20 metri quadri” dei sotterranei di Castel Sant’Angelo.
“La mia attenzione è caduta sul mausoleo circolare sin da quando Marco Accetti, il fotografo e regista romano che si è inutilmente accusato delle responsabilità nella scomparsa della Orlandi, fece riferimento alla bella pellicola diretta da Luigi Magni nel 1969 intitolata “Nell’ anno del Signore”. Il racconto si svolge quasi per intero all’ interno del mausoleo e il film inizia con molteplici fermo immagine sull’ angelo che lo sormonta e che guarda verso il basso.
Successivamente, all’ epoca delle ricerche condotte a seguito dell’apposita richiesta della famiglia Orlandi presso il Camposanto Teutonico, la lettera che suggeriva a Pietro Orlandi “cercate dove guarda l’angelo” mi ha fatto nuovamente pensare all’ angelo del mausoleo di Adriano. Inoltre, ho avuto modo di riferire a Pietro Orlandi la mia idea ed egli mi rispose che già in passato qualcuno gli aveva parlato di una simile eventualità”.
Strano che l’Orlandi abbia tralasciato quel suggerimento preferendo invece il Teutonico. Forse perché questo a differenza di Castel Sant’Angelo è in Vaticano e sua proprietà. Ma sono solo questi gli elementi di cui dispone e sui quali si fonda la sua richiesta di approfondimenti?
“Si, tuttavia, c’ è anche un altro elemento che ha influenzato la mia determinazione. Si tratta di un elemento assolutamente soggettivo, invito tutti i lettori a non tenerne conto. Si tratta dell’elemento che ho esposto nell’intervista che le ho dato il 30 maggio, vale a dire il feroce scontro interno alla Chiesa sul divieto di matrimonio dei religiosi e in particolare tra religiosi dello stesso sesso.
“I miei studi, gli approfondimenti e tutte le mie ricerche su quell’argomento le avevo messe in rete e quindi le conoscevano molte persone. Ebbene, un giorno, molti anni fa, mi fu recapitato per posta un romanzo, il cui titolo era: “L’ Altare dell’ultimo sacrificio – Uno scandalo senza precedenti sta per abbattersi sul Vaticano”.
Di cosa parla il romanzo?
“La trama si dipana narrando del martirio delle figlie di alcuni dipendenti della Città del Vaticano nelle basiliche stazionali durante il periodo della Quaresima. Insomma, contiene numerosi elementi che corrispondono a quelli da me trattati. Nel racconto fantastico i cadaveri delle ragazze vaticane uccise venivano deposti nei sotterranei di Castel Sant’ Angelo. La mia meraviglia fu tale da indurmi a contattare l’autore dell’avvincente romanzo, il celebre vaticanista Paolo Rodari, autore insieme a Padre Gabriele Amorth, esorcista di fama mondiale, del libro “L’ ultimo esorcista. La mia battaglia contro Satana”.
“Nodari mi confermò la natura fantastica del suo scritto. Gli credo, ma ammetto che la suggestione fu forte. Un prodotto di fantasia, ma dal quale rimasi molto colpito. Rodari nel suo romanzo ha pubblicato anche una pianta particolareggiata di Castel Sant’Angelo. Inoltre nel suo libro con Amorth scrive che la scomparsa di Emanuela Orlandi è un mistero dietro il quale si nascondono sette sataniche”.
Cosa vuole rispondere a chi le contesta le molte piste ventilate.
“Bos asinum cornutu dicit. In italiano: Il bue dice cornuto all’asino. Io ho sempre e solo analizzato l’unica vera traccia, quella costituita dai fatti di San Giovanni in Porta Latina del 20 luglio 1578, dei quali le ho parlato nell’intervista del 30 maggio. Nell’intervista che le ho invece dato oltre 10 anni fa rilevavo l’aspetto della tortura alla quale furono sottoposti i frati dei fatti del 1578, e concludevo che i rapitori di Emanuela volevano che il Papa chiedesse e ottenesse l’abolizione della tortura in Brasile. Nella recente intervista del 30 rilevo invece il matrimonio omosessuale che veniva celebrato tra i frati, per questo torturati e uccisi, e sostengo che l’abolizione del celibato obbligatorio costituisce la chiave del ricatto al Pontefice fatto nel 1983 con il rapimento di Emanuela e Mirella.
Poi ho anche altri elementi.”
Quali?
“Mi riservo di esporli ai magistrati, quello vaticano e quello italiano, se come chiedo e spero vorranno interrogarmi. Intanto faccio notare che aprire, come ho chiesto, la porta di quella stanza sotterranea di Castel Sant’Angelo non è un’impresa insormontabile. Non si tratta di tombe da scoperchiare, e non servono permessi speciali anche perché si tratta di una proprietà italiana, del Comune di Roma, e non di una proprietà del Vaticano.
“A chi sfacciatamente mi ha accusato di raccontare frottole consiglio di studiare di più. D’altra parte.… nolite dare sanctum canibus…“.