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Emanuela Orlandi non fu rapita dai turchi, Pino Nicotri chiude e chiede chi fu? Mistero insoluto da 40 anni

Emanuela Orlandi: il mistero continua. Però… È arrivato in libreria il mio quarto libro sul mistero Orlandi. Si intitola “Emanuela Orlandi, Il rapimento che non c’è”.
Ho voluto rifarmi a bella posta al titolo della canzone di Edoardo Bennato “L’isola che non c’è”, le cui parole pure calzano con questa brutta vicenda che, strumentalizzata senza ritegno da troppi attori, dura da ben 40 anni senza risultati. Emanuela Orlandi, figlia di Ercole Orlandi postino di Papa Giovanni Paolo II, al secolo il polacco Karol Wojtyla, è infatti letteralmente sparita il 22 giugno 1983. E non si sa né chi né perché né come è stata fatta sparire.
Non è che quest’ultimo mio lavoro abbia risolto il giallo. Ne ho scoperto cosa sia successo e per mano di chi alla bella ragazzina vaticana di 15 anni e mezzo. Il libro ha però il pregio di avere confermato in modo incontrovertibile che non s’è mai trattato di un rapimento, cioè di un sequestro a fini di estorsione politica o pagamento del riscatto. Con 40 anni di ritardo anche gli Orlandi hanno infine abbracciato la pista sessuale, già presente nel mio primo libro edito nel 2002 (gli altri sono stati pubblicati nel 2011 e nel 2014).
Il libro demolisce, con argomenti concreti, tutte le principali piste e la sfilza di “supertestimoni”, uno più bugiardo e mitomane dell’altro,  che si sono susseguiti con clamore crescente in questi 40 anni. Comprese le ultime piste, clamorosissime e chockanti, che senza alcun pudore e senza neppure uno straccio non dico di prova, ma di semplice indizio,  vogliono Emanuela sepolta nel cimitero Teutonico interno al Vaticano – e poi fatta sparire anche da lì – dopo essere rimasta vittima delle eccessive attenzioni del pontefice polacco, lo stesso Giovanni Paolo II che la Chiesa il 27 aprile 2014 ha dichiarato santo.
Il tutto accompagnato con insistenza crescente da sussurri e grida che accusano gli ultimi tre Papi di sapere e tacere: Wojtyla-Giovanni Paolo II, Ratzinger- Benedetto XVI, e Bergoglio-Francesco. A quest’ultimo ho fatto avere una copia del mio “Il rapimento che non c’è”, con dedica: “Come sempre, alla difficile ricerca della verità”.
Il libro ha inoltre il pregio di dimostrare che Emanuela Orlandi dopo la scomparsa è rimasta vittima anche del depistaggio delle indagini dovuto alla convinzione, coltivata ad arte, che  l’attentato alla vita di Wojtyla commesso domenica 13 maggio 1981 dal fanatico turco Alì Mehmet Agca, che lo ferì gravemente sparandogli con la pistola durante l’udienza generale in piazza S. Pietro, fosse frutto di un complotto.
Un complotto voluto e organizzato dall’allora esistente e comunista Unione Sovietica per eliminare il pontefice polacco, colpevole di finanziare e alimentare  l’anticomunismo e la annessa ribellione contro l’Unione sovietica nella natia Polonia.
Varsavia fin dalla fine della seconda guerra mondiale era sotto il dominio sovietico come l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Bulgaria e la Romania, separate dall’Europa occidentale da quella che era chiamata Cortina di Ferro. Agca venne fatto passare per un membro dell’organizazzione estremista turca dei Lupi Grigi, che in realtà era invece molto più vicina agli USA che all’Unione Sovietica.
La convinzione sballata che la mano di Agca fosse stata armata da Mosca provocò la convinzione altrettanto sballata che Emanuela fosse stata rapita dai Lupi Grigi per essere scambiata con il giovane turco, condannato all’ergastolo per l’attentato al Papa. All’epoca con l’Unione Sovietica c’era ancora la Guerra Fredda, cessata solo dopo il 1990, e tutto faceva brodo per accusare Mosca di qualunque nefandezza.
La convinzione del complotto era sballata per due buoni motivi:
– Agca era un pasticcione dilettantesco che nessun servizio segreto avrebbe mai arruolato, tanto meno come killer.
– E’ ormai accertato che in carcere era stato imbeccato dai nostri servizi segreti perché si inventasse la famosa “pista bulgara”: che indicava in funzionari bulgari il tramite tra lui e il Cremlino.
E così le indagini vennero depistate in modo radicale. Il primo magistrato addetto all’inchiesta sulla scomparsa, Margherita Gerunda, stava indagando tra le amicizie di Emanuela, ma venne celermente sostituito da Domenico Sica, magistrato che si occupava quasi esclusivamente di terrorismo. Emanuela rimase così vittima anche della mancanza di indagini serie, non preconcette.
Il romanzone del rapimento politico nel 2005 è stato sostituito col romanzone del rapimento malavitoso: la famosa banda della Magliana avrebbe rapito Emanuela per costringere Wojtyla a restituire i molti miliardi di lire depositati nella banca vaticana IOR, ma dirottati e dilapidati dal Vaticano a sostegno della lotta polacca contro il comunismo e l’Unione Sovietica.
Da notare che a parte le molte chiacchiere nessun membro, vero o presunto, della banda della Magliana è mai stato in grado di esibire neppure uno straccio di ricevuta di almeno parte della massa di miliardi asseritamente depositati nello IOR. Come se fossero miliardi a gogò versati sulla fiducia….
Morta anche la pista malavitosa, rivelatasi un altro vicolo cieco, ora è esploso il romanzone della pista sessuale a base di prelati d’alto bordo vaticani, compreso lo stesso Papa Wojtyla.  La pista sessuale – statisticamente la più probabile quando sparisce una ragazzina – l’ho sostenuta nei miei libri, ma senza spingermi così in alto. Restavo nell’ambito statisticamente più probabile delle amicizie, anche del giro familiar parentale. Leggendo “Il rapimento che non c’è” il lettore può farsi una sua idea del possibile responsabile.
Dopo la conferma dell’archiviazione delle indagini e delle accuse verso i sei indagati, decisa il 19 ottobre 2015 dal GIP Giovanni Giorgianni, che confermava l’archiviazione decisa a sua volta dal capo della Procura di Roma Giuseppe Pignatone, sono andato apposta a Roma per consigliare Pietro Orlandi di opporsi all’archiviazione riguardante Marco Fassoni Accetti, il fotografo romano auto accusatosi del “sequestro consenziente” di Emanuela.
Ma non sono stato ascoltato. E così il 5 maggio dell’anno successivo, 2016, la Cassazione ha confermato l’archiviazione tombale, facendo calare definitivamente il sipario sul mistero Orlandi. Che tale è rimasto: un mistero. Contro l’archiviazione l’avvocato Pietro Sarrocco, legale della signora Maria Pezzano madre di Emanuela, ha lanciato accuse pesanti e ha annunciato un ricorso alla Corte di Strasburgo. Che fine ha fatto il ricorso?  Non si sa. Non si sa neppure  se è stato solo minacciato o poi anche realizzato: altro mistero.
E’ strano e può suscitare sospetti anche il fatto che secondo gli accertamenti disposti dalla magistratura è partita dall’interno della Rai la famosa telefonata anonima mandata in onda nel settembre 2005 da “Chi l’ha visto?”. La telefonata cioè che ha dato vita, incredibilmente lunga, all’assurdo tormentone che voleva Emanuela sepolta nel sotterraneo della basilica di S. Apollinare nella stessa bara di Enrico De Pedis, l’asserito “boss della banda della Magliana”. Quella telefonata è stato un colossale depistaggio. E’ inevitabile chiedersi chi all’interno della Rai avesse interesse a farlo.
Non dimentichiamo che un mese prima di sparire Emanuela aveva partecipato a una puntata del progaramma televisivo Tandem, della Rai. Si può escludere che in quell’occasione possa  avere conosciuto qualcuno che le ha fatto credere di poter soddisfare il suo forte desiderio di entrare nel mondo dello spettacolo?
Alimentato in molti modi, specie dal mondo televisivo interessato a fare audience, il “rapimento” di Emanuela  è stato fatto diventare uno show dalle infinite puntate. Ma è diventato anche e soprattutto un interessante spaccato di come si forma un mito metropolitano, una leggenda che diventa Verità inconfutabile, un Dogma. Verità e Dogma perché soddisfa il bisogno popolare di credere all’esistenza di misteri, complotti, comportamenti morbosi e verità inconfessabili da parte del Potere, quale esso sia. Chiesa compresa.
Marco Benedetto

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