Emanuela Orlandi fu rapita, sullo sfondo di un intreccio di misteri che vede confusi i “frati neri” domenicani, l’attentatore a papa Giovanni Paolo II il turco Ali Agca, i meandri della finanza vaticana, la morte del banchiere Roberto Calvi. Questa non è una verità acclarata, ma la tesi sostenuta, nel suo nuovo intervento, da Antonio Goglia, ex maresciallo dei carabinieri di San Giorgio a Cremano (Napoli) da anni appassionato al caso di Emanuela Orlandi.
Goglia ha inviato questo articolo a Blitzquotidiano sempre per il tramite di Pino Nicotri. In questa occasione, Nicotri ha anche pubblicato un suo articolo di commento.
Durante le discussioni del Concilio Vaticano II, uno degli argomenti più dibattuti fu quello della storicità dei Vangeli. Le determinazioni dell’assise furono adottate solo a seguito dell’esame di numerosi emendamenti al testo proposto dalla Commissione all’uopo istituita. Se Cristo avesse una natura divina e fosse il profeta dell’amore per il prossimo, della carità e della fratellanza ed i testi degli evangelisti fossero da interpretare come “umanizzazioni” delle opere del Messia. Oppure, se il Redentore fosse “uomo tra gli uomini”, portatore del messaggio “rivoluzionario” dell’eguaglianza e della liberazione degli oppressi e i Vangeli ne abbiano tramandato la storia è questione tutt’ora esaminata negli ambienti intellettuali.
E’ soprattutto una questione strettamente connessa con il tema spinoso della Teologia della Liberazione, saldamente basata sulla tradizione profetica della Bibbia ebraica e cristiana, e, in particolare, sulla testimonianza evangelica della vita di Gesù, che con il suo annuncio avrebbe preparato e compiuto la liberazione degli oppressi. L’intuizione di fondo che ne veniva fuori era che i poveri potessero prendere coscienza dei loro diritti e della loro liberazione nel nome stesso della loro fede nel “Vangelo di liberazione”.
In particolare alcuni dei Padri Conciliari provenienti dalle aree depresse del pianeta, sostenitori della storicità dei Vangeli e della “chiesa dei poveri” redassero il Messaggio dei vescovi del Terzo Mondo ai loro popoli, firmato, appunto, da quindici vescovi partecipanti al Concilio. Alla terza sessione, finalmente, questo sforzo portò i suoi frutti, nella redazione della Gaudium et spes e di quei testi che, in seguito, avrebbero influenzato il magistero ufficiale, tanto che nel 1975 il papa Paolo VI affermò che “la Chiesa ha il dovere di annunciare la liberazione di milioni di esseri umani, molti di loro essendo suoi figli; il dovere di aiutare questa liberazione a nascere, di rendere testimonianza ad essa, di lavorare affinché sia totale. Ciò non è estraneo all’evangelizzazione”.
Questo messaggio ripreso dall’Assemblea dei vescovi del CELAM a Medellin (Colombia) nel 1968 sotto l’espressione “opzione preferenziale dei poveri”, fu sviluppata in America Latina, tra gli altri, dai teologi Gustavo Gutierrez e Leonardo Boff, dando vita alla teologia della liberazione.
Questa conclusione causò proprio nel sudamerica la gioiosa proliferazione di movimenti popolari volti a realizzare una più ampia giustizia sociale e nel dare sollievo alle fasce maggiormente afflitte della popolazione. Tra i più solerti a diffondere il rinnovato messaggio della liberazione gli esponenti dell’Ordine Mendicante dei Frati Predicatori, i Domenicani, noti anche come “Frati Neri”, ordine fondato proprio allo scopo di diffondere il messaggio di Cristo.
Sfortunatamente, durante l’epoca di cui parliamo, il messaggio del Redentore probabilmente non coincideva con le necessità geopolitiche correnti né con le strategie vaticane.
Con la fine del pontificato di Paolo VI, avvenuto in piena guerra fredda e durante la corsa spasmodica agli armamenti, il tema sopra descritto assunse un’importanza enorme per gli Usa: se fosse stato eletto un Pontefice aperto alle tesi dei liberatori, l’intero Sudamerica sarebbe divenuto un focolaio marxista, anzi un incendio!
Il Patriarca di Venezia, Albino Luciani, eletto Papa, mostrò immediatamente la sua solidarietà e la sua simpatia per quanti desideravano che la Chiesa ritornasse ad essere più aderente alle necessità dei bisognosi ed all’insegnamento della carità. “Provvidenzialmente”, non certo in senso manzoniano, non ebbe il tempo di lasciare la sua impronta nella storia, sebbene proprio la sua scomparsa era destinata a restare tacitamente eloquente.
Con la scomparsa di Albino Luciani cessava la speranza dei derelitti frati domenicani che andavano sostenendo “la chiesa dei poveri” in America Latina e che speravano nell’esplicito sostegno di Giovanni Paolo I. La prematura fine del Papa dei 30 giorni colpiva duramente anche i vertici finanziari del Vaticano che avevano sperato in una riconferma e nella continuità della loro azione, tra questi lo sfortunato banchiere Calvi.
Il papato che stava per esordire era destinato a deludere le aspettative di queste due categorie, di questi due gruppi tanto diversi, ma uniti nel destino di anonimato e di abbandono che incombeva su di loro. I domenicani e i finanzieri.
Vorrei adesso far osservare ai lettori una curiosa coincidenza che definirei geografico – solidale. Nel piccolo territorio della Diocesi di Coira che ricomprendeva, fino al 1988, l’intero stato del Liechtenstein ed una parte della Confederazione Elvetica, convivevano la potente comunità dei Domenicani e i finanzieri che facevano capo al paradiso fiscale di Vaduz, tra questi i banchieri dello IOR che vi avevano stabilito molteplici conti correnti mediante i quali gestivano la finanza vaticana.
In particolare è interessante specificare che i Domenicani si erano stanziati su questo territorio sin dalla fine del XIII secolo. Da allora, erano divenuti sempre più influenti e sempre più connessi al flusso di cassa vaticano verso le banche del principato. Come già detto, l’avvento del nuovo Papa, nella misura in cui sosteneva gli interessi dell’alleato statunitense, danneggiava i domenicani impegnati politicamente in Sudamerica e quelli impegnati finanziariamente in Svizzera, nonché quelli dei banchieri dello IOR esautorati dall’ingombrante Monsignor Marcinkus.
Il caso volle che sin dal 1978 cominciò ad operare sul suolo elvetico, nella località di Olten, un piccolo centro culturale di immigrati turchi, tutt’ora esistente, denominato Otko (www.otko.com). Si trattava di un nucleo di “lupi grigi”.Facendo un salto in avanti, osserviamo relativamente al caso Orlandi, il primo settembre del 1983 una missiva giunse all’ Ansa di Milano.
Proveniva proprio da OLTEN. Si trattava di una lettera diversa dalle altre, non si rivendicava nulla, non si faceva riferimento a niente, si esprimeva semplicemente l’idea che Emanuela Orlandi potesse essere in Svizzera poiché l’attentato al Papa da parte di AGCA era stato organizzato proprio ad Olten.
Anche questa lettera fu assolutamente trascurata dalle Autorità inquirenti, come tutte le altre fu considerata vuota e fuorviante. Il turco era stato assoldato dai Domenicani, i Frati Neri, della Diocesi di Coira e dai loro alleati finanzieri: questa interpretazione collimerebbe clamorosamente con l’asserzione del senatore Andreotti circa la “visita” effettuata da Ali Agca in casa di Padre Morlion, il Frate Domenicano capo del Servizio Segreto Vaticano, ex agente segreto americano, qualche giorno prima dell’attentato.
Lo strano caso del banchiere Roberto Calvi, assurdamente catalogato da alcuni come suicidio, incaricato di reperire insieme all’agente Francesco Pazienza materiale contro il Monsignore Marcinkus, rappresenta la reazione dei nuovi padroni del Vaticano con tanto di avvertimento a tutti i fiancheggiatori.
Questa è la fine che fanno i “frati neri”, cioè i Domenicani, sembra dire il macabro ritrovamento dello sfortunato finanziere appeso all’arcata del ponte, appunto, dei Black Frairs a Londra.
Negli anni seguenti la memoria di questi episodi della guerra fredda interna al Vaticano viene conservata nelle menti di chi, seppure solo inconsapevolmente ha partecipato all’azione contro il Pontefice del 13 maggio 1981. E’ il caso di quell’uomo che appare al fianco del turco Agca nella “fantomatica” fotografia scattata dal fedele Daniele Petrocelli tre giorni prima dell’attentato a Giovanni Paolo II durante la visita di quest’ultimo alla Parrocchia romana di San Tommaso d’Aquino.
La foto ritrae l’attentatore al fianco di un religioso nelle immediate vicinanze del Papa….una foto sottratta al giudizio dell’opinione pubblica, una foto eloquente a cui è stato impedito di parlare….proprio questo religioso, alcuni anni dopo, avrebbe fornito il tema del ricatto ai sequestratori espliciti di Emanuela Orlandi e taciti di Mirella Gregori, rivelando loro le potenzialità propagandistiche del turco.
Si sostiene, infatti, che sebbene Agca fosse stato messo al corrente solo delle strettissime informazioni necessarie ad attentare alla vita del Papa, conoscesse la natura dei mandanti dell’omicidio e potesse tenere, con le sue cognizioni, sotto scacco eminenti personalità del Vaticano ed imbarazzare fortemente gli Stati Uniti dinanzi all’opinione pubblica. La possibilità che si trattasse di un gruppo religioso criminale con obbiettivi terroristici fu, ed è stata negli anni, esclusa nonostante gli stessi sequestratori avessero dichiarato in diversi messaggi di essere responsabili di quattro omicidi “che sembravano incidenti”.
Un’ultima notazione riguarda la telefonata dei rapitori del 5 luglio 1983. Si tratta di un elemento importantissimo che ci consente di collocare temporalmente ed anche spazialmente l’azione del gruppo dei sequestratori.
Certo è, infatti, che la telefonata fu effettuata alle ore 14,04 circa, molto probabilmente da una stazione ferroviaria e nell’imminenza della partenza del treno che si sente fischiare durante la conversazione. Subito dopo il fischio del treno, il telefonista “amerikano” dichiara di non avere più tempo a disposizione quasi come se dovesse saltare sul treno in partenza. Ecco, chi scrive è stato in Piazza della Croce Rossa a Roma, al Museo Ferroviario, al fine di consultare l’orario estivo del 1983 per ben due volte. Credo di essere stato l’unico a fare questa ricerca. Ebbene il Funzionario del Museo che mi aiutò nella consultazione mi disse ad un tratto…”alle 14,09 c’era il treno per Frosinone”….
Allora, andai via deluso, ma adesso che c’è qualche indizio in più mi chiedo quanti e quali conventi e monasteri che accoglievano e riunivano religiosi dediti all’attività missionaria in Brasile esistevano sulla linea ferroviaria Roma Frosinone che attraversava anche il territorio della Diocesi di Velletri- Segni?
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