Emanuela Orlandi, dopo 40 anni il mistero continua. Ora siamo certi che quel clamoroso rapporto dei carabinieri era un documento autentico e non una polpetta avvelenata, difficile ora stabilire la rilevanza del documento ai fini dell’inchiesta.
Certamente Mario Meneguzzi, lo zio Mario, era persona integerrima, coinvolto nella vicenda in quanto cognato del padre di Emanuela. Ma il rapporto dei carabinieri è senza dubbio interessante e merita un approfondimento. Andiamo per ordine.
Il 23 luglio abbiamo scritto del rapporto inviato dai carabinieri al magistrato Domenico Sica il 30 agosto 1983, cioè poco più di due mesi dopo la scomparsa di Emanuela Orlandi. Rapporto inedito, riguardante le confidenze fatte a un ufficiale dell’Arma dall’ingegner Andrea Mario Ferraris, allora fidanzato e oggi marito di Natalina Orlandi, sorella di Emanuela.
Rapporto inedito che, come abbiamo scritto il 23 luglio, ha messo in moto le verifiche della Segreteria di Stato vaticana sfociate dopo otto giorni, cioè l’8 settembre, nella conferma che Natalina nel 1978, cioè all’età di 21 anni, aveva subito “attenzioni morbose” da parte di suo zio Mario Meneguzzi. Che l’aveva anche “terrorizzata” con la minaccia di farla licenziare dal suo lavoro di impiegata nel parlamento italiano se ne avesse parlato.
Di quel rapporto avevamo solo la metà superiore della prima pagina, mancava quindi il nome di chi lo ha redatto e inviato al magistrato Sica. Stando così le cose, di conseguenza non potevamo essere certi della sua autenticità. Oggi ne siamo certi per i seguenti motivi:
– quella mezza pagina a luglio l’abbiamo inviata ai magistrati italiani e vaticani che si stanno occupando delle indagini sulla scomparsa di Emanuela, e non abbiamo ricevuto nessuna smentita della sua autenticità;
– di recente siamo venuti in possesso delle due pagine che compongono il rapporto, alla fine delle quali si legge chiaramente il nome e cognome del maggiore dei carabinieri che lo ha redatto e firmato.
– Vari giorni fa ai competenti magistrati italiani e vaticani abbiamo inviato anche le due pagine complete che compongono tale documento inedito. E poiché neppure di queste pagine ci è arrivata notizia che fossero false se ne deve concludere che il documento è autentico.
Nel documento, i carabinieri forniscono a Sica quel che si dice una informativa, cioè una serie di notizie dettagliate, su Mario Meneguzzi, sposato con la sorella Lucia di Ercole Orlandi e quindi zio acquisito di Emanuela. L’informativa è una prova certa che i carabinieri dopo le confidenze fatte a un loro ufficiale dall’allora fidanzato di Natalina ritengono opportuno “attenzionare” zio Mario al magistrato. E che lo vogliano “attenzionare” riguardo la scomparsa della nipote Emanuela è reso evidente, oltre che dall’oggetto stesso del rapporto, dal fatto che i carabinieri specificano che Emanuela nell’estate dell’anno precedente, 1982, era stata in vacanza nella casa di montagna di suo zio a Torano Borgorose.
Riguardo la casa di vacanza al mare di Santa Marinella i carabinieri scrivono che si trova in via Ecletina e che non ha un numero civico. Questo indirizzo è completamente diverso da quello – via Santa Marinella numero 15 – che Mario Meneguzzi sostenne essergli stato detto da una voce femminile registrata fattagli ascoltare con una telefonata del cosiddetto “Americano”, l’asserito portavoce dei “rapitori”. Il fatto che venisse citato quell’indirizzo era per Meneguzzi la prova che la voce femminile apparteneva davvero a Emanuela, “forse drogata, con la voce impastata”.
Se non mi è sfuggito qualcosa, la voce femminile e l’indirizzo di via Santa Marinella numero 15 specificato da tale voce figurano solo nelle affermazioni di Mario Meneguzzi, ma non ci sono in nessuna registrazione fino ad oggi nota.
A seguito dell’informativa il magistrato Sica decide due cose:
– chiede conferma – e l’avrà l’8 settembre – alla Segreteria di Stato vaticana delle molestie subite cinque anni prima da Natalina da parte di suo zio Mario, molestie evidentemente confidate da Ferraris all’ufficiale dei carabinieri citato senza nome nello stesso rapporto;
– fa controllare i movimenti di Mario Meneguzzi.
Meneguzzi però, evidentemente guardingo, si accorge di essere pedinato da due uomini in auto e chiede conferma all’innamorato di sua figlia Monica, cioè al neo poliziotto di 23 anni Giulio Gangi, appena entrato anche nel servizio segreto civile SISDE come semplice coadiutore senza che i Meneguzzi e gli Orlandi, che aveva frequentato in vacanza a Torano, lo sapessero.
Il fatto che si sia rivolto a Gangi ESCLUDE TASSATIVAMENTE che Meneguzzi potesse pensare di essere seguito dai “rapitori” di Emanuela per eventuali trattative per il suo rilascio. Se avesse sospettato di essere seguito dai “rapitori” avrebbe dovuto infatti RIVOLGERSI AI MAGISTRATI anziché TENERE NASCOSTA la faccenda.
“Se li rivedi prendi nota della targa della loro auto”, gli dice Gangi. E zio Mario quando rivede i suoi pedinatori si annota la targa della loro e la comunica a Gangi.
“Controllai e scoprii che si trattava di una targa fasulla, usata per le auto “coperte” della polizia. E feci la grande cazzata di dirlo a Meneguzzi”, mi ha detto più volte Gangi quando l’ho conosciuto bene e siamo diventati amici: “Ho così distrutto ogni possibilità di indagine seria su di lui. Ormai avvisato e in allarme, si sarà ovviamente comportato di conseguenza”.
E Sica, come mi ha dichiarato il magistrato Ilario Martella, non farà altre indagini “perché convinto che fosse una storia tra la nipote Emanuela e lo zio Mario Meneguzzi”. Storia ormai comunque indimostrabile dopo l’infelice soffiata di Giulio Gangi.
Quando nel 2002 ho riferito questa convinzione di Sica a Egidio Gennaro, per molti anni avvocato degli Orlandi, lui non s’è mostrato per nulla meravigliato: anzi, ha commentato la mia frase con un sorprendente “ah, già”.
L’ALIBI DI MARIO MENEGUZZI
Come dichiarato da Pietro Meneguzzi, figlio di Mario, in una recente intervista Ercole Orlandi la sera della scomparsa cerca per telefono Mario Meneguzzi nella sua casa di Roma, ma zio Mario non c’è. Motivo per cui risponde Pietro, il quale ha dichiarato di avere risposto tra le 21:30 e le 22. E di avere spiegato a Ercole che suo padre era in vacanza a Torano. Sta di fatto che né Ercole né Pietro Meneguzzi si prendono la briga di telefonare a Torano dopo tale telefonata: oppure hanno telefonato senza trovare nessuno? Ercole parla al telefono con suo cognato solo verso mezzanotte.
Mario Meneguzzi ha affermato a verbale che il giorno della scomparsa di sua nipote era a Torano con sua moglie Lucia, sorella di Ercole, Anna Orlandi, altra sorella di Ercole, e della propria figlia Monica. Da notare che Pietro Orlandi ha invece sempre sostenuto, anche nel libro “Mia sorella Emanuela”, che zia Anna quella sera si trovava invece nella loro casa in Vaticano “a preparare la pizza per la cena”.
Anna Orlandi abitava in Vaticano nella stessa casa di suo fratello Ercole e della sua famiglia. C’è perciò da aggiungere che se è vero che in quei giorni o anche solo quel giorno lei stava a Torano con Mario Meneguzzi allora Ercole doveva saperlo: quindi perché cercarlo per telefono nella casa di Roma? Forse perché Ercole aveva telefonato a Torano senza trovare nessuno?
Resta il fatto che a verbale, per quanto se ne sa, NON c’è nulla di sicuro e incontestabile per quanto riguarda la fascia oraria tra le 19 e le 22 circa, la fascia oraria che purtroppo comprende la scomparsa di Emanuela. Dov’era Meneguzzi in quelle tre ore? Questo andava assolutamente verificato, ma NON è stato fatto in modo sufficientemente inattaccabile quanto meno per quanto riguarda la presenza o no di zia Anna Orlandi.
Di per sé non avere un alibi o anche darne uno falso non è una prova di colpevolezza. Una persona infatti a verbale può mentire per tanti motivi: per scarsa memoria, perché magari era con l’amante… o per altri motivi ancora. Il magistrato Ilario Martella ha interrogato Meneguzzi il 31 ottobre 1985, cioè oltre due anni dopo la scomparsa della nipote, e NON ha approfondito dove fosse, con chi era e cosa stesse facendo Meneguzzi in quella disgraziata fascia oraria.
È assolutamente clamoroso oltre che gravissimo che non si sia indagato su questo punto e si sia invece preferito rincorrere per 40 anni tutte le piste esoteriche e apodittiche del momento.
POST SCRIPTUM
Nel rapporto Mario Meneguzzi figura come archivista della Camera dei Deputati e contemporaneamente “responsabile del bouffet della Camera”. Aveva cioè due stipendi, uno da archivista e uno da responsabile del bouffet? Oppure aveva uno stipendio, da archivista, per svolgere un’attività, responsabile del bouffet, diversa da quella ufficialmente stipendiata? Oppure aveva uno stipendio, da archivista, più l’utile realizzato dal bouffet?
Inoltre la scheda sulla società MIDAL 71 riporta che si tratta di una cooperativa edilizia, presieduta dal Meneguzzi, avente per oggetto la costruzione e acquisto di case popolari ed economiche o acquisizioni di terreni edificatori per i soci.
Meneguzzi e gli altri sei soci della cooperativa sono tutti dipendenti della Camera dei deputati.
Il 2 giugno 2006 Pietro Meneguzzi su proposta del Consiglio dei ministri è stato nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.