Emiliano, D'Alema e Renzi, tregua per salvare il Pd...Giovanni Valentini sa che.. Emiliano, D'Alema e Renzi, tregua per salvare il Pd...Giovanni Valentini sa che..

Emiliano, D’Alema e Renzi, tregua per salvare il Pd: Giovanni Valentini sa che…

Emiliano, D'Alema e Renzi, tregua per salvare il Pd...Giovanni Valentini sa che..
Emiliano, D’Alema e Renzi, tregua per salvare il Pd…Giovanni Valentini sa che..

Se Emiliano, D’Alema e Renzi/ decidessero di salvare il Pd…invoca Giovanni Valentini in questo articolo pubblicato dalla “Gazzetta del Mezzogiorno”. Sono due endecasillabi perfetti, [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,-Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] fanno pensare al Guido i’ vorrei che tu e Lapo e io…di Dante. Purtroppo, come nel sonetto di sette secoli fa, è solo un sogno, un incantamento, come scrisse Alighieri.

Karakiri, suicidio collettivo, “cupio dissolvi”. Non si sa più quale altro termine o espressione usare di fronte al letargo, o forse sarebbe il caso di dire coma profondo, in cui è precipitato il Partito democratico dopo la batosta elettorale delle ultime elezioni politiche. A meno di sei mesi da quella sconfitta, il Pd sembra ormai alla deriva, disorientato, smarrito. Un naufrago tra i marosi dell’immigrazione, travolto dall’onda anomala del populismo e del sovranismo. Incapace di reagire e di riprendersi.

E tuttavia, si tratta pur sempre del secondo partito italiano. Un soggetto politico che, nonostante tutto, ha raccolto oltre sei milioni di voti, pari al 18,72%, preceduto soltanto dal Movimento 5 Stelle con il suo 32,68%. Ed è stato il perno di una coalizione di centrosinistra che ha ottenuto complessivamente il 22,85%, con sette milioni e mezzo di voti. Non si può disperdere in pochi mesi un tale patrimonio di consensi né tantomeno liquidarlo come un fallimento.

Che cosa sarebbe la politica italiana senza il Pd? E soprattutto, che cosa accadrebbe al nostro assetto istituzionale, alla nostra collocazione internazionale, alla nostra democrazia repubblicana? Di fronte a questi interrogativi, nessuno può alzare le spalle e fare finta di niente. Non possono farlo nemmeno gli avversari politici, a cominciare dal quel M5S che aveva proposto addirittura un accordo di governo con il Partito democratico.

Eppure, oggi il Pd sembra caduto in catalessi. Diviso al proprio interno. Incerto sulla propria identità e sul proprio futuro. Indeciso a tutto, perfino sulla data del Congresso. Non gli mancano gli uomini e le donne per essere rappresentato degnamente, in Parlamento e fuori. Né le esperienze, le competenze, le capacità per presentarsi come un’opposizione rispettabile e un’alternativa credibile. Ma per il momento non riesce neppure a comporre pacificamente una nuova segreteria né tantomeno a formare un governo-ombra in grado di competere con l’ombra dell’attuale governo giallo-verde, viziato dall’evanescenza del premier, dalle pulsioni autoritarie di un vicepremier e dalle improvvisazioni dilettantesche dell’altro vicepremier.

Che cosa aspetta il Pd, dunque, per convocare al più presto il Congresso, prima di sciogliersi al sole di Ferragosto? Nei giorni scorsi, l’hanno chiesto pubblicamente sia Stefano Bonaccini sia Nicola Zingaretti, entrambi possibili candidati alle prossime primarie, l’uno in rappresentanza della corrente renziana, tuttora maggioritaria; l’altro in funzione di uno schieramento più ampio che potrebbe tentare di riunire le varie anime del partito. E nel frattempo, il segretario in carica Maurizio Martina ha preso opportunamente l’iniziativa di incontrare il nuovo premier socialista spagnolo, Pedro Sanchez, per aggregare un fronte progressista contro i populisti alle elezioni europee del maggio 2019.

Di una cosa, in particolare, ha urgente bisogno il Partito democratico. Di ritrovare innanzitutto unità, un minimo comune denominatore su cui ricostruire un progetto di società e una politica di sviluppo per il Paese. Poi, chi ha più filo tesserà. Ma non si può rinviare il momento della verità che va fissato fin d’ora per la ripresa autunnale, in modo da preparsi alla sfida con lo schieramento “sovranista” che minaccia la stabilità e la tenuta di quell’Europa in cui, anche secondo gli ultimi sondaggi, crede tuttora la grande maggioranza degli italiani.

Sarebbe utile e necessario, in questa prospettiva, che le componenti del Pd sottoscrivessero una pace o almeno un armistizio. Emiliano, D’Alema e Renzi, per dire i tre principali litiganti, insieme con i “padri nobili” del partito e agli stessi candidati alle primarie dovrebbero avere un soprassalto di responsabilità e di generosità politica, per mettere da parte le ostilità e i risentimenti personali, superare le divisioni e partecipare così all’aggregazione di un centrosinistra europeo, contrapposto alla “Lega delle leghe”, xenofoba e razzista, vagheggiata da Salvini.

Certo, è più facile lanciare slogan che lanciare salvagenti. Non si tratta, beninteso, di aprire indiscriminatamentre le porte dell’Europa a chiunque. Ma neppure di chiudere i porti ai rifugiati e ai migranti, contro tutte le convenzioni e i trattati internazionali. Si tratta piuttosto di regolare e ridurre gli sbarchi, all’insegna della solidarietà, coniugando umanità e sicurezza. E cioè di continuare a fare quello che il governo Gentiloni aveva già iniziato a fare, con l’impegno proficuo del ministro Minniti. Un fatto è certo: non basteranno il populismo e la demagogia a fronteggiare l’esodo biblico di questa “emergenza immigrazione”.

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