Fabbrica Italia: ma che freddo fa

di Mauro Coppini
Pubblicato il 20 Luglio 2011 - 17:04| Aggiornato il 26 Febbraio 2020 OLTRE 6 MESI FA

Ha senso progettare e costruire a Mirafiori un Suv Alfa Romeo-Chrysler destinato ad essere vendute negli Usa ed in Europa, quando la piattaforma del veicolo è derivata da un modello Chrysler? Se, come ripete fino alla noia Marchionne, la guerra dell’auto non consente sprechi ed inefficienze, meglio far viaggiare un motore Alfa Romeo dall’Italia all’America al Messico (bastano 40 dollari) che un veicolo intero. Lo si può fare per la Freemont ma solo per far fronte ad una carenza di modelli Fiat che sfiora ormai l’emergenza. E lo stesso discorso vale per la Bertone. La piccola Maserati ed il Suv sono modelli Chrysler (300 C e Jeep) equipaggiati con propulsori della marca del Tridente e di conseguenza la localizzazione produttiva a Torino è priva, almeno dal punto di vista delle convenienze industriali, di ogni logica. Tra un “congelamento” e l’altro aumenta progressivamente la divaricazione tra l’obiettivo di Fabbrica Italia (1.6 milioni di auto) e la realtà (650.000) al punto di autorizzare un certo scetticismo sulla reale possibilità di raggiungerlo.

Ma la sistematica dilazione degli investimenti autorizza anche una altra riflessione. Sergio Marchionne sembra l’unico manager mondiale a considerare il mercato come una variabile indipendente. Per lui non è la domanda che comanda ma l’offerta. E sull’offerta –sembra dire – decido solo io. E’ un po’ come un viaggiatore che salito sull’autobus al capolinea, con tutti i posti liberi ed a sua disposizione, preferisca per una qualche ragione restare in piedi. Durante la corsa l’autobus si riempe ed i posti vengono tutti occupati. Meno uno: quello del passeggero in piedi, in modo che, qualora lo desideri, possa accomodarsi. In realtà l’autobus si riempe e basta e chi è rimasto in piedi deve rassegnarsi ad essere spintonato da tutte le parti aggrappato come può ai sostegni condannato ad un precario equilibrio. Quell’autobus è il mercato europeo nel quale ogni nicchia è sovraffollata e dove non c’è posto per la cortesia ed il rispetto per gli anziani ed più deboli.

La Fiat produce in Italia per l’Europa ma le vendite sono in continua discesa. La gamma prodotto è ridotta ai minimi termini ed in questa situazione la “Fabbrica Italia” che dovrebbe produrre quei Suv che oggi sono i modelli più richiesti, è in perenne standby. Ma non tuto il male viene per nuocere perché così si può annunciare trionfalmente che gli stabilimenti della Chrysler producono in un solo mese quanto gli stabilimenti italiani in tre. Ignorando ancora una volta (era già avvenuto per quello che riguarda il confronto tra Tichy e Pomigliano) che questi sono frutto della combinazione tra l’efficienza delle linee produttive e la competitività  del prodotto. Tutte queste cose, naturalmente, Marchionne le sa. Ed allora non resta che prendere atto di un progressivo ridimensionamento della Fiat in Europa dove ormai rimane spazio solo per la produzione di alta qualità e ad alto valore aggiunto. La concorrenza dei coreani e dei giapponesi nei segmenti inferiori rischia di rendere troppo costoso ed improduttivo difendere il territorio. Ed il successo della Giulietta che sembra più il frutto della necessità di mettere un po’ di carne intorno ad un osso che pare far gola a Volkswagen, è un ulteriore prova di questo stato di cose.