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Il fantasma di Pétain che avvelena la Francia e Macron: eroe o infame?

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Il fantasma di Pétain che avvelena la Francia e Macron: eroe o infame?

“Il passato che non vuole passareˮ è l’azzeccatissimo titolo di un saggio di Ernest Nolte, controverso storico della Germania novecentesca. Potrebbe adattarsi anche agli anni bui della storia francese, quelli del regime di Vichy, guidato da Philippe Pétain. Il generale è stato protagonista delle due guerre mondiali: durante la prima è stato capace di tener testa all’esercito tedesco a Verdun; durante la seconda, ha scelto la capitolazione, guidato un regime collaborazionista e promulgato le leggi razziste, costate la deportazione e la morte a 80 mila ebrei. Una traiettoria che ha creato imbarazzo  a tutti i politici del dopoguerra.

Emmanuel Macron non fa eccezione. Per tutta la settimana, è nel Nord-Est del paese, teatro della guerra 14-18. E anche per lui il tema Pétain è diventato scottante: cosa fare di quell’ingombrante personaggio della storia francese? Sabato 10, in una cerimonia nella corte degli Invalidi, senza il presidente ma con le alte cariche militari, il nome di Pétain doveva essere citato insieme a quelli degli altri sette marescialli di Francia, elevati a quella dignità per aver contribuito alla vittoria nella Grande Guerra. Di fronte alla levata di scudi delle opposizioni, al disappunto di una parte degli storici e alle critiche della comunità ebraica, non se ne farà niente : l’omaggio sarà riservato solo ai cinque marescialli sepolti nell’Hotel des Invalides.

Il fantasma di Pétain, insomma, continua ad allungare la sua ombra sulla politica francese. De Gaulle, che pure fu il capo della Francia Libera contro Pétain, non esitò a riconoscere il suo ruolo nella prima guerra mondiale: la gloria acquisita a Verdun, disse nel 1966, non può essere “contestata, né misconosciuta dalla patria”. Nel 1968, De Gaulle fece deporre una corona di fiori sulla tomba di Pétain, sull’isola di Yeu, per il cinquantenario della vittoria nel 1918. Dieci anni dopo, Valéry Giscard d’Estaing, fece lo stesso. E François Mitterrand rese lo stesso omaggio a Pétain e agli altri marescialli di Francia dal 1986 al 1992. In un’intervista, Mitterrand sottolineò le contraddizioni della storia: non si può dimenticare “la più grande battaglia che la Francia abbia combattuto e vinto”, non si possono strappare dalla storia degli uomini che l’hanno fatta. Anche se venticinque anni dopo sono stati i protagonisti di “una vergogna che non potrà mai essere cancellata dalla storia del nostro Paese”.

Jacques Chirac cercò di superare quella contraddizione, senza riuscirci del tutto : nel 1995, fu il primo capo dello Stato a riconoscere la responsabilità della Francia nella deportazione degli ebrei. Ma un anno dopo, celebrando Verdun, rese anche lui omaggio al maresciallo: “Un uomo ha saputo prendere le decisioni che porteranno alla vittoria. Resterà come il vincitore di Verdun. Quest’uomo è Philippe Pétain. Ahimé, nel giugno 1940, lo stesso uomo, arrivato al tramonto della sua vita, coprirà con la sua gloria la scelta funesta dell’armistizio e il disonore della collaborazione”.

Macron, in fondo, non ha detto altro: Pétain è stato anche “un grande soldato” durante la prima guerra mondiale, malgrado “le scelte funeste” prese durante la seconda. Per poi aggiungere: “Ho sempre guardato in faccia la storia del nostro paese. Non nascondo nessuna pagina della storia”.

Le polemiche, tuttavia, restano: chi può dare una parola definitiva? Gli storici hanno il monopolio della verità? I politici devono o no dire la loro sul passato del proprio paese? La “contraddizione fondamentale”, come la definì Mitterrand, esiste ancora. A meno che non si cominci a cambiare ottica, come fanno alcuni storici, per i quali Verdun (300 mila morti e 400 mila feriti francesi e tedeschi) dev’essere ricordata soprattutto per il sacrificio di quei poveri uomini mandati al macello. Altri storici invitano alla calma: non c’è nessuna riabilitazione, anche quando si parla del ruolo di Pétain nella Grande Guerra: “La sua condanna è definitiva”. Il dibattito è ancora aperto.

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