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Festival di Sanremo, Amadeus ha ceduto al fascino dell’ipocrisia, ultima spiaggia di una sinistra allo sbando

Anche quest’anno il Festival di Sanremo non ha saputo resistere alla tentazione dei grandi pipponi, cioè alle prediche retorico moraliste da pulpiti almeno in parte improbabili e comunque sovradimensionati.

Quest’anno però c’è l’aggravante di una pesante “dimenticanza” da parte di un Roberto Benigni che rischia di somigliare sempre più a un comico di corte. Aggravante aggravata dalla presenza al Festival del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal suo non poter certo rimbeccare Benigni in diretta televisiva dal palco dell’Ariston, sicché il suo silenzio può essere scambiato per assenso. Scambio che pare sia in realtà purtroppo avvenuto, visto che NESSUNO ha fatto rilevare le certamente non casuali omissioni di Benigni. Che è stato chiamato a cantare nella prima serata le lodi della Costituzione italiana fresca del 75esimo compleanno. Spettatore decisamente d’eccezione il Presidente della Repubblica.

L’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, entrata in vigore l’1 gennaio 1948,  era composta di 556 deputati, fu eletta il 2 giugno 1946 e si riunì in prima seduta il 25 giugno nel palazzo Montecitorio. L’Assemblea continuò i suoi lavori fino al 31 gennaio 1948. Durante tale periodo si tennero 375 sedute pubbliche, di cui 170 furono dedicate alla discussione e all’approvazione della nuova Costituzione. Come si vede, il parto stato più laborioso e lungo di quanto Benigni ha voluto far credere a Sanremo, dove ha parlato di eccezionalissima velocità nel mettere assieme i suoi 139 articoli e le 18 disposizioni transitorie e finali. 

Ma il fatto grave, gravissimo è che il cantore sanremese della nostra Costituzione nel fare i principali nomi dei parlamentari costituenti ha citato giustamente Alcide De Gasperi, leader dei democristiani, ma ha omesso di citare guarda caso Palmiro Togliatti, leader dei comunisti italiani, e Pietro Nenni, leader dei socialisti italiani. Ha cioè tranciato di netto l’intera sinistra. E ha invece proclamato il presente e divertito spettatore Sergio Mattarella “fratello della Costituzione” perché suo padre Bernardo, potente democristiano siciliano, era tra i costituenti e tanto è bastato a Benigni per definirlo “padre della Costituzione”.

Ed essendo quindi questa “figlia di Bernardo Mattarella” ecco che il nostro presidente della Repubblica è stato dichiarato da Benigni “fratello della Costituzione”, tra gli applausi entusiasti del pubblico del Festival. Il tutto saltando a piè pari gli altri 555 padri della Costituzione, a partire da Nenni e Togliatti. 

Ulteriore aggravante “benignea”, avere citato l’oppressione del fascismo e annessa liberazione senza neppure mai accennare alla Resistenza. Un chiaro falsare la Storia per allinearsi al vento politico ormai dominante in Italia. Né più e né meno come nel 1997 col film La vita è bella, che due anni dopo ha vinto tre Oscar, ha fatto liberare dai militari USA un campo di sterminio nazista senza nome, ma che nell’immaginario della gente era ed è inevitabilmente quello di Auschwitz, composto da 40 campi diversi liberati in blocco dai sovietici. Sovietici che si usa chiamare russi già prima del 26 dicembre 1991,  giorno dello scioglimento dell’Unione Sovietica.

Che la politica sia soprattutto e sempre di più spettacolo è noto a chi segue il Festival. E Benigni col suo lungo e disinvolto pippone lo ha dimostrato un’altra volta. Imitato da Chiara Ferragni e Paola Egonu.

Il pippone, pardon la predica, pardon l’intervento – o arringa? – di Chiara Ferragni lo si potrebbe liquidare con poche parole, ma vale la pena dedicarci qualche parola in più. Lei è sicuramente una imprenditrice geniale e di grande successo, tanto di cappello, ha anche tenuto due lezioni sul proprio successo nel “fashion sistem” alla molto prestigiosa Università di Harvard. Secondo le stime, il suo patrimonio di sarebbe di 40 milioni di dollari. 

Nel 2016 Forbes l’ha inserita nella lista dei 30 under 30 più influenti al mondo, e oggi ha più di 27 milioni di followers, cosa che le permette di incassare oltre 82mila euro per ogni post sponsorizzato. Dopo aver collaborato con i più importanti stilisti e designer di moda al mondo, i marchi, pardon, le griffe e i brand Pantene, Morellato, Calzedonia e Intimissimi se la sono accaparrata come testimonial a suon di bei quattrini. 

Insomma, Ferragni è un colosso del mondo della pubblicità, della moda e relativi accessori, del look, delle griffe, dei brand, del trucco detto in modo meno casereccio make up, rossetti compresi, e di quant’altro faccia parte del “fashion sistem” che ha illustrato ad Harvard. Di quel mondo cioè al quale sotto le potentissime spinte della pubblicità e annessi e connessi deve fare riferimento ogni donna per sentirsi alla moda, a la page, attraente, “in” anziché “out”, a costo di spendere e spandere per rinnovare in continuazione il guardaroba e il look. Spendere e spandere perché si tratta di un mondo che non ti dà nulla gratis, si fa pagare e anche bene. E quello rappresentato da Chiara Ferragni NON è certo alla portata di tutte le tasche, pardon, delle borse e borsette preferibilmente ultimo grido (alcune da lei esibite in foto di fatto pubblicitarie ho letto con sgomento che costano anche 100mila euro). Un mondo, quello della moda e dei look a getto continuo e consumismo perpetuo, che per le donne è di fatto come una gabbia per sentirsi almeno un po’ eleganti o almeno al passo coi tempi, sufficientemente belle o almeno carine e comunque attraenti, non anonime, non confuse nella massa.

Stando così le cose, è piuttosto contraddittorio, se non grottesco, che Ferragni si sia presentata al Festival con una lunga gonna a forma di gabbia per veicolare il messaggio che le donne devono “uscire dalle gabbie”. E che al Festival abbia sfoggiato sulle spalle la scritta a caratteri cubitali “SENTITI LIBERA”. Libera dai lacci e lacciuoli, dai diktat e dalle gabbie della moda? Impossibile. 

La lunga lettera scritta per la sua bambina ancora infante, archetipo di tutte le bambine del mondo, le sprona più volte perché crescendo sia e si senta se stessa, senza condizionamenti e senza temere i giudizi altrui. Però poi nella pause per la pubblicità arriva lo spottone che alle giovani e giovanissime  per essere se stesse raccomanda caldamente fin da bambine i prodotti di bellezza Sephora…

E a proposito della lettera non è stato elegante affermare che lei s’è fatta da sola e alludere a chi invece ha osato prendersi parte del merito almeno iniziale del suo grande successo. Chiara e un po’ velenosa allusione all’ex fidanzato Riccardo Pozzoli,  co-fondatore di The Blonde Salad, la pagina web con la quale Ferragni ha dato l’assalto al cielo del business modaiolo, ex socio in affari e suo accompagnatore nella lectio magistralis del 2014 all’università di Harvard. Ancora nel 2019 il magazine online CEO Today lo definiva creatore del neologismo “influencer” e altro ancora riguardo anche The Blonde Salad:  

Riccardo Pozzoli – The Man Who Monetised Blogging

“CEO Today had the pleasure to connect with Riccardo Pozzoli – a 33-year-old entrepreneur, adviser and author from Italy who co-founded The Blonde Salad – a media and talent management company which was born out of Riccardo’s ex-business partner Chiara Feragni’s fashion blog. Currently, Riccardo works as a consultant for brands and helps promising projects and start-ups take off. Below, he tells us all about his current work, The Blonde Salad’s beginnings and how that project transformed blogging forever and created the term ‘influencer’. 

Veniamo alla co-conduttrice delle terza serata del Festival, cioè alla signora Paola Egonu, campionessa di pallavolo, sport nel quale la sua statura da stangona, 193 centimetri senza i tacchi indossati a Sanremo, le ha permesso di eccellere come “schiacciatrice.opposta”. Senza dubbio più spigliata ed empatica, magari anche più simpatica, della Ferragni e della giornalista conduttrice televisiva Francesca Fagnani, co-conduttrice della seconda serata del festival, non ha resistito alla tentazione di lamentarsi per il razzismo che sostiene di avere subito e subire perché figlia di genitori nigeriani, immigrati in Italia, nella veneta Cittadella dove Paola è nata nel dicembre del ’98. Per fortuna s’è lamentata in forma più blanda di quella della conferenza stampa della mattinata. Però anche se in modo non greve lo ha fatto. Per fortuna in modo meno lagnoso e grottesco dell’ospite “di colore” al Festival dell’anno scorso, l’attrice italo senegalese Lorena Cesarini 

Egonu è diventata nota al grande pubblico quando tempo fa si è infuriata perché “c’è stato chi mi ha chiesto perché sono italiana”, domanda a suo dire talmente razzista da avere contribuito, probabilmente assieme al ricco ingaggio, a trasferirsi in Turchia come giocatrice di una squadra locale. In vita mia nessuno mi ha accusato di essere razzista, da universitario a Padova ho abitato con universitari somali, e tutt’ora ho amicizie “di colore nero”, africane e brasiliane, ma mi sono chiesto anch’io: “Perché Paola Egonu è italiana?”.

E così mi sono informato e ho appurato che nel 2014, cioè all’età di soli 16 anni, le è stata data la cittadinanza italiana dopo che era già stata data, con annesso passaporto, al padre. Francamente non mi pare da razzisti chiedere a una persona statuaria che parla con accento veneto pur avendo la pelle nera “perché sei italiana?”. La curiosità mi pare ovvia. Solo un ipocrita o una persona indifferente al prossimo può non incuriosirsi neppure di fronte a chi come Egonu coi suoi 193 centimetri più i tacchi non passa certo inosservata e dare invece tutto per scontato. Ma poi: “tutto” cosa?

Certo, ci sono razzisti e imbecilli anche in Italia, come in tutto il mondo. In Italia comunque meno razzisti che per esempio in Francia e in Inghilterra, perché nel BelPaese i matrimoni misti non sono né una rarità né una novità e nelle città non ci sono interi quartieri  ghetto per immigrati “di colore”. 

Ma mi chiedo come possa essere considerato razzista un Paese che, oltre a darle la cittadinanza a soli 16 anni e a nominarla – il 20 settembre 2021 – Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, ha fatto fare a Egonu aTokio nel 2020 la portabandiera della bandiera olimpica dell’intera partecipazione italiana alla cerimonia di apertura della 32esima Olimpiade. 

In Italia Paola Enogu, giocatrice della Imoco Volley di Conegliano, ha cominciato a far parte fin dal 2015 delle squadre nazionali Under-18, Under-19 e Under-20 per i campionati mondiali ed europei. Cosa che le ha permesso anche di mettere a segno qualche record e vincere i relativi titoli e medaglie. E cosa che le ha permesso anche di diventare nella stagione 2021-2022 una delle conduttrici del programma televisivo di successo Le Iene.  

Se Paola Egonu avesse la pelle bianca e fosse nata da genitori italiani di pelle bianca, avrebbe avuto le occasioni e la fama che ha avuto e che ha? Insomma: sarebbe diventata  quello che è diventata? Non è che la pelle nera le ha dato delle chance in più anziché in meno?

Certo, Egonu come giocatrice schiacciatrice di volley è una campionessa di levatura mondiale. Ma mi sia consentita un’altra domanda: non deve nulla – oltre che ad allenatori, direttori tecnici e  preparatori – alle altre atlete della sua squadra? Non esisteva il forte “contorno” – cioè appunto la squadra –  che le ha permesso di diventare quello che è diventata? E allora pongo anche un’altra domande senza chiedere il permesso a nessuno: come mai la campionessa Egonu NON nomina mai, al Festival e altrove, le sue compagne di squadra? Se non qualche fidanzata, essendo lei sessualmente “fluida”, cioè anche bisessuale. Non è che in questo suo silenzio c’è, sia pure senza volerlo, oltre al “normale” egocentrismo dei famosissimi e baciati dalla fortuna magari anche un pizzico di razzismo al contrario?

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