ROMA – Tutti i nodi della gestione Marchionne sono arrivati al pettine dei mercati? Le disastrose performance del titolo Fiat degli ultimi giorni autorizzano pensieri foschi. In meno di un mese la Fiat ha perso in borsa un terzo del suo valore. Da gennaio una metà secca. Giovedì a Piazza Affari ha chiuso a -11,8% e le nubi non accennano a diradarsi. Ancora tre settimane fa il manager cui la stampa italiana aveva già innalzato un monumento equestre predicava ottimismo a tutto spiano, assicurando che la situazione, pur nella tempesta finanziaria, era sotto controllo. Non la pensano così evidentemente gli investitori che corrono a vendere i titoli industriali, magari per dirottarli su quelli finanziari in questo momento a prezzi di saldo.
Va riconosciuto, ovviamente, che tutto il settore automobilistico, ciclico per definizione, è in fase recessiva. In questa fase critica i consumatori ci pensano due volte prima di acquistare un’automobile nuova o sostituire quella vecchia. Lo conferma anche il prospetto diramato da Goldman Sachs che prevede un restringimento del mercato automobilistico del 3% in Usa e del 7% in Europa nel 2012. E’ chiaro che questo scoraggia gli investitori. Tuttavia non tutti i gruppi automobilistici perdono alla stessa maniera. Fiat perde il doppio della concorrenza.
La sfiducia dei mercati è solo una parte del problema, quindi. Nel caso di Torino pesano altri elementi, potenzialmente più preoccupanti. Intanto le vendite in Italia sono calate a luglio del 10% rispetto all’anno precedente. Il boom annunciato della ” 500″ negli Stati Uniti è rimasto un annuncio, con Maserati che ha dovuto richiamare dei modelli già venduti, certo non un buon biglietto da visita per il Suv Maserati in procinto di essere lanciato. In India il partner Tata vuole rivedere le condizioni dell’alleanza perché di modelli se ne vendono pochi: se chi acquista la Nano non prende la Punto, a rimetterci sono solo i partner di casa. In Brasile, fiore all’occhiello della Fiat globalizzata di Marchionne la Volkswagen minaccia di spodestare il marchio italiano dal podio di primo produttore.
Ma la questione più importante è l’enorme indebitamento del gruppo, il maggiore lascito della strategia globale di Marchionne. L’esposizione debitoria netta di Fiat-Chrysler arriverà a fine anno a 5 miliardi di euro, contro i 3,4 di fine giugno. Il debito complessivo, comprese le poste finanziarie, dopo l’integrazione con Chrysler ha superato i 26 miliardi. I costi del salvataggio pesano come un macigno, finendo per allarmare ancor di più gli investitori. La partita a Detroit con i sindacati americani non è ancora conclusa. Si dovrà stabilire il prezzo delle azioni Chrysler detenute dal fondo pensioni di Bob King. Una trattativa vera che forse in molti rimpiangeranno di non aver nemmeno impostato quando Torino si è vista di punto in bianco trasformata in una succursale. Ora si punta tutto sugli effetti della fusione e sull’immissione nel mercato mondiale, Asia in testa, dei nuovi modelli assemblati dopo la fusione. La novità è che, per evitare ulteriori tensioni tra Detroit e Torino, probabilmente la sede legale verrà insediata in campo neutro, in Olanda. Anche per risparmiare un po’ sulle tasse.
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