Figli in affidamento condiviso. Genitori a turno nella casa coniugale

Una nota rivista, allegata ad un quotidiano nazionale, ha riportato, con un lungo articolo di commento, una decisione del Tribunale per i Minorenni di Trieste (definita “spiazzante” dal giornalista), secondo cui “ di fronte ad una situazione particolare in cui era impossibile capire chi fosse idoneo al collocamento della figlia, ha così stabilito: la bambina è affidata in modo condiviso a entrambi i genitori, ma resterà nella casa di proprietà e entrambi i genitori si alterneranno nell’abitazione, con turni di una settimana ciascuno. Ogni lunedì mattina, fuori uno e dentro l’altra, con valigie, oggetti personali e, data la piccola età della figlia, anche una nonna o una zia al seguito per dare una mano.” Il Giudice, intervistato, risponde “ Si tratta di un caso ancora aperto, un provvedimento provvisorio, l’unico possibile data la singolarità della situazione, e dove ho tenuto conto delle possibilità economiche. Quello che cerchiamo di respingere è semmai un collocamento “ping pong”: le richieste dei genitori che restano a casa loro e pretendono che i figli stiano per una settimana o un mese a testa da loro. Il tempo del minore non deve essere diviso in due tra gli adulti.” Secondo il giornalista, il caso della bambina triestina costituisce una prima assoluta, ci sono stati casi di condivisione della casa delle vacanze, altri in cui i genitori si sono accordati da soli per alternarsi nella casa coniugale, mai una scelta così imposta dal Giudice.

C’è chi ha espresso un parere non contrario al provvedimento, uno psicoterapeuta milanese ha affermato “…penso sia un vantaggio il fatto che bambini, soprattutto così piccoli, non debbano spostarsi. La stabilità è un elemento fondamentale, stessa casa significa magari la presenza di un animale, odori, relazioni, spazi propri. Se questa scelta è buona, allora dovrebbe durare almeno un mese a testa…”.

Personalmente lancio un grido di allarme, evidenziando che tale preoccupazione proviene da chi nel lontano 2006 ha curato una separazione consensuale tra due coniugi, prevedendo, per l’appunto, una loro alternanza nella casa coniugale.

Ma il contesto era diverso e la sua validità, va ribadito, aveva senso solo perché si trattava di un accordo tra le parti e non di un’imposizione del Giudice.

Primo: nel caso da me seguito, i coniugi / genitori avevano un buon rapporto, il con-flitto era pressocchè inesistente, ed il dialogo sulla genitorialità molto ben avviato;

secondo: i coniugi/genitori avevano ben quattro figli, per cui la casa coniugale ave-va una grande metratura;

terzo: gli stipendi dei due genitori si aggiravano intorno ai 2.000,00 euro mensili per uno e 2.800,00 euro per l’ altro;

quarto: con i due redditi suindicati, il genitore non collocatario, che avrebbe dovuto lasciare la casa coniugale, non avrebbe potuto affittare un’altra casa di un’ampiezza tale da ospitare i quattro figli durante i vari pernottamenti, considerate anche tutte le spese accessorie e di mantenimento che una separazione comporta.

Nel caso del Tribunale per i Minorenni di Trieste, la situazione appare ben diversa.

L’allarme nasce dalla considerazione che una siffatta modalità di alternanza, adottata di imperio dal Tribunale e non su concorde volontà dei coniugi, non risolve ma provoca ulteriori conflitti. Come faranno i genitori, che spesso si detestano, non si sopportano e non riescono a parlare tra di loro, a sopravvivere in una situazione del genere ed in particolare nel momento in cui si incontrano per “alternarsi”?

E’ davvero preoccupante; occorre prendere posizione contro la scelta del Giudice triestino, soprattutto in considerazione del fatto che tale decisione, come spesso avviene nel mondo del diritto, crea un precedente al quale altri Tribunali potrebbero richiamarsi. Si potrebbe espandere così, a macchia d’olio, un orientamento che desta serie perplessità e preoccupazioni.

Ci chiediamo se il Giudice triestino, nell’adottare tale alternanza, abbia riflettuto sul seguente ulteriore rischio: il conflitto tra i genitori e i loro continui litigi ed incomprensioni, ricadono subito sulla qualità di vita dei figli. Le tensioni tra il padre e la madre incidono, ovviamente, sulla loro disponibilità e capacità genitoriale, per cui se da una parte il Tribunale ha ritenuto di poter tutelare i figli, dall’altro, con certezza, li ha esposti a una sorta di convivenza forzata tra i genitori, che ha indubbie ricadute negative sui figli. Cui prodest?

E’ vero che la separazione tra i genitori crea delle situazioni di difficile soluzione: i genitori in case diverse ed al centro i figli contesi; il desiderio del padre e della madre a condividere maggior tempo con i figli, e la contemporanea necessità di stabilità dei minori. La legge sull’affidamento condiviso ha in concreto determinato una maggiore richiesta di permanenza dei figli da parte dei padri, così causando quell’effetto chiamato “ping pong”, criticato dal Giudice triestino. Affidamento condiviso non significa condivisione dei tempi: se un genitore sente che il figlio ha bisogno dell’altro deve saper rinunciare alle proprie ore; sicuramente i figli minori hanno bisogno di stabilità, il passare di frequente da una casa all’altra li destabilizza, li rende irascibili perché li stanca, dà loro difficoltà di concentrazione, di applicazione nel fare i compiti, li rende iperattivi, con tutto ciò che tale disagio comporta.

Ma la soluzione a queste difficoltà a queste difficoltà non è l’alternanza dei genitori nella casa coniugale, sia pure come scelta provvisoria.

Credo che anche su tali profili ci sia ancora da riflettere per ottenere una buona applicazione della legge sull’affido condiviso.

 

 

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