Fiscal compact. Manovra da 20 miliardi di euro in autunno di tasse e tagli

Fiscal compact. Manovra da 20 miliardi di euro  in autunno di tasse e tagli
Matteo Renzi sfida Angela Merkel. In ballo una stangata da 20 miliardi

Gustavo Piga ha scritto questo articolo per il suo blog, Gustavopiga.it.

Malgrado il clima ancora di “vacanza” in attesa delle nuove nomine europee (il cui esito ogni giorno che passa è sempre più vicino alla conferma di personaggi mediocri che non segnano nessuna discontinuità con il passato), il messaggio che arriva dall’Europa è assai netto: non che capiamo molto di quello che ci avete proposto, ma voi dovete capire bene quello che vi diciamo noi, una volte per tutte.

Mentre la stampa italiana fa finta di nulla, facciamo un po’ di chiarezza su dove stiamo andando a sbattere nel nostro volo europeo e perché: contro una montagna, senza nessun dubbio, a meno di radicali cambiamenti alla guida dell’aereo.

Il Consiglio europeo, nel giudicare i conti italiani, paragona le proposte programmatiche del Governo italiano per il periodo 2014-2018 (DEF) alle stime per il 2014-2015 dalla Commissione europea, nelle sue previsioni dell’ultimo maggio. Dal che fa emergere come:

a) Il deficit strutturale italiano nel 2014 sarebbe dello 0,8% del PIL anziché dello 0,6% del PIL previsto dal Governo (sforamento di 0,2% di PIL);

b) Il deficit strutturale italiano nel 2015 sarebbe dello 0,7% di PIL anziché dello 0,1% previsto dal Governo e dello 0 richiesto dal Consiglio europeo (sforamento di 0,7% di PIL);

c) la regola della riduzione minima del debito pubblico sul PIL per il 2014 e 2015, invocata dal Consiglio europeo ai sensi del rispetto del Fiscal Compact, non sarebbe inoltre rispettata in assenza degli aggiustamenti degli sforamenti di cui ai punti a ) e b) e di un piano di privatizzazioni definito “ambizioso” (e comunque strutturato sul periodo 2014-2017) .

Come risponde il Governo italiano a queste critiche? Non è dato esattamente sapere, e non solo a me: anche il Consiglio europeo richiede più chiarezza nei documenti ufficiali sulle manovre proposte.

È probabile comunque che Renzi e Padoan abbiano negoziato una “chiusura degli occhi” rispetto allo sforamento di 0,2% di PIL (circa 3 miliardi di euro) nel 2014 di deficit strutturale, ma non possiamo escludere una qualche sorpresa extra nell’autunno. Mentre per il 2015, allacciatevi la cintura: oltre agli 0,2% di PIL del 2014 rinviati, la manovra autunnale, che già incorpora una correzione di 0,4% di PIL, per passare dallo 0.7% di PIL stimato dalla Commissione allo 0 richiesto avrà bisogno di un altro 0,3% di PIL. Quindi 0.3% mancante più 0,2% trascinato dal 2014 fa 0,5% di PIL, circa 8 miliardi di euro da trovare per il 2015.

Ma che sia chiaro, 8 miliardi che si aggiungono a quanto già previsto dal Governo, che inserisce, nel suo piano per il 2015, una crescita dell’avanzo primario da 2,6% a 3,3% del PIL, sì, altri 0,7% di PIL, altri 12 miliardi, di manovra.

Una manovra quindi di 12+8, ossia 20 miliardi di euro da approvare in autunno di maggiori tasse e minori spese applicata su di un paziente già sfinito da mancanza di domanda interna, consumi ed investimenti, privati o pubblici che siano. E se aggiungete a queste cifre i soldi da trovare per il rinnovo degli 80 euro, ecco magicamente apparire l’esigenza di trovare circa altri 10 miliardi di maggiori tasse o minori spese!

Conclusione? Senza eccessive drammatizzazioni: il PIL 2015 è destinato a crollare sotto manovre di questo tipo, e con essa l’Italia e con essa l’Europa. L’alternativa apparentemente a disposizione, quella di chi dice che alla fine tutto verrà risolto a tarallucci e vino, non pare migliore. Se infatti queste cifre richieste dall’Europa non fossero realistiche (e tutti lo verrebbero a sapere, statene certi), allora scordatevi che questa Europa basata sulla menzogna ed il quieto galleggiare possa avere più di 4-5 anni di vita: niente PIL e zero credibilità sono un cocktail micidiale per qualsiasi investitore che volesse prezzare il rischio Europa. Lo spread reale, che tiene conto della deflazione in arrivo, è già ai massimi: il collasso è vicino. Quanto vicino? Un anno? Dieci? Per i tempi di cui necessita una unione di diversi a formarsi (gli Usa vi misero quasi un secolo e mezzo), un nonnulla comunque.

Come, direte, uno veloce come Renzi, non riuscirà a fare le riforme che servono a far ripartire l’Italia? Io non so se le riforme che sta studiando il nostro premier sono veramente quelle di cui il Paese ha bisogno, ma so per certo una cosa: anche Usain Bolt, trattenuto da un gigantesco elastico, non va da nessuna parte e perde la gara.

C’è un altro modo di vedere il Fiscal Compact, oltre che nella forma di un gigantesco elastico: immaginatelo come un pilota automatico, assolutamente funzionante ed a regime, sull’aereo che ci conduce verso il futuro. Peccato che la turbolenza della recessione sopraggiunta sta facendo schiantare l’aereo sulla montagna che volevamo scavalcare con il motore possente dell’euro, capace di potarci lontano. Ma nessun motore potente va alcunché senza una strategia di volo intelligente. Che in questo momento richiederebbe che il pilota prendesse il comando del volo, disinserendo il pilota automatico. Il referendum che sosteniamo contro l’applicazione meccanicistica della politica fiscale va esattamente in questa direzione: da luglio saremo in tutte le città italiane, sosteneteci con la vostra firma.

Ma che sia chiara una cosa: levare il pilota automatico è condizione necessaria ma non sufficiente per riprendere in mano l’aereo. Ci vuole un pilota competente ed abile, che sappia fare le politiche giuste e le riforme appropriate. Chi legge questo blog sa bene quali queste siano per lo scrivente e come e quanto differiscano da quelle suggerite dai vari partiti e movimenti attualmente in Parlamento.

Un deficit che invece di scendere da 2,6 a 0,9 di PIL dal 2014 al 2016 si mantenesse costante al 2,6% – rispettando la regola del Trattato di non superare il 3% di PIL – permetterebbe di avere circa 28 miliardi aggiuntivi da usare per generare vera domanda interna, portando gli investimenti pubblici, che Renzi e Padoan vogliono schiacciare al loro minimo storico dell’1,4% di PIL, fino al 3% come sono stati negli anni Ottanta. Questo permetterebbe di ammorbidire l’impatto recessivo della minore spesa pubblica ed avere il tempo di tarare bene i tagli di spesa in modo tale che non siano lineari ma veri tagli di sprechi.

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