Pd nemico dei pensionati: leggi e Costituzione calpestate

di Franco Abruzzo
Pubblicato il 9 Dicembre 2013 - 08:17 OLTRE 6 MESI FA
Pd nemico dei pensionati: leggi e Costituzione calpestate

Maria Anna Madia, nemica dei pensionati

Spaventosa incultura giuridica nel Parlamento. Rinnegato il principio costituzionale del diritto al lavoro (che vale anche per i cittadini pensionati in una Repubblica fondata sul lavoro). Il Pd, smentendo ancora una volta e prendendo a schiaffi Costituzione e Corte costituzionale, condanna i pensionati all’inedia e/o al lavoro nero (e anche a pagare tasse più cospicue a parità di reddito rispetto ai cittadini attivi).

Nell’emendamento alla legge di stabilità 2014, firmato da Maria Anna Madia (Pd), si legge:

“I vitalizi di importo complessivo superiore a sei volte il trattamento minimo dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non sono cumulabili con i redditi da lavoro autonomo, dipendente, o libero professionale”.

Il 5 agosto 2008 la Camera ha convertito in via definitiva il dl 112/2008 (oggi legge 133/2008). È la cosiddetta “manovra Tremonti”. I cittadini pensionati sono interessati a uno degli articoli del dl, il 19, che prevede dal 1° gennaio 2009, sul modello di quanto già avviene per le pensioni di vecchiaia (art. 72 della legge 388/2000), la piena cumulabilità tra pensioni di anzianità (e pensioni anticipate) e redditi da lavoro dipendente. professionale o autonomo.

Tale scenario era stato anticipato dalle sentenze 73/1992 (avvocati), 437/2002 (ragionieri) e 137/2006 (geometri) della Corte costituzionale, che hanno censurato sia la compressione del diritto al lavoro sia la negazione dell’uguaglianza tra cittadini pensionati (avvocati, ragionieri e geometri) e cittadini attivi.

Oggi il Pd, per mano di un suo esponente giovane ma di spicco, Maria Anna Madia, smentendo ancora una volta e prendendo a schiaffi Costituzione e Corte costituzionale, condanna i cittadini pensionati all’inedia o a lavoro nero in una Repubblica fondata sul lavoro e sull’uguaglianza tra i cittadini “senza distinzione …. di condizioni personali e sociali”. E li condanna, con un altro comma della legge di stabilità, anche a pagare tasse più cospicue a parità di reddito rispetto ai cittadini attivi. Nell’emendamento di Maria Anna Madia alla legge di stabilità 2014 si legge:

“I vitalizi di importo complessivo superiore a sei volte il trattamento minimo dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non sono cumulabili con i redditi da lavoro autonomo, dipendente, o libero professionale”.

I ragionieri possono cumulare pensione di anzianità e reddito da lavoro dipendente o autonomo. Questo principio, fissato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 437 pubblicata il 7 novembre 2002, vale ovviamente per i professionisti (medici, commercialisti, giornalisti, veterinari, chimici, etc) iscritti nelle altre Casse previdenziali trasformate dal dlgs n. 509/1994 in Fondazioni o in Associazioni di diritto privato. Gli avvocati avevano già spuntato un’analoga sentenza (n. 73/1992). Nella sentenza 427/2002 la Corte costituzionale scrive:

“E’, infatti, da osservare anzitutto che il perseguimento dell’obiettivo tendenziale dell’equilibrio di bilancio non può essere assicurato da parte degli enti previdenziali delle categorie professionali – e, in particolare, da parte della Cassa di previdenza a favore dei ragionieri e periti commerciali – con il ricorso ad una normativa che, trattando in modo ingiustificatamente diverso situazioni sostanzialmente uguali, si traduce in una violazione dell’art. 3 (principio dell’uguaglianza, ndr) della Costituzione”.

La Corte costituzionale, con la sentenza 137/2006, ha dichiarato illegittimo il secondo comma dell’articolo 3 della legge 20 ottobre 1982 n. 773 (Riforma della Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei geometri). Questo comma subordinava “la corresponsione della pensione (di anzianità) alla cancellazione dall’albo dei geometri”. La corresponsione della pensione di anzianità, dice ancora il comma citato, “è incompatibile con l’iscrizione a qualsiasi albo professionale o elenco di lavoratori autonomi e con qualsiasi attività di lavoro dipendente”. La Corte costituzionale sottolinea che “è già stata chiamata a scrutinare disposizioni analoghe a quella in esame, concernenti la disciplina della pensione di anzianità di altre categorie professionali, e ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale. E, se è vero che in quei casi era stata rilevata la contrarietà delle norme censurate al parametro di cui all’art. 3 della Costituzione (uguaglianza, ndr), non evocato dall’attuale remittente, è anche vero che ne fu affermata la illegittimità anche per la violazione dell’art. 4 (primo comma) della Costituzione (diritto al lavoro, ndr), in ragione della compressione del diritto al lavoro, come nel caso in esame (sentenze n. 73 del 1992 e n. 437 del 2002). La Corte, poiché non rinviene argomenti che possano indurre a discostarsi dall’orientamento espresso con le sentenze citate, ritiene che esso debba essere ribadito”.

In verità nel Parlamento regna una spaventosa incultura giuridica. Oggi viene rinnegato il principio costituzionale del diritto al lavoro (che vale anche per i cittadini pensionati in una Repubblica fondata sul lavoro). Appena ieri è stato rinnegato il principio dell’uguaglianza tra cittadini pensionati o attivi che, a parità di redditi, devono pagare le stesse tasse (assunto consacrato nella sentenza 116/2013 della Corte costituzionale).

Questo l’emendamento di Maria Anna Madia (Pd):

“Dopo il comma 325, inserire il seguente: 325- bis. A decorrere dal 1° gennaio 2014, i trattamenti pensionistici a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima nonché i vitalizi di importo complessivo superiore a sei volte il trattamento minimo dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) non sono cumulabili con i redditi da lavoro autonomo, dipendente, o libero professionale. Qualora la somma tra trattamento pensionistico o vitalizio e i redditi da lavoro autonomo, dipendente o libero professionale superi l’importo di cui al comma 1, la differenza è decurtata, nella misura del 50 per cento, a valere sul trattamento pensionistico o sul vitalizio. A decorrere dal 1° gennaio 2014, l’articolo 19 del dl 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, è abrogato”.