Pensioni, perequazione delle pensioni e adeguamento al costo della vita. Svelato l’inganno. Il blocco della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, e revisione del meccanismo perequativo, nella legge di stabilità per l’anno 2014 questa volta non è totale, come lo è stato quello per il biennio precedente, dal momento che lo stesso opera esclusivamente sulla quota di pensione eccedente il limite dei 2.800 euro mensili (al lordo).
Ma i realtà il Governo Letta/Alfano/Saccomanni punisce anche i titolari di redditi sotto i 2.800 euro: la “sorpresa” sta nel fatto che le percentuali proposte dal Governo per la rivalutazione delle pensioni, ai fini di un loro adeguamento alle variazioni del costo della vita, sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle, in vigore dal 1° gennaio 2001 e tuttora vigenti.
Riporto qui l’articolo di Fernando Sacco pubblicato su diritto.it e intitolato: “La “perequazione automatica” per la salvaguardia nel tempo del potere di acquisto dei trattamenti pensionistici”.
La Corte Costituzionale ha costantemente affermato che il trattamento di quiescenza, al pari della retribuzione percepita in costanza di lavoro, del quale lo stato di pensionamento costituisce un prolungamento ai fini previdenziali (tant’è che la pensione è intesa, ad ogni effetto, quale “retribuzione differita”), deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e deve, in ogni caso, assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa.
Per i giudici costituzionali “tale proporzionalità e adeguatezza devono sussistere non soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurate successivamente, in relazione al mutamento del potere di acquisto della moneta, secondo valutazioni riservate, anche con riguardo alle disponibilità finanziarie, alla discrezionalità legislativa, purchè esercitata in modo “non irragionevole e arbitrario” (sentenza n° 96 del 1991).
Il meccanismo prescelto dal legislatore per salvaguardare nel tempo il potere di acquisto e l’adeguatezza dei trattamenti pensionistici è oggi rappresentato dalla “perequazione automatica” che consente, con cadenza annuale ed in favore della generalità dei pensionati, l’adeguamento dei trattamenti pensionistici dei settori pubblico e privato alle variazioni del costo della vita con l’obiettivo di tutelarne, nel tempo e per quanto possibile, il potere di acquisto a fronte di processi inflazionistici comportanti aumenti, costanti e generalizzati, dei prezzi dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie.
In merito va ricordato che il meccanismo di adeguamento quale sopra indicato al momento costituisce l’unico strumento di salvaguardia del “valore” delle pensioni atteso che, a decorrere dal 1988, il legislatore ha escluso ogni diversa forma, ove ancora prevista, di adeguamento eventualmente collegato all’evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio.
Gli aumenti a titolo di perequazione automatica delle pensioni si applicano, con effetto dal 1° gennaio di ogni anno, sulla base dell’indice di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, rilevato dall’ISTAT e recepito con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’aumento a tale titolo viene, poi, attribuito in misura proporzionale all’ammontare del trattamento da rivalutare rispetto all’ammontare complessivo (aumenti a scalare secondo determinate fasce di importo). Nel dettaglio si ha, pertanto, che l’indice di rivalutazione è applicato in misura intera fino ad una certa fascia di trattamento pensionistico (ad esempio non eccedente 3 o 5 volte il trattamento minimo INPS) e in misura ridotta (ad esempio 90 o 75 per cento) per le fasce eccedenti tale importo.
Tenuto conto che l’inflazione comporta un aumento continuo e generalizzato del livello dei prezzi dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie, il meccanismo testé delineato, di fatto, non copre per intero l’effettivo aumento del costo della vita dal momento che l’indice dei prezzi al consumo, accertato periodicamente dall’ISTAT, scaturisce dalla media ponderata degli indici dei prezzi di una molteplicità di beni e servizi, ricompresi nel cosiddetto “paniere”, a ciascuno dei quali, tenuto conto della diversa rilevanza che i singoli prodotti assumono nella spesa complessiva delle famiglie, viene attribuito un “peso proporzionale” alla quota di spesa dello stesso sul totale dei consumi familiari.
In altre parole la rilevazione tiene conto del rapporto tra “spesa per l’acquisto dei singoli prodotti ed ammontare complessivo della spesa per i consumi di una famiglia mediamente considerata”.
La rilevazione, inoltre, si riferisce a periodi antecedenti a quello in cui la stessa è fatta valere ai fini dell’adeguamento pensionistico. Ad esempio per determinare l’aumento della pensione, a titolo di perequazione automatica, a far data dal 1° gennaio 2014 la variazione percentuale da considerare a tal fine è desunta raffrontando i prezzi al consumo dell’anno 2013 con quelli dell’anno precedente.
Pur non coprendo il reale aumento del costo della vita e pur coi limiti quali è dato riscontrare l’istituto della perequazione automatica dei trattamenti pensionistici costituisce pur sempre un argine, sia pur modesto, alla erosione del potere di acquisto conseguente ai processi inflattivi in costante ascesa.
Il “blocco” dell’adeguamento delle pensioni alle variazioni del costo della vita comporta una “perdita economica” annua rilevante e crescente nel tempo.
Atteso che il fine perseguito dall’istituto della perequazione, pur coi limiti e le contraddizioni che lo contraddistinguono, è essenzialmente quello di tutelare il trattamento pensionistico limitandone, per quanto possibile, l’incidenza dell’erosione inflazionistica, ogni intervento finalizzato a limitare o ridurre l’adeguamento in interesse comporta, di fatto, un impoverimento delle pensioni in godimento con una perdita economica annua, costante e crescente, per tutto il periodo in cui il pensionato continuerà a percepire il trattamento pensionistico, con ripercussioni, financo, sulla misura della pensione di reversibilità, ove successivamente spettante ai superstiti.
Negli ultimi anni il legislatore è più volte intervenuto in materia con provvedimenti che, in quanto finalizzati al contenimento della spesa pubblica, hanno profondamente intaccato la perequazione automatica riducendo, di fatto, il valore reale delle pensioni con conseguente disattesa della funzione di tutela nel tempo del credito previdenziale, cui è preordinato il meccanismo della rivalutazione monetaria prevista nel nostro ordinamento.
Tali interventi, pur non modificando nel complesso il meccanismo perequativo, hanno tuttavia profondamente inciso, una volta adottati, sui suoi effetti comportando, ogni volta, la sospensione temporanea, ma con effetti permanenti, dell’adeguamento delle pensioni, di importo superiore a prefissati limiti, alle variazioni intervenute nel costo della vita.
L’indicizzazione dei trattamenti pensionistici negli ultimi tempi è stata sospesa:
per un anno (1998), interessando le pensioni di importo mensile superiore a lire 3.481.550 lorde (pari a cinque volte il trattamento minimo dell’INPS);
per gli anni 1999-2000. In tale biennio il blocco è stato parziale nel senso che la perequazione ha operato per la quota di pensione compresa entro otto volte il minimo INPS, mentre la quota di pensione eventualmente eccedente tale limite non è stata rivalutata;
ancora per un anno (2008), con riferimento alle pensioni di importo mensile superiore ad euro 3.542,88 (pari ad otto volte il trattamento minimo dell’INPS);
ancora per due anni (2012 e 2013). Per tale biennio la rivalutazione automatica delle pensioni viene limitata esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo dell’INPS con la conseguenza che le pensioni di importo mensile superiore ad euro 1.441,58 per il 2012 e ad euro 1.486,29 per il 2013 non hanno beneficiano di alcuna rivalutazione nelle misure percentuali quali fissate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con D.M del 16 novembre 2012 (+ 2,7 per cento per l’anno 2012 e + 3,0 per cento per l’anno 2013).
Una fascia reddituale decisamente bassa che ha fortemente penalizzato oltre sei milioni di pensionati che, a fronte di una costante perdita del potere di acquisto della moneta quale si registra nel Paese, si son visti impoverire ulteriormente il trattamento pensionistico in godimento contro ogni logica ed in dispregio di diritti costituzionalmente tutelati.
Le reiterate sospensioni del meccanismo perequativo finiscono col disconoscere l’incidenza della erosione inflazionistica sui redditi da pensione con gravi ripercussioni sulle economie delle famiglie.
Dal momento che i titolari di trattamenti pensionistici sottoposti, per legge, al blocco della rivalutazione automatica, subiscono, come già rilevato, un danno economico di rilevante portata non solo nell’imminente, ma anche per il futuro atteso che, in difetto di qualunque previsione di recupero per gli anni successivi, tale danno si protrae, ininterrottamente, all’infinito fino ad incidere sulla misura delle pensioni di reversibilità, i provvedimenti che dispongono in tal senso, in quanto comportanti una sostanziale decurtazione del valore reale delle pensioni sottoposte al “blocco integrale della perequazione”, appaiono manifestamente ingiusti e irrazionali atteso che, in concreto, finiscono col disconoscere l’incidenza obiettiva dell’erosione inflazionistica sui redditi considerati.
Da quì il dubbio sulla legittimità costituzionale delle norme in interesse atteso che, a detta di molti, le stesse verrebbero a ledere taluni principi sanciti dal dettato costituzionale, in particolare quelli della “adeguatezza” e della “proporzionalità” tutelati dagli articoli 3 e 36 della Costituzione.
I conseguenti procedimenti davanti alla Corte Costituzionale finalizzati al riconoscimento della illegittimità costituzionale delle norme in interesse, ad oggi, si sono, però, conclusi tutti con il riconoscimento, da parte del supremo Consesso, della non fondatezza delle eccezioni di incostituzionalità sollevate, nel tempo, dai giudici rimettenti.
Ciò in quanto, a giudizio della Consulta, “appartiene alla discrezionalità del legislatore, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire la misura dei trattamenti di quiescenza e le variazioni dell’ammontare delle relative prestazioni attraverso un bilanciamento dei valori contrapposti che tenga conto, accanto alle esigenze di vita dei beneficiari, anche delle concrete disponibilità finanziarie e delle esigenze di bilancio”.
A tal riguardo va ricordato che la Corte Costituzionale con sentenza n° 316 del 2010, nel dichiarare legittimo il blocco della rivalutazione monetaria per l’anno 2008 dei trattamenti pensionistici superiori ad otto volte la pensione minima INPS, contestualmente ha, però, mandato al Governo ed al Parlamento un chiaro messaggio avvertendo che se è vero che “la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico incontra il limite delle risorse disponibili al quale il Governo ed il Parlamento devono uniformare la legislazione di spesa” è, pur vero anche, che “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero della frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità (quali costantemente sottolineati dalla Corte in materia di trattamento di quiescenza – vedi sentenze n° 372/1998 e n° 349/1985), perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta”.
L’”avvertimento” è chiaro ….non colpire oltre misura e ripetutamente i redditi da pensione che, in quanto sganciati dalla dinamica salariale, se non vengono adeguatamente tutelati e rivalutati con riferimento alle variazioni del costo della vita, finiscono presto con l’impoverirsi decisamente perdendo, a fronte della costante crescita nel tempo dei prezzi dei beni e dei servizi destinati al consumo delle famiglie, il loro originario potere di acquisto.
Anche se non detto in modo esplicito è di per sé evidente che per la Corte Costituzionale le reiterate sospensioni del meccanismo perequativo, comportando di fatto una sostanziale decurtazione del valore delle pensioni sottoposte allo stesso, finiscono col disconoscere l’incidenza obiettiva della erosione inflazionistica sui redditi considerati con gravi ripercussioni sulle economie delle famiglie che vedono sempre più impoverita la loro fonte (spesso unica) di reddito.
L’avvertimento dei Giudici Costituzionali, ad oggi non è stato, però, ascoltato tant’è che poco tempo dopo il Legislatore è nuovamente intervenuto in materia disponendo, questa volta, il blocco della perequazione addirittura per due anni (2012 e 2013), con riferimento alle pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo dell’INPS (circa 1450/1500 euro lordi al mese).
La legge di stabilità 2014 previsione di un ulteriore blocco della indicizzazione delle pensioni e revisione del meccanismo perequativo.
E non è tutto perché, nell’approntare la legge di stabilità per l’anno 2014, si ipotizza un ulteriore blocco dell’adeguamento delle pensioni al costo della vita prevedendo che per l’anno 2014 la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici non è riconosciuta con riferimento alle fasce di importo dei trattamenti pensionistici superiori a sei volte il trattamento minimo dell’INPS.
Questa volta il blocco non è totale, come lo è stato quello per il biennio precedente, dal momento che lo stesso opera esclusivamente sulla quota di pensione eccedente il limite indicato. Tenuto conto dei valori del 2012 tale limite, al momento, è pari a circa 2.800 euro mensili (al lordo).
Una magra consolazione, questa, che certamente non ripaga il pensionato delle tante tensioni, ansietà e frustrazioni che da tempo lo affliggono vedendo diminuire giorno dopo giorno il “valore” della propria pensione a fronte di aumenti, costanti e generalizzati,dei prezzi dei beni e servizi destinati al consumo delle famiglie.
Ma le sorprese non finiscono quì dal momento che il Governo, nel proporre il blocco della rivalutazione delle pensioni per l’anno 2014, interviene anche sull’istituto della perequazione rimodulando le percentuali di rivalutazione con riferimento alle diverse fasce di importo dei trattamenti pensionistici fissandole, per il triennio 2014-2016, nella misura del
100 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente pari o inferiori a tre volte il trattamento minimo dell’INPS;
90 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra tre e quattro volte il trattamento minimo dell’INPS;
75 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra quattro e cinque volte il trattamento minimo dell’INPS;
50 per cento per la quota di pensione superiore a cinque volte il trattamento minimo dell’INPS.
La “sorpresa” sta nel fatto che le percentuali proposte dal Governo per la rivalutazione delle pensioni, ai fini di un loro adeguamento alle variazioni del costo della vita, sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle, in vigore dal 1° gennaio 2001 e tuttora vigenti, pari al
100 per cento per la fascia di importo delle pensioni fino a tre volte il trattamento minimo dell’INPS;
90 per cento per la fascia di importo della pensione ricompresa tra tre e cinque volte il trattamento minimo dell’INPS;
75 per cento per la quota di pensione superiore a cinque volte il predetto trattamento minimo dell’INPS.
Raffrontando le due tabelle si appalesa subito, infatti, il minor peso che avrà quella esplicitata dalla legge di stabilità 2014 allorquando si dovrà procedere a determinare, a far data dal 1° gennaio 2014, il “quantum” spettante ai pensionati in sede di rivalutazione della loro pensione sulla base dell’indice di variazione del costo della vita accertato dall’ISTAT.
Una ulteriore penalizzazione che finirà col pesare, non poco, sul bilancio delle famiglie, soprattutto di quelle il cui unico reddito è dato dalla pensione in godimento.
Un’annotazione, a questo punto, è d’obbligo.
Di fronte ad un aumento generalizzato del costo della vita, nonché ad una “crescita oltre ogni ragionevole misura” del prelievo fiscale per IMU, TARES, TRISE, IVA, addizionali IRPEF regionali e comunali, bolli, accise ed altre imposte, tant’è che tutti – e soprattutto i ceti medio-bassi – hanno ridotto notevolmente i consumi limitandoli a quelli essenziali, appare estremamente punitivo e, soprattutto, irragionevole che si continui ancora a colpire chi dispone di trattamenti pensionistici, la maggior parte di importo medio-basso, negando loro il doveroso adeguamento del “valore” delle pensioni in godimento alle variazioni intervenute nel costo della vita senza tener conto, poi, che il “danno economico” che ne consegue, come già sottolineato, cresce, di anno in anno, fino a interessare anche la pensione di reversibilità, ove successivamente spettante ai superstiti.
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