Pensioni d’oro. Idee dei “tecnici” senza sostanza, legittimità, credibilità

Pensioni d'oro. Idee dei "tecnici" senza sostanza, legittimità, credibilità
Michele Poerio: dai tecnici imprestati alla politica, in tema di pensioni proposte prive di sostanza, legittimità, credibilità

Sul tema delle pensioni d’oro…e dintorni, vorrei notare che la mancata perequazione automatica delle pensioni superiori a un certo importo contribuisce a precludere la proporzionalità dovuta tra pensione e retribuzione goduta nell’attività lavorativa. Inoltre la piena indicizzazione delle pensioni di minore importo, accompagnata alla totale mancata indicizzazione di quelle superiori all’importo anzidetto, stravolge i principi di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Sul tema, riporto un articolo del prof. Michele Poerio, Presidente nazionale di FEDER. S.P.eV ((Federazione  Sanitari Pensionati e Vedove, aderente Confedir), pubblicato dal quotidiano Libero.  La Federspev conta oltre 20.000 iscritti, medici, farmacisti e veterinari).

Si è molto dibattuto nel mese di agosto sui più importanti quotidiani italiani sul tema sempre attuale delle pensioni e nel dibattito sono intervenuti autorevoli politici di tutto il cosiddetto arco costituzionale, nonché autorevoli “tecnici”, ma in evidente veste politica (Giuliano Amato, Giuliano Cazzola, Pietro Ichino, Giorgia Meloni, Enrico Giovannini, tra gli altri). L’intento di costoro era quello di suggerire al governo provvedimenti capaci di “riequilibrare” le pensioni retributive, in atto e future, gravandole di un contributo straordinario e permanente, da destinare all’incremento delle future pensioni contributive.

Addirittura il deputato Yoram Gutgeld (consulente economico di Matteo Renzi ed ex dirigente McKinsey) arriva ad ipotizzare “l’inserimento di mezzo milione di giovani nel mondo del lavoro pubblico e privato, finanziato con un intervento sulle pensioni d’oro che non hanno contributi sottostanti”. Sarà stato un sogno di una notte di mezza estate ?

Da segnalare anche l’intervento di Carlo Dell’Aringa (su “Il Sole – 24 Ore” del 22/08) a favore di un “blocco strutturale” della perequazione a danno delle pensioni in godimento di importo più elevato, realizzando un ipotetico contributo“ di solidarietà” che, personalmente, ritengo sia configurabile come una vera e propria indebita espropriazione.

L’intento dichiarato delle proposte anzidette è di contravvenire, o tentare di aggirare le sentenze della Corte costituzionale 30/2004 e 316/2010, che avevano censurato il blocco del meccanismo perequativo delle pensioni, specie se ripetuto nel tempo, ed ancor più la sentenza 116/2013, che ha cancellato, per evidente illegittimità costituzionale, i tagli, di chiara natura tributaria, introdotti dagli ultimi governi sulle pensioni di importo superiore ai 90.000, 150.000, 200.000 euro lordi annui. Evidentemente i citati politici e tecnici sperano che la Corte sia per l’avvenire più ossequiosa agli orientamenti dei Palazzi della politica, che al rispetto dei principi sanciti dalla nostra Carta fondamentale.

Ritengo che le proposte anzidette non possano, né debbano, essere accolte per una serie di ragioni non solo giuridiche, ma anche sociali ed etiche.

Innanzitutto, sul piano giuridico, la misura della pensione non può che essere determinata al momento della cessazione del rapporto di lavoro sulla base delle regole vigenti al momento, essendo la pensione null’altro che una retribuzione differita coerente con la contribuzione obbligatoria di una intera vita di lavoro. Una volta raggiunta la pensione, essa non è solo più una legittima aspettativa, ma un “diritto acquisito”.

Prova ne sia che, quando il lavoratore è ancora in servizio attivo, se si interviene legislativamente in materia previdenziale, si provvede a garantirgli il riguardo del meccanismo del “pro-rata” (le nuove regole, cioè, valgono e si applicano solo con riferimento al residuo periodo lavorativo).

Inoltre da decenni sono in atto meccanismi di calmierazione che operano sulle pensioni più elevate (quelle con calcolo retributivo). Infatti: a) il loro rendimento decresce progressivamente al crescere della retribuzione; b) solo una parte della pensione è calcolata sull’ultima retribuzione (anche per coloro che possano vantare almeno 18 anni di contribuzione al 31/12/1995); c) valgono i meccanismi della media decennale e dei “tetti retributivi”, oltre i quali non matura alcun miglioramento economico del rateo di pensione.

Infine, le pensioni (specie quelle di maggiore importo), come le altre forme di reddito, sono già gravate da un maggior prelievo fiscale, secondo il principio dell’art. 53 della Costituzione, che stabilisce che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Anche sul piano etico e sociale non è pensabile di poter omogeneizzare la condizione di arrivo, cioè le pensioni delle varie categorie di ex lavoratori, (o quelle intercategoriali) quando non sono state analoghe, e neppure similari, le condizioni di partenza, cioè la qualificazione, il grado di responsabilità ed impegno, la retribuzione ed anzianità di servizio, la contribuzione, ecc., dei lavoratori oggi in quiescenza.

D’altra parte, il caso che scandalizza il prof. Pietro Ichino (“Corriere della Sera” del 13/08), cioè l’ipotetico “Signor Rossi che ha percepito un milione di euro” solo negli ultimissimi anni di vita lavorativa, quindi beneficiato dal calcolo retributivo della pensione o, aggiungo io, il caso di Giuliano Amato che gode del cumulo di più pensioni, tutte “d’oro”, rappresentano esempi di scuola, ma assommano tutt’al più a qualche centinaio in tutta Italia, così da non poter essere usati come grimaldello per colpire la generalità dei pensionati che godono legittimamente del sistema retributivo o misto.

E che criterio di equità sociale è quello di contravvenire unilateralmente al “patto sociale”, scritto od implicito che sia, che vige tra governanti e governati, ovvero tra Ente gestore e singolo pensionato ?

Lo “strappo rispetto alle regole” è motivato, secondo lo stesso riconoscimento dei proponenti, dalla eccezionalità della situazione di difficoltà del nostro bilancio, e quindi dall’esigenza di “fare cassa”, e dalla necessità di “togliere” alle pensioni retributive vigenti per “dare qualcosa in più” alle pensioni contributive future.

Se i “tecnici” anzidetti non ragionassero già da politici a tutto tondo, ben capirebbero che per fare veramente cassa bisogna: ridurre il peso ed il costo della politica; lottare veramente contro l’evasione e l’elusione fiscali (introducendo, tra l’altro, il conflitto di interesse tra i contribuenti); combattere la corruzione, diventata cancro generalizzato; dismettere il patrimonio immobiliare dello Stato, che sia inutilizzato od i cui costi di gestione siano superiori ai ricavi; distinguere nettamente i costi propri della previdenza da quelli che sono i costi dell’assistenza (cassa integrazione, assegni di maternità, malattia, indennità agli invalidi civili, tra gli altri), ecc.

Per migliorare invece le pensioni contributive future bisogna, se non si possono accrescere ulteriormente i livelli di contribuzione, almeno rivedere i meccanismi di rivalutazione degli accantonamenti annuali (il riferimento al PIL quinquennale è veramente ridicolo) e modificare i coefficienti di trasformazione applicati sul maturato finale, accrescendoli e non abbattendoli in prospettiva come oggi previsto, nonché intervenire in modo risoluto per favorire la crescita e l’occupazione, specie giovanile, e dando contenuto a quel “quasi nulla”, che è oggi la previdenza complementare, specie nel pubblico impiego.

Problema altrettanto grave è la mancata perequazione delle pensioni in godimento.

Ecco perché il “blocco strutturale” della perequazione delle pensioni di importo più elevato, come prospettato da Dell’Aringa, rappresenta una soluzione irragionevole, anzi irricevibile.

Infatti, già ordinariamente l’attuale sistema di indicizzazione delle pensioni è inadeguato perché:

– si basa su indici ISTAT di svalutazione bugiardi perché non fondati su un paniere specifico per i pensionati e perché sottostimati rispetto alla svalutazione reale; perché l’indicizzazione avviene una sola volta all’anno e in tempi successivi rispetto al momento dell’insulto inflattivo; perché l’indicizzazione avviene in modo ridotto per le fasce di importo pensionistico più elevate; perché non c’è nessun meccanismo di aggancio delle pensioni alla dinamica retributiva dei lavoratori attivi; perché di fatto l’indicizzazione delle pensioni risponde oggi ad un meccanismo improprio di natura fiscale, cioè come strumento di ridistribuzione del reddito;

– ma ancor più grave è quando il meccanismo perequativo viene bloccato, parzialmente come è avvenuto nel 1999 e 2000, ovvero totalmente nel 2008, nel 2012, 2013 e 2014 per le pensioni di importo superiore a 5, 3, o 6 volte il minimo INPS;

– tutto ciò rappresenta, specie se il blocco fosse strutturale e permanente, una vera ingiustizia, frutto di incoerenza e illegittimità, infatti:

1. Il blocco dell’indicizzazione, per lo più ripetuto negli anni e per più anni consecutivi, lede un diritto acquisito e consolidato e contravviene agli indirizzi e alle disposizioni in materia, di cui alle sentenze 316/2010 e 30/2004 della Corte costituzionale. Inoltre il blocco della perequazione non colpisce tutte le pensioni, ad esempio non tocca quelle della maggior parte delle Casse dei professionisti (ed io non chiedo certo di estendere anche a loro il blocco).

2. La mancata perequazione automatica delle pensioni superiori a un certo importo contribuisce a precludere la proporzionalità dovuta tra pensione e retribuzione goduta nell’attività lavorativa. Inoltre la piena indicizzazione delle pensioni di minore importo, accompagnata alla totale mancata indicizzazione di quelle superiori all’importo anzidetto, stravolge i principi di cui all’art. 53 della Costituzione e dell’art. 3, secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” e “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Ed invece con gli interventi criticati, ed ancor più con quelli ipotizzati, crescono solo le pensioni medio-basse, diminuiscono di fatto quelle medio-alte, contraddicendo anche la logica contributiva delle moderne pensioni, e calpestano l’art. 36 della Costituzione, che vuole la retribuzione (come la pensione) proporzionale alla qualità e quantità del lavoro reso.

E che rispetto avrebbe il principio costituzionale (art. 38) che prevede “mezzi adeguati” per i pensionati, concetto tipicamente dinamico ed incrementale, a meno che Dell’Aringa legga la Costituzione nel senso che l’adeguamento pensionistico possa essere “in peggio”?

Infine, posto che il blocco della perequazione ha certamente significato tributario per i pensionati danneggiati, dove sarebbe il criterio della progressività se la pensione di alcuni è totalmente indicizzata e per altri totalmente bloccata ? (Applicandosi la legge del “tutto o del nulla”).

3. Infine la distribuzione del reddito tra i lavoratori e le varie categorie sociali non può avvenire tramite disposizioni di natura previdenziale, infatti redditi da lavoro e da pensione sono equiparati ai fini del sistema fiscale e le aliquote IRPEF, come le addizionali regionali e comunali, sono già progressive sulla base del reddito personale.

Ancor più stridenti sono le proposte di Carlo Dell’Aringa sul piano economico e sociale, tenuto conto:

– che i pensionati contribuiscono al fisco per quasi 1/3 delle entrate totali, seconda categoria dopo quella dei lavoratori dipendenti, essendo contribuenti necessariamente virtuosi e fedeli;

– che i pensionati rappresentano oggi un’indispensabile ammortizzatore sociale per i figli od i nipoti disoccupati o sottoccupati;

– che i pensionati sono categoria sociale debole ed indifesa, perché soggetta in modo crescente agli handicap della invalidità e della salute cagionevole, senza possibilità di efficace contrasto.

Ecco perché, le proposte dei “tecnici prestati alla politica” mancano di sostanza, legittimità, credibilità, con l’aggiunta di una constatazione amara: tutte le volte che i cosiddetti “tecnici” si avvicinano alla politica, con o senza il momento propedeutico della verifica elettorale, sono pervasi da una voglia irresistibile di compiacere al Palazzo, anche a costo di sconfessare una vita di preparazione ed approfondimento tecnico – scientifico, ed è proprio questa confusione dei ruoli uno dei mali dell’Italia d’oggi.

Infine, non enfatizziamo le “pensioni d’oro”, visto che anche il metallo giallo ha perso recentemente il suo mitico valore, e se chiamiamo “d’oro” le pensioni lorde oltre le tre o le cinque volte il minimo INPS, siamo veramente “fuori”….

 

 

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