ROMA – Pensioni. Qualcuno spieghi a Boeri (Inps) che l’assegno non si può ricalcolare. Dal blog di Franco Abruzzo segnaliamo un contributo Guglielmo Gandino sulla questione del ricalcolo secondo il sistema contributivo degli assegni pensionistici in essere. La posta in gioco è il prelievo su quelli oltre i 90mila euro, riproposto dal presidente dell’Inps Tito Boeri: e i diritti dei pensionati in contrasto con le disposizioni costituzionali più volte ribadite dalle sentenze della Corte Costituzionale.
PREVIDENZA & DIRITTI – Qualcuno spieghi al professor Tito Boeri che il fantasioso ricalcolo contributivo delle pensioni già liquidate con il sistema retributivo è giuridicamente e secondo logica semplicemente improponibile alla luce della sentenza della Consulta n. 116/2013. I cittadini pensionati non possono essere discriminati rispetto ai cittadini in attività. Gli “espropri proletari” sono indegni di un Paese civile. (Qui, a fine pagina, la sentenza della Corte dei Conti della Calabria che ha rinviato, dopo la CdC del Veneto, alla Consulta il prelievo sulle pensioni sopra i 90mila euro annui).
DI GUGLIELMO GANDINO
È sorprendente che uno stimato funzionario pubblico come il professor Tito Boeri, recentemente nominato Presidente dell’INPS, anziché occuparsi dell’Ente affidatogli sotto il profilo della gestione e dell’organizzazione, continui caparbiamente a proporre interventi sulle pensioni medio-alte, fra l’altro in aperto spregio dei dettati e dei giudicati costituzionali.
Sarebbe sufficiente che il professor Boeri si leggesse con attenzione la sentenza della Consulta n. 116/2013 per rendersi conto che quanto da lui stesso proposto con il fantasioso ricalcolo contributivo delle pensioni già liquidate con il sistema retributivo, è giuridicamente e secondo logica semplicemente improponibile.
Chiariamo subito che le pensioni – in quanto retribuzione differita – sono “redditi consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico (attinente la reciprocità) il rapporto di lavoro”. Questo lo scrive la Consulta nella precitata sentenza n. 116/2013.
Sarebbe come dire che, essendosi esaurito il rapporto di lavoro, qualsiasi “do ut des” compensativo risulta di fatto irrealizzabile. Facciamo un esempio semplice: in un contratto di compravendita fra due parti, si pattuisce la cessione di un bene a fronte del pagamento di un corrispettivo. Fintanto che il contratto resta “aperto” è possibile rinegoziare in senso compensativo condizioni diverse, per esempio concordando che – a fronte di un prezzo superiore – il pagamento possa avvenire in forma dilazionata. Ma se il rapporto contrattuale è definito, non è certo possibile che la parte venditrice, incassando il corrispettivo pattuito, ceda alla parte acquirente un altro bene per esempio di valore commerciale inferiore.
Mutatis mutandis, non è ipotizzabile un ricalcolo ex-post di pensioni già da tempo liquidate, ricalcolo che potrebbe portare, a fronte di contributi previdenziali già versati, a ri-liquidare pensioni mediamente più basse di quanto contrattualmente previsto.
Scartata dunque questa ipotesi, la sola via che resta al legislatore consiste nell’introduzione di un ennesimo “contributo di perequazione” in corrispondenza di certe soglie di reddito.
Cosa assolutamente fattibile, purché l’intervento non abbia carattere discriminatorio nei confronti dei pensionati e purché siano rispettati i principi costituzionali di eguaglianza, parità di trattamento e capacità contributiva, come ben chiarisce la pre-citata sentenza della Consulta n. 116/2013.
Nulla vieta quindi al legislatore di introdurre un prelievo di natura inequivocabilmente “tributaria” di entità differente a seconda di scaglioni pre-definiti, prelievo che per forza di cose dovrà andare a gravare su tutti i contribuenti che presentano le stesse caratteristiche reddituali, e che quindi non potrà in alcun modo essere riservato alla sola categoria dei pensionati.
A parte il fatto che si tratta di principi logici e per nulla difficili da comprendere, non si vede per quale motivo si continui invece da più parti a vessare la categoria dei pensionati, con proposte assurde e contrarie ad ogni sano principio di equità costituzionale.
Siccome qualsiasi intervento di natura tributaria contrasterebbe però con la logica di stimolare i consumi – per una più rapida ripresa economica – attraverso una riduzione del carico fiscale, forse sarebbe molto più sensato che il legislatore si occupasse di adottare un piano serio di lotta all’evasione e alla corruzione, tagliando inoltre senza pietà spese inutili e improduttive, eliminando i moltissimi enti inutili, e introducendo il sano principio dei costi standard.
Non ci resta che confidare in un intervento mirato del Presidente del Consiglio, per ricordare ai collaboratori interessati che – per una questione di serietà istituzionale – perdano meno tempo in progetti che altro non sarebbero che “espropri proletari” indegni di un Paese civile, per concentrarsi invece su progetti certamente più impegnativi ma dai contenuti professionalmente molto più qualificanti.
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