GENOVA – Quale curioso destino accomuna i due personaggi che hanno costituito l’asse di potere del governo della Liguria nell’ultimo declinante decennio, i due SuperClaudii, Claudio Scajola, il potente ministro berlusconiano nato nel Ponente Ligure di Imperia e Claudio Burlando, il figlio di un camallo, comunista, postcomunista infine democrat, anche lui già ministro, nato nella pancia popolare e portuale di Genova.
È un destino femminile, che in forme e passioni molto diverse, lega il loro pas d’adieu alla politica militante e di potere, intrecciando il finale di carriere lunghe, ricche di successi, di poltrone, fatte di cadute e risalite, politiche e giudiziarie, con un presente di inarrestabile e definitivo declino, di “rottamazione” se vogliamo.
Un tramonto “forte”, ma molto diverso tra i Claudii liguri: da Garcia Marquez quello quasi tragico di Scajola, arrestato, carcerato, domiciliato coatto nella reggia decadente di casa sua, forse innamorato, ma circondato da una grande sua famiglia e dal ribollente astio della sua gente. Un tramonto da vecchio guerriero quello di Burlando, che si arrende dopo innumerevoli battaglie alla rottamazione e impone la sua spada di Governatore sulle spalle della sua politicamente prediletta, indicandola come successora al soglio regionale contro la metà dei suoi fidi e del partito che lui ha dominato per decenni, spesso dirompente, spesso silenzioso, a fave e salame, ma anche in diretta streaming per far capire che lui comandava davvero.
Sullo sfondo da “autunno dei patriarchi”, per ricordare ancora Garcia Marquez, c’è una Liguria che potrebbe essere la Macondo del diluvio quasi universale, la terra franante e fradicia di un’era postindustriale proiettata nel vuoto dei bla bla e che, da base fertile del mitico Triangolo Industriale anni Sessanta-Settanta, è diventata il buco nero dello sviluppo del Nord. Le grandi fabbriche che chiudono con una rabbia operaia che trafigge ogni giorno il territorio, i progetti del futuro annegati nell’indecisionismo politico, nei ricatti burocratici, le grandi opere diventate farse, la rissa tra industriali e politici ed ora, dulcis in fundo, l’ex Salone Nautico dell’epoca d’oro mundial ridotto a un supermercato discount. Questo non è proprio, per restare nella Sud America dei default, per niente un dulce de leche…
Claudio Scajola, “u ministro” giace agli arresti domiciliari nella sua casa sulla collina di Imperia, villa Ninnina, un cancello, una garitta, un giardino incantato e dentro la magione che fu una nobile e sobria palazzina ligure, trasformata, con il boom del suo padrone, in una reggia altisonante, tra boiseries lussuose e garage sotterranei con raccolta di macchine d’epoca. Sta il sessantaseienne ex leader di Forza Italia, Pdl e prima della Dc dorotea tavianea del Ponente bianco di Liguria, meglio di un vino doc, a meditare, rannicchiato sull’ultima inchiesta che lo ha inchiodato in galera per avere favorito la latitanza all’estero di Antonello Matacena, big shot di Calabria, deputato berlusconiano di occhiuta famiglia meridionale. Più di un mese nel carcere romano di Regina Coeli a scontare una accusa di protezione che l’inchiesta ha svelato più incline alla moglie del latitante per concorso esterno in associazione mafiosa, la bionda esplosiva Chiara Rizzo, quarantenne in via di presunta separazione, che per i trasferimenti del marito da un esilio dorato a Dubai a quello più protetto ancora di Beirut, in un andirivieni di fuggitivi targati Berlusca, a incominciare da Marcello dell’Utri.
Le intercettazioni della Procura calabrese, il polpo dell’inchiesta, hanno snudato l’anima e i sentimenti di Scajola, scampato a un triplete di scandali consumati in un roboante trentennio: accusa e arresto nel 1983 da sindaco di Imperia per gli appalti dell’allora rutilante Casinò di Sanremo, dimissioni eclatanti dal ministero dell’Interno nel 2002, per avere detto che il martire Marco Biagi era “un rompicoglioni” a caccia solo di consulenza, nuove dimissioni nel 2010 dal ministro dello Sviluppo economico per la storia trucida della casa “a sua insaputa”, pagatagli dalla cricca degli Anemone&Company alla modica cifra di 900 mila euro.
Prosciolto, assolto, cancellato questo triplete e superate altre corse a ostacoli che lo inchiodarono, lo inchiodano ancora e lo inchioderannmo in parte ad altre vicende giudiziarie più territorialmente vicine al suo feudo imperiese, le cui mura politiche sono tutte crollate (perfino Sanremo tentacolare è stata conquistata recentemente dalla Sinistra nelle ultime elezioni comunali) ora “u ministro” si attorciglia all’ultima storia e alla sua coda sentimentale-amorosa, perché il legame con la protetta Chiara Rizzo non è mai stato presentato come quello di uno zio verso la nipote.
Di colpo il Claudio imperiese di questa storia di dame, cavalieri, amori e altre passioni più o meno politiche, è stato presentato perfino dai suoi avvocati come vittima non di una folgorazione giudiziaria o di un vendetta politica, ma della più umana estasi d’amore per la bionda Chiara, super donna sfavillante nel Principato di Montecarlo, ufficialmente dichiarata tra feste, party, balli di corte e superballi della Rosa, la più bella del reame.
E perchè l’ex Superclaudio, aspettando l’ultima investitura a parlamentare europea (poi negata con suo grande dolore e incazzatura) mandava la sua scorta di poliziotti a sorvegliare le scorribande della fedifraga sulla Cote d’Azur, magari si accompagnasse all’antico play boy Francesco Caltagirone Bellavista, costruttore, attirato proprio da lui in Riviera nel rovinoso per tutti affare del porto di Imperia?
E perchè le intercettazioni dei colloqui tra l’ex potente, in quasi uscita dai suoi scandali giudiziari e immacolato giudiziariamente parlando come un biancospino delle vicine Alpi Marittime e la signora Rizzo-Matacena sembrano i dialoghi di mille storie di amori senili o quasi per dame più giovani?
Perchè l’ex coordinatore dei Forza Italia salta in macchina e corre e corre solo quando lei gli mormora via cellulare: “Devi venire subito, subito, ho bisogno di te…”. E perchè la segretaria traditrice dell’onorevole confessa ai giudici: “Soffrivo per la moglie del ministro che conosco da tempo, ero imbarazzata per quello che vedevo e che sentivo…”
Già la moglie di Scajola, apparentemente la vittima di questa storia vecchia come il mondo, ma qui conclamata come una sorta di Penelope tradita e senza che Ulisse sia stato tanto lontano da Imperia-Itaca, che ci tornava dopo ogni sberla a farsi consolare e a preparare difese che sono state sempre alla fine vittoriose: tre, quattro volte nella polvere e quattro volte di nuovo sull’altare questo Napoleone ligure, che anche per i suoi amici era non a caso definito “sciaboletta” per la statura e per il piglio.
Lei, Maria Teresa Verda, coetanea, figlia di una solida e seria famiglia di avvocati imperiesi di Oneglia, donna forte e colta, storica dell’arte con una sua pubblicistica e incarichi che solo l’invidia ha classificato come prodotti del potere coniugale tracimante, forse ha un po’ ecceduto nell’incarnare il ruolo di principessa consorte, ma la barra famigliare l’ha tenuta ferma e anche dopo l’ultima grandinata, molto più puntuta per il suo orgoglio muliebre, ha difeso il marito, decantandone la generosità, il grande carisma ammaliatore (anche di femmine?) e andandoselo a prendere dopo la scarcerazione in macchina per portarlo a casa lei, Penelope rovesciata che attraversa l’Italia in automobile, lei e lui e i figli, tutt’uno a galleggiare sull’ultima tempesta. Quella definitiva?
La passione femminile di Claudio Burlando è ben altra cosa: trattasi di una dirompente infatuazione politica per la bella Raffaella Paita, la moglie del presidente del Porto di Genova, Luigi Merlo, quarantenne di grande temperamento politico che confessa al cronista di provare una bruciante passione politica dall’età infantile. “A dodici anni facevo già politica”, ama raccontare, descrivendo la sua famiglia di sinistra comunista, di un quartiere popolare, in quella Spezia città di mare, di Marina Militare e di un Pci duro e crudo. Lei, che a venti anni era già capogabinetto in Comune e poi sarà assessore nelle rivoluzionarie giunte rosse di quella città che è Liguria ma non sembra, sbarca in Regione come consigliere con 10 mila preferenze nella tasca della minigonna. “Voglio fare l’assessore!”, intima a Burlando. E lui glielo nega per concederglielo dopo qualche mese, al primo rimpasto.
È un colpo di fulmine che incenerisce il Governatore alla vigilia della fine del suo lungo, eterno mandato politico che dal 1981 che gli ha fatto attraversare la Prima, la Seconda e la Terza Repubblica, in una carriera quasi quarantennale da ex enfant prodige del Pci, caduto nel famoso scandalo del Sottopasso colombiano, manette, detenzione, proscioglimento e che lo ha portato a fare il ministro dei Trasporti nel Governo di Prodi, prima di un brusco rientro a Genova, quando si allentano i suoi rapporti con suo fratello maggiore, Massino D’Alema, maturato leader proprio nella Genova dove il giovane Claudio faceva già il segretario di sezione a venti anni.
La Paita abbaglia Burlando, mentre i democrat stanno per affrontare il ciclone Renzi. Lui è un bersaniano, lei è una bersaniana. Ma lui ha capito che “quella roba lì” (gergo proprio bersaniano) sta per finire. Vota ancora Bersani nelle Primarie contro Renzi, ma sta già accostando. E chi meglio della volitiva Paita, la più efficiente di un gruppo di assessori e consiglieri un po’ stracchi, in un Consiglio che sarà travolto da storie di mutande pazze, di scandali e scandaletti che travolgono giunte e consigli, spazzando via le altre superstar liguri, la corvina Marilyn Fusco, vice presidente e assessore all’Urbanistica e la pasionaria Alitalia, Maruska Piredda, entrambe dell’Idv di Antonio Di Pietro? Chi meglio di questa ragazza di fuoco incarna il nuovo cavalcante e ben venga Renzi che fin’ora loro non se lo erano ancora filato, ma cade come il cacio sui maccheroni del rinnovamento presunto?
Approfittando di una sorda battaglia interna al Pd per i vertici regionali e provinciali (che perderà) Burlando, che ha deviato verso Renzi, volando sul suo carro anche grazie all’amico Oscar Maria Farinetti, il genio di Eataly, che ha aperto a Genova nel Porto Antico e a Spezia, lancia Raffaella “Lella” verso la candidatura alle Primarie di coalizione del centro sinistra, previste forse a dicembre, forse a gennaio per conquistare la Liguria. Insieme il vecchio guerriero riununcia alla sua terza corsa regionale, oramai ha superato i sessanta e prepara la sua successione e il suo futuro politico. Forse pensa che la sua immane esperienza possa servire al governo che Renzi sta preparando, forse qualcuno lo illude che per lui ci possa essere un ministero a Roma o magari un sottosegretariato importante.
È una breve illusione, ma la seconda parte del programma, il lancio della Lella è già avvenuto in un ribollire di invidie, spetegulez genovesi, di sussurri e grida sulla liason tra il maturo Governatore e la sua superstar. Così Paita si trova in corsa oltre un anno prima delle elezioni regionali, con i vecchi scudieri di Burlando, il suo vice Claudio Montaldo, assessore alla Sanità e il postdemocristiano Pippo Rossetti, assessore alle Finanze, cattolico, un sessantenne e un cinquantenne ma già un po’ consumati che un po’ si candidano e un po’ si nascondono, mentre a Savona il renziano della prima ora, il sindaco postsocialista Federico Berruti, accenna anche un lui un passo di danza regionale, ma poi si ferma sulle punte.
E così la bella Raffaella è in fuga, travolgente e lanciata, sicura di sgominare ogni resistenza interna al centro sinistra e semmai un po’ impaurita dalle possibile sfide in Regione dei 5 Stelle, per i quali si profila la possibile candidatura di un quarantenne giornalista, di nome arcinoto in città, quel Ferruccio Sansa, figlio di Adriano, il celebre “pretore d’assalto” degli anni Settanta.
Claudio II il guerriero postcomunista, postdalemiano, postbersaniano, diventato renziano dell’ultima ora gioca pesante sulla Lella e forse si pente della sua iniziale irruenza propositiva, mentre lei incomincia a cercare di far cancellare i preegiudizi della sua investitura.
Così alla presentazione ufficiale di Paita, definita “Galattica” perché ospitata dal Museo Galata nel vecchio porto, dove si affollano i veri amici, i parvenus e ovviamente gli opportunisti Burlando preferisce non comparire, mentre il marito, il potente presidente dell’Autorità Portuale, l’uomo che ha preparato l’arrivo a Genova della Concordia da demolire, si piazza in sesta fila.
Burlando le ha già arato il territorio, comune per comune, sindaco per sindaco, perfino qualche intellettuale la celebra, in modo un po’ sorprendente, come Vittorio Coletti, grande professore di Italiano dell’Università, colui che ha scritto il vocabolario appunto il Sabatini-Coletti, con un articolo su Repubblica. Il giornale ligure mumero uno, “Il Secolo XIX”, di Umberto La Rocca, spara a palle incatenate sulla liason di amor politico tra il Governatore e la Paita. E non solo: il quotidiano vede l’operazione nel quadro fosco che sta impiombando la Liguria, nella catena degli scandali che esplodono e senza accusare di nulla il duetto di Pigmalione e la sua creatura, chiede un rinnovamento.
La Liguria non è come Macondo, che sta andando a fondo sotto il diluvio degli scandali: il fracaso della banca Carige e di Berneschi, il Luigi Grillo ex potente senatore ancora in galera per l’Expo di Milano, la Regione travolta dalle spese pazze…gli scandali a Ponente, in mano alla criminalità organizzata ed ora questo ultimo crollo dell’altro Claudio Scajola…
Ed ecco che si torna all’asse preferenziale tra i due Claudii, che tra il 2005 e il 2010 almeno, hanno tenuto la barra della Liguria. Fu vero asse ed oggi Burlando che per sua fortuna continua a fare politica di spinta verso il suo pensionamento (ma sarà vero?) può avere qualcosa da temere per quel feeleng incestuoso con il berlusconiano di Imperia?
I vecchi saggi dell’apparato democrat, anche i più severi con il centralismo burlandiano, sostengono che l’accordo tra i Claudii è sempre stato oggettivo, non soggettivo. Agivano di concerto dove le circostanze li portavano, non c’era una spinta personale dell’uno verso l’altro. Benedirono insieme il catastrofico porto di Imperia perchè serviva alla Liguria, si prodigarono per scegliere gli uomini da mettere nei consigli di amministrazione e di indirizzo della banca Carige e della sua Fondazione, perché era la banca-cassaforte della Liguria, non per scambiarsi piaceri di potere.
Filavano d’amore e d’accordo con i cardinali Tarcisio Bertone e poi con Angelo Bagnasco, perché erano i potenti della Chiesa, davanti alla quale Scajola si genufletteva da cattolico e Burlando ne riconosceva il ruolo. E forse che Claudio II ha mai disdegnato i potenti di ogni credo, religione e immagine?
Agivano di concerto e oggi, anno di grazia 2014, quando la rottamazione violenta del primo si è consumata e quella del secondo è in qualche modo “contrattata” da lui stesso, trovano un imprevedibile minimo comune denominatore.
In forme diverse e comunque da dimostare ancora c’è per ambedue una donna che ne determina le azioni. La bionda incendiaria e inquieta Chiara Rizzo Matacena e la volitiva Raffaella Paita-Merlo. Il paragone tra la posizione e la caratura delle due signore è improponibile. Quello tra i due Claudii molto più facile. Cherchez la femme.