Chiesa di Genova, l’ombra di Papa Francesco sulla Curia. Per far terminare una delle ere più lunghe nella storia della Chiesa di Roma, quella legata alla figura del cardinale-principe di Genova, Giuseppe Siri, il suo quinto successore sulla cattedra arcivescovile, il francescano Marco Tasca, ha scelto il Santuario della Madonna della Guardia.
E qui, a 800 metri di altezza, sul tetto della città, ha annunciato una rivoluzione nella Chiesa genovese che di fatto chiude quel periodo. Incominciato ancora prima della fine della guerra e che mai si era concluso. Grazie alla solidità di una tradizione tramandata anche attraverso le figure degli arcivescovi succedutisi sulla cattedra di san Lorenzo. E magari anche tanto diversi dalla figura di Siri.
Ecco la rivoluzione di Tasca nella Chiesa di Genova
Questo sessantacinquenne veneto, ex Superiore dei francescani, quindi erede nientemeno che di san Francesco d’Assisi, arrivato a Genova nel luglio del 2020, dopo il lungo regno di Angelo Bagnasco. Tasca ha riformato la struttura della Curia genovese, concentrandone il potere in tre superdicasteri che sostituiscono i cinque precedenti. Anche con figure molto diverse e con un metodo di governo collegiale, nello stile imposto da papa Bergoglio.
“Dopo mesi di preghiera e di confronto con i miei collaboratori – ha annunciato il vescovo dal pulpito del Santuario così caro ai genovesi – mi sembra opportuno organizzare l’attività degli uffici e la vita della Diocesi in tre grandi ambiti, affidandoli a tre vicari episcopali.”
Già le figure e i titoli dei nuovi dicasteri mostrano l’entità della rivoluzione che monsignor Tasca ha realizzato. In realtà dopo mesi molto silenziosi, di approfondimento nella conoscenza di Genova. Continuando a vivere non nel grande appartamento della Curia, nella ombelicale piazza Matteotti, all’ombra della grande cattedrale, ma in un convento francescano.
Altro che vicariato agli affari economici della Chiesa
Una delle nuove strutture si chiama “servizio della Carità”. Con il compito di “sostenere la cura e la fragilità di ogni uomo e di ogni donna, di ogni bambino con l’atteggiamento solidale e attento del buon samaritano”. Come spiega il vescovo, citando papa Francesco e la sua ultima enciclica “Fratelli Tutti”.
Il nuovo vicario è Andrea Parodi 56 anni, parroco a Sestri Ponente, la famosa delegazione molto popolare. Qualcuno chiamava la “Stalingrado di Genova” per la sua maggioranza politica “rossa” e la presenza di operai, cantieri e fabbriche.
Un altro parroco, Gianfranco Calabrese, 60 anni, andrà a dirigere il vicariato per l’annuncio del Vangelo e per la missionarietà. Con il compito di occuparsi appunto della evangelizzazione, delle famiglie, dei matrimoni. Anche lui viene da Sestri Ponente, dove dirigeva un’altra popolosissima parrocchia.
Qui il riferimento è a un’altra Encicica papale e francescana la “Evangelii gaudium”.
La terza parte della rivoluzione
È affidata a un altro sacerdote che viene niente meno che dalla chiesa dove “regnava” don Andrea Gallo, il celebre “prete da marciapiede”, San Benedetto al porto.
Si chiama Gianni Grondona, 58 anni. Gli toccherà occuparsi della vita ecclesiale e dei laici, insomma della vita dei sacerdoti e delle vocazioni. Della vita parrocchiale che dovrebbe essere il terreno dove maturano gli impegni. In una società così pesantemente piombata nella secolarizzazione e nella mancanza di Dio.
Per capovolgere la struttura di una diocesi che al posto dei tre vicari ne schierava cinque, tra i quali figure ancora derivate dall’impronta siriana, come uno dei suoi “megafoni” predicatori, don Luigi Borzone o come monsignor Capurro, erede del mitico monsignor Giovanni Cicali, il celebre “Delegatus ad omnia” di Siri.
Si presentava come don Cicali, mai monsignore
Personaggio chiave nei rapporti tra quella Chiesa-roccaforte e la Genova capitale dell’Iri. Di un’industria e di una finanza, di un armamento solidissimi, anni Cinquanta, Sessanta, Settanta. O come monsignor Luigi Molinari, capo del Cappellani del lavoro, i preti delle grandi fabbriche.
Tasca ha impiegato pochi mesi di quella silenziosa, ma operosa, indagine sul campo.
Pochi mesi a fronte di 76 anni almeno, dal 1945 ad oggi, nei quali la struttura della diocesi genovese aveva mantenuto lo stesso timbro. Di un equilibrio continuo, anche se spesso discusso. Tra la difesa della tradizione e le spinte del cambiamento, digerendo eventi epocali come il Concilio Vaticano II. E perfino due Conclavi, quello del 1958 (eletto Giovanni XXIII) e quello del 1978 (eletto Giovanni Paolo II), dai quali Siri “rischiò” di uscire papa.
I successori del card. Siri
Anche se al cardinale-principe erano succeduti personaggi importanti della Chiesa italiana. Come Dionigi Tettamanzi, poi arcivescovo di Milano. E Tarcisio Bertone, poi addirittura segretario di Stato di Benedetto XVI. E infine come Angelo Bagnasco, presidente della Cei per 10 anni. E tutt’ora presidente dei vescovi europei. Ma il timbro siriano non si era modificato.
Siri, campione di un conservatorismo illuminato, tradizionalista in dottrina, avversario molto puntuto delle riforme conciliari. Ma anche costruttore di iniziative modernissime, come l’Auxilium, antesignano della Charitas. E come gli stessi Cappellani del lavoro. Nemico agguerritissimo dei preti del dissenso, aveva saputo dare alla sua chiesa una forma tanto blindata. Che chi non era troppo d’accordo preferiva andarsene o mettersi di lato. Come è accaduto a grandi preti del calibro di Giovanni Cereti, Franco Costa, Antonio Balletto, e tanti altri.
Nessuno aveva toccato quelle impostazioni, che avevano digerito le contestazioni, appunto i dissensi. Anche quelli diversi tra loro, come le “avanzate” sul terreno sociale di don Gallo. E quelle sul terreno politico di Don Baget Bozzo, ex pupillo di Siri. Che lo battezzava, per la sua cultura enciclopedica, “l’altoparlante della biblioteca di Lipsia”. Innamorato prima di Craxi e poi di Berlusconi. Sospeso a divinis.
Gli assalti di don Farinella
E che avevano digerito le ultime “perfomances” di don Paolo Farinella, il prete che per contestare teneva chiusa la sua chiesa a Natale. E smentiva i miracoli della Madonna della Guardia.
Ma ora il vescovo-frate riesce a smontare la antica impalcatura e di fatto chiude un’epoca. Addio ai tempi, per esempio, della “cappa magna”, la famosa coda-strascico di 12 metri, che nei primi momenti della sua investitura cardinalizia, Siri aveva indossato per le cerimonie più importanti. Insieme con tutte le sfolgoranti insegne del suo ruolo. L’anello di rubini, la croce tempestata di pietre, dono dei fedeli di Chiavari. Lo zucchetto porpora, ben calzato, il pastorale impugnato solidamente, quasi come una spada.
Monsignor Marco Tasca è arrivato a Genova con il suo saio da frate, le scarpe grosse e ti accorgi che è il vescovo, solo dallo zucchetto sulla testa e dalla mitria, quando celebra.
Scende a visitare le parrocchie della sua Genova quasi a sorpresa, senza tante cerimonie. E sembrava come sospeso sui grandi problemi della città che coinvolgevano la Curia.
Sembrava lontano da quell’”influenza” temporale che Siri amava tanto. E che in qualche modo il suo penultimo successore, Angelo Bagnasco, l’unico genovese succeduto al cardinale-principe, esercitava. Anche pressato dalle terribili emergenze degli ultimi anni.
Poi, improvvisamente, o quasi, il nuovo pastore dei genovesi è atterrato prima a Genova. Dicendo una parola definitiva e affermativa sulla ricostruzione dell’Ospedale Galliera. Del quale il vescovo di Genova è statutariamente il presidente del consiglio di amministrazione. E cambiando i vertici dell’altro ospedale di cui è responsabile, per volere dei fondatori, il celebre Gaslini dei bambini.
E ora la rivoluzione in Curia. Insomma Francesco è sbarcato a Genova. E ora si vede. Eccome.