Chiesa di Germania, quasi scisma: no celibato dei preti, sì donne prete e coppie gay: “Obbediamo a Dio non a Roma”

Dalla Chiesa cattolica di Germania arriva un mesaggo che sembra un ultimatum. Lo scisma da Roma è pronto.

Mentre il Sinodo universale viene prolungato dal Papa di un anno, i vescovi tedeschi affidano a una mega indagine il verdetto sulle svolte invocate da tempo. Addio al celibato dei preti, sì al ruolo femminile, benedizione delle coppie gay. “Obbediamo a Dio non a Roma”, scrivono in questa sentenza. Ben più di una minaccia, dopo anni di “trattative” fallite con il Vaticano.

Tra scismi, guerre e pandemie dove sta la Chiesa di Francesco che reggeva quel crocefisso nel giorno più buio, in mezzo a san Pietro bagnata da una pioggia cupa? Minacciata da scismi a Occidente e a Oriente, bombardata da una secolarizzazione impetuosa, tartassata dagli scandali della pedofilia, crocefissa dalle non scelte sul celibato dei preti , dallo spazio alle donne nella liturgia., immersa in un Sinodo che non si sa dove porti, in realtà questa Chiesa del terzo Millennio sta combattendo la battaglia decisiva contro la modernità, che non è il modernismo, ma qualcosa di molto più “storico”.

“È dalla Rivoluzione Francese, alla fine del Settecento che affrontiamo la modernità, ti dice con il suo sorriso evangelico monsignor Marino Poggi, una delle teste più raffinate della Chiesa, già missionario a Cuba, direttore della Charitas, ma più che altro “pensatore”.

La Chiesa è stata in difficoltà per tutto l’Ottocento perché soccombeva a questa modernità. Ha cercato di reagire con la forza solo tra le due guerre mondiali. “Quando si cantava alla fine della Messa “Cristus vincit, Cristus regnat”…..il coro che ha segnato la liturgia nel Dopoguerra, la nostra adolescenza di praticanti, chierichetti, fino a papa Giovanni, che era ben conscio di come quella modernità stava avanzando, perché oramai la verità e la forza apparivano legate indissolubilmente.

Chi aveva la forza possedeva la verità.

È li che secondo Marino Poggi è incominciala crisi, come il crak del cristianesimo nel secolo ventesimo.

“Invece di cogliere l’invito alla Comunione, invece di capire che senza amore non c’è verità, è passato il principio che la verità possa” essere affidata all’individuo, alle individualità. Essere liberi ha voluto dire scegliere, imporre i diritti individuali che rompono qualsiasi relazione.”

Il concetto è difficile da spiegare, ma ha segnato quello che è venuto dopo, fino al punto di oggi, quando la scristianizzazione del mondo è una realtà precisa, un rischio eclatante, come se la Chiesa rischiasse di soccombere, di sparire. Come spariscono gli edifici sacri nelle grandi capitali occidentali, dopo la dissacrazione dei luoghi, la desertificazione dei riti religiosi, il flop totale delle vocazioni, i seminari chiusi, i conventi riconvertiti, i preti superstiti vecchi, stanchi di correre da un altare all’altro.

Poi ci chiediamo perché c’è di nuovo la guerra, dove sta il Cristo della pace, che tutti i giorni il papa Francesco invoca. “Anche troppo!”commenta don Marino.

“La guerra significa divisione, da superare con la forza. Gesù dice di amare il proprio nemico, ma l’uomo è sopra e sotto e nel mondo lavora la divisione, sulla terra c’è l’Apocalisse della divisione, che accusa gli altri, li invade, cerca di distruggerli Quando la guerra finisce tutto è distrutto.” Solo così la guerra finisce. Sembra di vedere il film di oggi.

Altre bombe scoppiano quando “il mondo sembra senza Dio,” come titolano giornali e libri. Ecco i vescovi belgi di lingua fiamminga, insieme al cardinale arcivescovo di Malines-Bruxelles, Josef De Kesel, che dopo i tedeschi, in un documento, autorizzano la benedizione delle coppie gay.

Gesto di rottura clamorosa con il Vaticano che solo un anno e mezzo fa aveva chiarito con un “responsum” che la benedizione delle coppie gay non è consentita.

E Marino Poggi spiega bene perché. “Se sei gay non ti giudico, ti sei autopromosso, hai l’orgoglio della tua condizione, che si deve rispettare. Ma non ti devi contrapporre, non devi dividere. Essere contro natura diventa un orgoglio. Sei un mio fratello e io rispetto la tua natura, ma il matrimonio davanti alla Chiesa non è giusto, mentre è giusto chiedere allo Stato di regolare la tua eventuale posizione di coppia, di organizzare la tua condizione.

La Chiesa non ti può benedire, perché questo atto significherebbe consacrare. C’è un cammino da intraprendere nel quale devo imparare a giudicarti.“

Si può citare l’enciclica-base di papa Francesco, che è intitolata non per caso “Fratelli tutti”.

Qual è dunque il problema che “distingue”, secondo questa interpretazione, i gay ? Quello di giudicarsi in una autonomia che accentua la divisione e rompe la comunione di Gesù Cristo.

Per spiegare meglio con un esempio evangelico don Marino cita le parabole dei vangeli di Luca, che vengono sempre precedute da una premessa, nella quale emerge la condizione del protagonista della parabola, un “separato”.

Anche il figliol prodigo era un “separato,” prima di tornare a casa e partecipare alla comunione nella grande festa del padre, che per lui ammazza il vitello più grasso.

Poi c’è l’ altra bomba, quella del celibato dei preti, messo in discussione in questo mondo “secolare”, dove le chiese si svuotano di fedeli, dove l’indifferenza avanza e dove, appunto, quei vescovi tedeschi hanno già innescato da tempo la miccia di un possibile scisma, anche a costo di rompere, come Lutero, con Roma definitivamente. “

Don Marino è netto e deciso sul tema e ha la sua visione “forte”: ”E’ tutto esagerato, non è vero, né corretto identificare il celibato con l’esercizio del ministero.

Il celibato non è negazione del matrimonio, prima viene la vocazione, poi la scelta del celibato. Prima decidi di fare il prete, poi scegli il celibato. In Oriente i vescovi accettavano il matrimonio dei propri ministri, Nel primo millennio c’erano preti sposati.“

La sentenza è forte: “È Gesù che ha deciso così, il suo è l’unico vero sacerdozio. Oggi bisogna gestire la libertà e la verità e scegliere, dentro questa scelta si affronta l’emergenza come quella posta dal presunto scisma tedesco.

Scendendo su un terreno pratico ci si può chiedere, ma come potrebbe oggi un sacerdote sposato, con figli, gestire il suo ministero e la sua famiglia, reggere economicamente il suo ruolo, i suoi trasferimenti, il suo sostentamento.

“Un cosa è l’organizzazione, l’altra la comunione”, questa è la barriera che alza don Marino Poggi. Anche Francesco dice che la comunione non è organizzazione e lo stampa nell’ultimo documento papale, pubblicato molto recentemente, nel quale si insiste sul valore di partecipare a quella Comunione, che viene prima di tutto il resto.

“Altrimenti se non si accetta questo principio, la verità del cristianesimo va a bagno.”

Questa sembra ancora di più una sentenza, o forse una profezia, per come sta andando il mondo. Tra quella modernità che avanza, quella secolarizzazione che svuota i riti e le chiese, quelle divisioni che alimentano le guerre, le distruzioni.

“Chi si ricorda che in Yemen c’è una guerra che dura da anni e anni, chi parla ancora della Siria, delle guerre in Africa? Sono il frutto delle divisioni, della comunione che non c’è più e che il Papa vuole ricordare nell’opera di evangelizzazione impostata con le sue riforme, con le sue scelte dentro alle gerarchie della Chiesa. Mai così modificate come da lui, incessantemente, dai vescovi non più cardinali, dai cardinali scelti lontano nel mondo, dai terremoti nella Curia romana.

Viene un senso di sconforto, di disperazione quando calcoliamo quello che è anche il frutto di una svolta antropologica. La recentissima vincitrice del premio Nobel della Letteratura, la scrittrice francese Annie Arnaux, nel suo ultimo libro di enorme successo, “Anni”, descrive bene, in un capitolo, come nel pieno degli anni Sessanta-Settanta la pratica religiosa viene spazzata via nelle singole famiglie dal modernismo-modernità, dai nuovi riti “pagani” che allontanano dalle tradizioni.

Così poi si acuiscono le divisioni, da quelle più piccole a quelle grandi, che provocano le guerre, il ritorno anche a casa nostra delle guerre.

La vittoria conferma la divisione, anche perché alla fine tutto è distrutto e, appunto, solo così finiscono le guerre.

È la logica della guerra. Putin invade perché vuole dividere.

E il papa e il cristianesimo cosa possono fare di fronte a questa distruzione?

Va bene: il papa fa fin troppo, parla tutti i giorni, invoca tutti i giorni, scrive lettere, manda messaggi, annuncia viaggi ma alla fine contro la forza c’è solo la fede.

La fede invocata è anche l’antidoto contro questa scristianizzazione, non più solo strisciante, ma arrembante, che ha svolto il suo percorso nei decenni, perfino nei secoli, che è decollata nel Novecento, che è stata avvertita e denunciata da papi, anche meno popolari di Woytila, il pontefice “politico” della denuncia planetaria. Meno intellettuali di Ratzinger, il pontefice superteologo, massimo studioso del Novecento, da papi come Paolo VI , papa Montini, che smascherò l’irreligiosità avanzante nella società occidentale.

E predicò, questo papa un po’ flebile, un po’ fragile, perché l’irreligiosità non cadesse nella scristianizzazione, che già marcava le chiese più nel Nord Europa, sempre avanti nei processi di discussione .

Nel suo libro “Atlante geopolitico del cattolicesimo, come cambia il potere dentro la Chiesa”, Matteo Matzuzzi spiega bene questo dramma sociale che sta divorando i movimenti ecclesiali e pone già l’aut-aut, tra un ritorno alla tradizione o il prete you tuber.

Don Marino, dalla profondità della sua analisi, ha ben chiara la sua scelta, che non va in nessuna di queste due direzioni. Ci salverà la fede, come è successo già nella Chiesa delle catacombe, nella chiesa” primitiva” .

I preti “avanzati”, quelli che amano trasformare la messa in uno show, che viaggiano sui nuovi canali comunicativi, sbagliamo perché diventano loro protagonisti e non i fedeli rimasti.

Quanto al temporale incombente dello scisma tedesco bisogna riconoscere le esigenze di riforma, ma non bisogna uscire dalla Chiesa, come fece Lutero, che non trovò in quei tempi lontani chi discutesse con lui. Guai a dire, dunque, obbedisco a Dio, non a Roma. 
 
 
 
 
 

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