ROMA – Lo chiamano compagno S tanto forte è l’attrazione per Claudio Scajola, ex democristiano, ex ministro dimessosi due volte nel regno di Berlusconi, ex sindaco di Imperia, l’uomo che cadde tre volte nella polvere e che tre volte è risorto da arresti, scandali, inchieste giudiziarie e tempeste politiche. Compagno S perchè la sua tela intorno ai deputati e ai senatori Pdl che vogliono una scossa di cambiamento tanto forte da scuotere via Berlusconi dalla sua poltrona alletta sopratutto i compagni Pd e del centrosinistra e i compagni comunisti veri, è la speranza più concreta di far inciampare il Cavaliere. Compagno S due volte, perchè si diventa alleati tanto stretti sia danneggiando il proprio partito, come ha fatto Scajola lasciandosi incastrare nello scandalo della casa di via Fatugale, comprata e restaurata per 900 mila euro “a sua insaputa”, sia segando le gambe della poltrona del leader con la più consistente manovra di “tradimento” dell’intera era berlusconiana.
Chi mai aveva osato tanto, dopo la pugnalata di Bossi nel 1996? Ma Bossi è Bossi e la Lega è, e sopratutto era, la Lega. Il compagno S, resuscitato malgrado via Fatugale e la recente indagine della Procura di Roma per violazione della legge sul finanziamento dei partiti (sempre la storia del regalo della banda Anemone per 900 mila euro, ma vista da un altro angolo di competenza e di ipotetico reato) osa eccome, anche se sta ben attento a usare i termini giusti e guai a parlare di tradimento e guai a danneggiare Berlusconi, guai a organizzare congiure che le cene al Restaurant di galleria Alberto Sordi a Roma e le riunioni con deputati e senatori della Fondazione Colombo all’indirizzo di largo Chigi e i contatti segreti con Casini, Alemanno e Pisanu sono solo salvataggi del Paese in panne, aiuti al presidente stesso, “bloccato” da scandali personali, dallo scontro con Giulio Tremonti (tra l’altro il nemico numero 1 del compagno S) e dallo sfascio del debito pubblico, dalla speculazione finanziaria internazionale, strabocciato dalle agenzie del rating mondiale.
Il Compagno S non è un azzurro della prima ora, ma è quello che agli ordini di Berlusconi ha trasformato Forza Italia, il vecchio partito di plastica in un partito vero, che sta al potere dal 1994 ininterrottamente salvo le tre più o meno brevi interruzioni di Dini e poi di Prodi nel 2001 e dal 2004 al 2006. Lui da democristiano nel midollo, figlioccio di battesimo di Maria De Gasperi e di cresima di Paolo Emilio Taviani, come tale diventato sindaco di Imperia, dopo il padre Ferdinando e il fratello Alessandro, negli anni Ottanta, tesse la sua tela come se il tempo non fosse passato sulla Prima e sulla Seconda Repubblica, ma anche sulla sua storia personale di ex dipendente Inail, salito al piano del potere di ministro dell’Interno e dello Sviluppo Economico e dell’Attuazione del Programma sulla scia del Berlusca.
Tesse la tela malgrado tutto il compagno S, oramai come mitridatizzato dalle disavventure che non lo hanno mai atterrato, neppure i quarantacinque giorni di carcere nel 1984, prima del proscioglimento in istruttoria per lo scandalo del Casinò di Sanremo, né le doppie dimissioni da ministro per le improvvide dichiarazioni sul martire Br Marco Biagi e poi per quella maledetta casa con vista sul Colosseo, via Fatugale. Scajola oggi sembra come passato attraverso tre cerchi di fuoco e rispunta dall’ultimo, impeccabile, nella sua divisa da post dc e perfino un po’ postberlusconiano di ferro, con il doppiopetto blù, con il piano da tempo preparato per definire ciò che lui stesso non potrebbe definire in questi brutali termini. Il dopo Berlusconi.
Ne aveva già parlato con Blitz in due interviste alla fine del 2011 e nella fine della scorsa primavera, anticipando la strada verso il Partito popolare europeo, una specie di via maestra, dove il berlusconismo doveva sfociare inevitabilmente. Erano i tempi di Ruby Rubacuori e poi del Bunga bunga con Scajola semiazzoppato dallo scandalo Fatugale. Chiuso nel suo bunker di Imperia, l’ex ministro metabolizzava la sua uscita di scena e osservava lo scenario da macerie fumanti della Pdl con Berlusconi azzoppato.
“In molti gli chiediamo di fare un passo indietro, raccontava in epoca non sospetta, Confalonieri, Letta, e quelli del cerchio più stretto”. Per lasciare spazio a chi? Non certo a Giulio Tremonti, allora nel pieno del suo apogeo di ministro potente in Europa, tagliatore di teste e di finanze pubbliche orizzontali in Italia, autonomo da Arcore, strafottente, paraleghista.
“Perchè – chiedeva con un sorriso sottile lo Scajola di quei giorni al suo interlocutore – quando è finita l’era di De Gasperi nella Dc chi era stato il sostituto, il successore, il delfino? Nessuno o piuttosto quattro o cinque Pella, Scelba, Gronchi e poi Fanfani, Andreotti, Moro. Come a dire: dopo Berlusconi non ci sarà un cavaliere successore-erede, né Giulio il terribile, ma neppure Angelo Alfano che poi sarebbe stato insignito del ruolo di parasegretario nazionale della Pdl.
“Angelino? Lo stimo, ma……”- confessava con un sorriso il futuro compagno S. E intanto aveva già cominciato a tessere la sua trama sull’ordito democristiano, mettendo le fondamenta della Fondazione Colombo, guarda caso ispirata al suo padrino Paolo Emilio Taviani, grande studioso del navigatore genovese.
Diecimila euro di iscrizione, sede a largo Chigi e qualche nome altisonante tra gli indicativamente sessanta deputati o senatori iniziali, come l’ex ministro della Difesa e degli Esteri del Berlusconi I, Antonio Martino, poi defilatosi, Una boutade, una mossa per favorire o spingere il proprio rientro nel Ghota, dopo le dimisssioni e lo scandalo della casa pagata dalla cricca di Anemone, Zampolini a sua insaputa, versando i famosi 80 assegni alle sorelle Papa, venditrici della casa romana, il mezzanino dove abita anche la ex star Lory del Santo? Macchè, questo era ciò che avevano visto da lontano gli osservatori delle mosse di Scajola sull’asse Imperia-Roma, supponendo che dopo la seconda trombatura e lo stallo dell’inchiesta di Perugia, l’ex ministro ligure pensasse a rifarsi un terreno di approccio. Coordinatore nazionale al posto di Verdini-Bondi- La Russa in caduta libera?
Di nuovo ministro dello Sviluppo Economico, a ricoprire la sede clamorosamente vacante dopo le sue dimissioni e in attesa della nomina di Paolo Romani, o ministro delle Politiche Comunitarie, seggio abbandonato dall’ex fido di Fini Andrea Ronchi? Scajola pensava anche ad altro, o meglio tesseva la sua tela con al centro lo scudocrociato. Pensava, a sessantadue anni suonati, quasi sessantatre nel vulcano della sua Imperia scossa dalle inchieste con i suoi fidi sotto scacco perfino del Pm torinese per eccellenza Giancarlo Caselli, al futuro politico del paese, a quella strada maestra di una maggioranza allargata al centro dalla destra.
“Verso Casini con il quale si parla meglio_ si era lasciato sfuggire in un impeto di sincerità_ e del quale mi fido di più di Fini, ma anche verso molti deputati del Pd che sono così incerti”. E allusivo il compagno S, mai così profondo conoscitore-compagno, mostrava l’elenco dei nomi dei transfughi possibili Sinistra-Destra, via sfogliando quella vera e propria ex Margherita. Poi molte cose sono successe nella rovente estate del patatrac economico delle manovre rattoppate, dello scontro frontale Tremonti-Berlusconi, dell’investitura di Angelino Alfano, delle intercettazioni a pioggia.
Ma Scajola stava lì a tessere la sua tela centrista ed era arrivato quasi in fondo all’opera con quel bello scudocrociato in mezzo alla grande tovaglia da stendere sul tavolo del centristi moderati popolari, avvicinatisi al tavolo chi con il maldipancia, chi per senso di responsabilità, chi per sfinimento. E, sopratutto, la tela aveva irretito, altri leader come Beppe Pisanu, il sardo cocciuto, ex segretario degli ultimi veri segretari Dc, prima della caduta dell’impero, suo rivale ministro dell’Interno, ma di quell’altra razza democristiana sarda che ha dato alla patria gente come Cossiga, Segni Antonio, Cabras e dall’altra parte il mitico Enrico Berlinguer e che oggi avrebbe spinto in ruoli chiave gente come Arturo Parisi il testardo guardaspalle di Prodi, vincitore oggi della battaglia referendaria anti porcellum. E che i sardi non se ne intendono di come fare fuori il porceddo? E poi Formigoni, il governatore lombardo, ipercattolico, scalpitante e perfino l’Alemanno il sindaco di Roma, con passato da picchiatore nero, parente di Rauti, uno che viene da un altro mondo rispetto a quello dell’asse DeGasperi-Taviani, celesti protettori del Compagno S. Ma ora il compagno S ha finito la sua tela e presenta il conto, come raccontano le cronache quotidiane.
Da perfetto ex dc o dc intramontabile, un passo avanti, una riunione carbonara che poi non è con i suoi quindici,venticinque,trentacinque fedeli (le cronache aggiungono o tolgono) e due indietro. La lettera privata a Berlusconi (non ti tradirò mai) e la richiesta secca a Angelino Alfano: vogliamo una scossa decisa perché se no il paese affonda.
Il Berlusconi bis con nuovo programma, il suo annuncio che non si candiderà nel 2013, un pacchetto sviluppo che non sia una presa per i fondelli di un’economia sfondata? Riunione a saint Vincent in una domenica di passione, in perfetto luogo post Dc( lì si radunavano quelli di Donat Cattin), nuova cena in Galleria Alberto Sordi, l’incontro con Angelino.
Intanto l’agenda di Scajola si riempie di nomi:Ignazio Abrignani, Massimo Maria Berruti, Fabio Gava, Salvatore Cicu, Paolo Russo, Massimo Nicolucci, Roberto Antonione, Lauro e i liguri Scandroglio, Orsi, non a caso genero del leggendario Franco Bonelli, segretario factotum di Taviani. Quanti sono e cosa fanno? Si muovono da perfetti Dc, si potrebbe dire, mettendo indietro l’orologio politico della storia, oscillano come perfetti dorotei, la corrente più mediatoria della mitica Balena Bianca.
Intanto Denis Verdini, il rotweiler con il ciuffo bianco che fa la guardia al gregge di Berlusconi, perchè nessuno scappi dal recinto è già scatenato a recuperare i possibili fuggitivi sulla strada maestra del compagno S, come fece quasi un anno fa, salvando il governo dall’attacco di Fini il fatidico 14 dicembre. Ma questa è un’altra storia e il compagno S tesse, tesse, aspettandosi, magari un applauso che viene anche fuori dal recinto Oppure no perchè i veri democristiani non aspettano appalusi e poi, all’ultimo possono fare una bella virata, con un sorriso e a braccetto del capo.
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