Coronavirus, a Genova la Chiesa ha paura. Madonna della Guardia e Padre Santo umiliati dai vescovi

Coronavirus, a Genova la Chiesa ha paura. Madonna della Guardia e Padre Santo umiliati dai vescovi
Coronavirus, a Genova la Chiesa ha paura. Madonna della Guardia e Padre Santo umiliati dai vescovi (Foto archivio Ansa)

“La pace sia con voi, ma non scambiatevi un segno… è meglio essere prudenti in questi giorni”, dice dall’altare padre Gabriele, frate cappuccino del Convento del Padre Santo, mentre conclude la sua messa di mezzogiorno in quella deliziosa chiesetta sopra la piazza centrale di Corvetto, cuore di Genova, dove è custodita in una teca di vetro la salma santa, appunto, del Padre Santo, al secolo padre Francesco da Camporosso, davanti al quale i fedeli vanno a inginocchiarsi incessantemente in un altare laterale. Un angolo di Medio Evo, fra sassi e alberi secolari, a pochi metri dal traffico caotico nella piazza simbolo di Genova.

Incominciava così a Genova la quarantena della Chiesa, delle Messe, dei riti religiosi, perfino tre giorni prima che esplodesse il caso di Alassio con la prima contagiata in Liguria, il caso che legittima la Grande Serrata, dalle scuole, ai musei, ai luoghi pubblici e, quindi, anche alle chiese.

Chissà cosa penserà dall’alto dei cieli questo Padre Santo, che aveva dedicato la sua vita ai poveri, sfamato i suoi fratelli più deboli, davanti alla raccomandazione un po’ imbarazzata del suo confratello del terzo Millennio e, soprattutto, cosa penserà del fatto che poche ore dopo il suo Convento decide di chiudere anche le porte del refettorio alla processione di sventurati, affamati, senza dimora che si mettono in fila per avere un tozzo di pane, un piatto di pasta.

Gente che arriva da ovunque, sopratutto immigrati dall’Est europeo senza lavoro e casa, africani neri come la pece, anche qualche orientale, e tanti italiani spinti alla miseria più nera e disperata, mescolati a tutti dignitosamente in attesa, in un corteo che sembra la torre di Babele e che ora le misure drastiche per combattere la diffusione del coronavirus respingono da quell’approdo sicuro che voleva dire sfamarsi almeno una volta al giorno, che voleva dire non solo pane, ma un minimo di solidarietà umana, un po’ di calore nel refettorio del Convento, mezz’ora di convivialità al coperto.

Padre Gabriele nella domenica che culminerà con i decreti regionali di chiusura delle scuole e di tutte le attività pubbliche in questa regione della Liguria, dove accanto al primo caso di contagio ad Alassio di una settantenne di Codogno, venuta a svernare in Riviera, poi seguiranno altri 15 ospiti dello stesso albergo rivierasco dal nome oggi beffardo “Al Mare e “Bel sit”, apre forse senza saperlo la linea della fermezza anche nella Chiesa con un gesto, un atto che non ha precedenti nella storia millenaria della Chiesa. 

Quando il presidente della Regione Giovanni Toti in serata vara quel decreto accanto a lui ci sarà anche monsignor Grilli, portavoce della Curia genovese e direttore dello storico settimanale cattolico “Il Cittadino,” che con voce un po’ flebile di fronte all’enormità dell’annuncio, spiegherà che per una settimana non si celebreranno più messe nella Diocesi di Genova e ai funerali e ai matrimoni non potranno partecipare che i parenti stretti. La decisione e di tutti i vescovi liguri e blocca tutta la Regione.

La Chiesa si ferma davanti al virus che spaventa e terrorizza, chiude alle celebrazioni rituali, festose come i matrimoni e tristi come i funerali, non chiude le porte, come è avvenuto al Duomo di Milano o alla Basilica di san Marco a Venezia, ma annulla i riti collettivi.

E mercoledì, che è il giorno delle Ceneri nella liturgia cattolica, con l’imposizione ai fedeli della polvere per ricordare l’inizio della Quaresima, la pronuncia della frase “Memento pulvis eris et in pulverem reverteris”, “Ricordati che eri polvere e polvere ritornerai”, non risuona nelle chiese di Genova per la prima volta nella storia.

Ma questa quarantena che lascia solo spiragli in qualche portone del centro storico e autorizza la chiusura di molte chiese, già in difficoltà per mancanza di preti, suscita reazioni proprio tra i sacerdoti più giovani o tra quelli di frontiera, per i quali celebrare è anche un modo di essere presenti nella società sempre più secolarizzata. Così don Valentino Porcile, parroco a Sturla, uno dei più battaglieri, celebra lo stesso la messa senza fedeli, come fosse una partita di calcio a porte chiuse, ma piazza sull’altare il suo telefonino, che inquadri il calice e il vangelo e fa una diretta streaming del suo rito, con tanto di omelia in diretta.

E don Fischer, noto come il prete disk jokey, uno dei più fantasiosi e comunicativi, grazie a una radio dove si prega si canta e si celebra, imita il suo confratello e celebra via streaming.

Don Giacomo Martino responsabile dei Migrantes, uno dei preti di frontiera della chiesa genovese, che si gestisce comunità con centinaia se non migliaia di immigrati, nel grande ricovero di Coronata sulle alture di Cornigliano, da qualche mese anche parroco della chiesa di san Tommaso, sopra la stazione di Principe, ha dichiarato che lui ha un piano B dopo l’ordinanza dei vescovi, che hanno stoppato le messe: ogni sera alle 18,30 celebra via streaming e non solo per i suoi 300 followers. Questo prete da battaglia, minacciato più volte dall’estrema destra, ha sulla schiena una valanga di incarichi, anche i più difficili della curia genovese, che il cardinale Angelo Bagnasco gli affida a ripetizione.

Ma i dubbi e le perplessità arrivano anche lassù sul Monte dove c’è il santuario della Guardia che magari qualche fedele vorrebbe raggiungere per pregare e per proteggersi dal coronavirus, invocando la Madonna, custode di Genova, venerata da secoli e dove qualcuno arriva magari per portare qualche ex voto.

“Diciamo Messa ogni mattina alle 10 in una piccola cappella del Santuario davanti a due suorine – racconta monsignor Marco Granara, storico Rettore del Santuario – e poi diffondiamo via web la celebrazione. Basta collegarsi con noi”.

Ovviamente nelle grandi navate del Santuario non c’è nessuno. Granara spiega che la chiesa è talmente grande che una messa potrebbe tranquillamente essere seguita anche dall’altar maggiore senza che ci siano assembramenti, ma capisce che senza una regola tassativa come quella adottata dai vescovi, ognuno potrebbe scegliere la modulazione che vuole all’ingresso in chiesa, facendo correre dei rischi.

Quello che non si spiega questo prete, che ha fatto un po’ la storia della chiesa genovese insieme a tanti cardinali, è la soverchiante attenzione scatenata intorno a questa infezione, che fa chiudere le più importanti chiese italiane come il Duomo e la Basilica di San Marco, mentre il silenzio più impenetrabile continua a sigillare i milioni di morti quotidiani per fame e per guerra, che funestano l’umanità. Ma c’è virus e virus nella società del terzo Millennio dove la vera infezione è quella della paura.

 

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