GENOVA – Sarà che si gioca nella notte della Befana, che arriva con le scarpe rotte e il carbone nel sacco, ma questo derby genovese tra Genoa e Sampdoria assume ancor prima di essere giocato un bel colore nero. Appunto come il carbone della Befana per i bambini cattivi.
In questo caso i bambini cattivi sono i due presidenti delle società genovesi, Enrico Preziosi, il joker proprietario da 13 anni del vecchio Grifone e Massimo Ferrero, detto “Viperetta” , il saloonist di cinema romano, che da un anno e mezzo è il padrone della società blucerchiata. Sono cattivi, come tutti i bambini che rischiano il carbone nella calza della Befana, perché proprio alla vigilia della partita che conta più di ogni altra, l’unico grande evento oramai rimasto a Genova, non fanno chiarezza sul destino della loro amata società, si trastullano o torturano con piani di vendita o disperati, come quello di Preziosi o cupamente misteriosi, come quello di Ferrero.
Sono storie diverse quelle di Preziosi, un self made man diventato padrone di un impero dei giocattoli a lungo dominante in Italia e all’estero e ora giunto alla stretta finale e grande appassionato di calcio e quelle di Ferrero, un Carneade nel football, improvvisamente comparso sulla scena genovese, quando la famiglia Garrone, una delle dinasty padrone della Samp del Dopoguerra, toccato dalla grazia dello star system con le imitazioni di Maurizio Crozza, con le sue uscite paradossali, estemporanee, in un “non sense” mediatico che non si è quasi mai interrotto.
L’uno è un lupo solitario dell’imprenditoria e della finanza, abilissimo a crearsi con la sua verve commerciale quell’impero di giocattoli, partendo dal negozio di orologiaio di suo padre ad Avellino, perfetto sfruttatore dei sistemi pubblicitari anni Ottanta-Novanta di berlusconiana memoria, che hanno trasformato la Giochi Preziosi in una corazzata, funambolo nel mondo del calcio, dove ha scalato da Saronno a Como, al Genoa molte gerarchie e molte disavventure sportive e perfino giudiziarie per restare in seria A con il Grifo per il record di undici campionati di fila, grande mercante di giocatore, scopritore di talenti assoluti: da Diego Milito, quello del triplete interista a Thiago Motta stella del Paris Saint Germain, a Rodrigo Palacio, a Iago Falque, fino a quel Diego Perotti che sta vendendo alla Roma, fine stratega nel grande suk del calcio, dove faceva comparire e scomparire statuine come quelle del fenomeno giovanile Al Shaarawy, di Bonucci e Ranocchia e perfino Prince Boateng, tutti “top players” o quasi, senza mai schierarli nella sua squadra ma usandoli come pedine di quel mercato funambolico e inarrestabile nel quale lui, il joker è il mago riconosciuto.
L’altro, Ferrero è una meteora apparsa e di cui si aspetta la curva in discesa da un momento all’altro, come lui steso ha annunciato: prima della Samp ero niente, dopo sarò niente. Romano, romanesco, figurante attivo nel mondo del cinema, da mini attore a produttore, a proprietari di sale cinematografico, una prima moglie caciottara, nel senso di proprietaria di fabbrica di formaggi, una certa, acrobatica verve finanziaria, culminata in qualche picchiata come quella della compagnia di Navigazione aerea Livingstone, fallita con strascico penale per lui, apparso sul grande palcoscenico per occupate un posto fisso, prepotentemente, quella sciarpa blucerchiata al collo o sulla testa, le frasi smozzicate, caricate di non sense o di doppio senso, come nelle comparsate dei talk show del post partita, con le avances alla Ilaria D’Amico, uno insomma che dalla prima comparsata fino all’ultima ti suscita la domanda fatale: ma ci fa o lo è?
Se Preziosi è quel lupo solitario che si muove nei boschi del calcio, con un naso fino, si immerge e riemerge nelle tempeste delle società, degli allenatori, dei calciatori con alcuni punti cardinali cui stare attento, come l’inossidabile rapporto con Galliani, il deus ex machina del Milan berlusconiano, Ferrero è un giullare comparso nel teatrino di botto e senza la minima continuità con il suo predecessore Edoardo Garrone, il figlio di Riccardo, che pur di liberarsi della Sampdoria e dei pesi che una famiglia dinasty non tollerava più, aveva chiuso la trattativa con il Carneade “romanaccio”.
Si sa che cosa c’è dietro Preziosi, che sta ridimensionando pesantemente il suo ruolo nella holding che regge la FinGiochi e ha già trovato soci asiatici per salvare il suo ex impero, si sa delle sue operazioni complicate per reggere in piedi un impero nel quale il Genoa glorioso e ultracentenario è solo un asset da piazzare o meno. Preziosi deve tenere in piedi il Genoa fino a quando non perfezionerà un’operazione con un socio che gli consenta di esistere ancora nella società, perchè di questo non può visceralmente fare a meno. Ha già tentato tante strade di società, introducendo aspiranti soci, investendoli di ruoli di vicepresidenti o superdirigenti, il siciliano Lo Monaco, il varesotto Rosati ed altri, ha fatto comparire come ombre cinesi soci possibili con gli occhi a mandorla, perfino ospitandoli con gran spolvero nella tribuna d’onore dello stadio Luigi Ferraris.
Li presentava come futuri player della società, invece poi scomparivano, appunto, come ombre cinesi. L’ultimo che è ancora sulla zona di mezza ombra e mezza luce è Giovanni Calabrò, un quarantenne rampante con molti affari nella Russia di Putin e molti liquidi, pronto ad accaparrarsi la FinGiochi e quindi, semmai, pure il Genoa. Ma questa volta il gioco con il joker, se si passa l’espressione ripetitiva, è diventato più complicato dei minuetti tradizionali.
La situazione del Genoa è sempre più difficile e Calabrò, perfino portato in palmo di mano al teatro lirico, il Carlo Felice, alla prima della Stagione, per esibirlo come un trofeo nientemeno che dal governatore della Liguria Giovanni Toti a caccia di consensi “popolari”, è più concreto delle ombre cinesi, dei mister Lee o Bee che gli specchietti di Preziosi facevano luccicare, abitualmente sul finire dei campionati, quando la squadra era salva o addirittura al sesto posto, come l’anno scorso e ogni ipotesi possibile. Compreso il passo d’addio.
Chi c’è dietro Ferrero è più complicato scoprirlo perchè le favole genovesi hanno avuto una narrazione lunga e complessa in proposito, fino dal momento della sua comparsa, nella certezza che non poteva essere solo lui, l’attore principale di un’operazione poi inizialmente baciata dalla fortuna di un campionato con il botto, grazie alla verve dell’allenatore serbo Sinisa Mihailovic, che Viperetta storpiava in “Miailo”, per caricare di effetti speciali l’incredibile accoppiata: un duro serbo con la grinta da vendere, terrore dei suoi giocatori e quel funambolo con la sciarpa in testa del presidente romano.
Inizialmente l’era metereotica Ferrero era stata coperta dalle garanzie della famiglia Garrone, che pur di liberarsi del peso societario, avevano mollato un bonus fidejussorio di un anno. Poi sono incominciate a circolare le voci sullo sfondo reale in cui Ferrero si sarebbe mosso: uno dei nomi più importanti a Genova oggi: quel Gabriele Volpi, settantetreenne di Recco, la patria della focaccia al formaggio e della squadra di pallanuoto di cui lo stesso Volpi, ex giocatore, è anche presidente, un imprenditore di enorme successo finanziario, grande operatore in Nigeria, dove possiede il dominio delle infrastrutture e delle concessioni petrolifere, il socio rimontante nel nuovo assetto societario della Banca Carige, dove ha il 7 per cento, l’imprenditore che vuole rifare il water front di santa Margherita e che ha comprato un territorio importante sulla Riviera ligure, tra Sori e Recco per costruirci un villaggio sportivo e residenziale. E, dulcis in fundo, il padrone dello Spezia Calcio, società, che dalla serie B sta tentando un difficile assalto alla A. Ma che ci prova e riprova. Un indizio?
Quale miglior alibi di questo paperone-Volpi per giustificare le acrobazie di Viperetta la sua sicumera da Testaccio? La favola, la narrazione hanno da tempo piazzato Volpi nel futuro della Samp post Ferrero. Ma Volpi ha smentito e rismentito e Ferrero ha sempre solo annunciato che lui andrà avanti fino a vincere lo scudetto. Salvo poi ripetere, dopo la Samp non sarò niente.
Il derby sarà di carbone nero sotto questo profilo, non sotto quello del match, della partita in campo, che quello è un altro discorso di clima, di nervi, di sfida ombelicale nella città, perchè Preziosi e Ferrero sono il mal di pancia dei tifosi, che poi misurano tutto sul campo, sui risultati, sulla prospettiva della sicurezza di restare in A a giocarsela.
Genoa e Samp non sono in sicurezza e non solo perchè non si sciolgono i rebus dei due presidenti e del loro rocambolesco futuro. La classifica è magra e le rose delle due squadre molto ballerine.
Vendono o tentano di vendere i migliori giocatori e se non ci riescono, come nel caso della Samp nel mercato estivo, è per inghippi tecnici, cercano soluzioni disperate di mercato, per tappare i buchi.
Il Genoa ha venduto o restituito l’anno scorso tutti i migliori, Iago Falque, Andrea Bertolacci, Jurai Kucha, Edenilson, Antonelli, Niang, spolpando una squadra che aveva rasentato la Coppa Uefa. E i sostituti sono delusioni totali, perchè il mago Preziosi non può centrare tutti i mercati, qualcuno lo sbaglia per forza. Ora, alla vigilia del derby, è in partenza perfino Diego Perotti, l’ultimo gioiello che la Roma si è accaparrata e il mercato porterà via anche Mandragora, un ragazzino prodigio posteggiato in B a maturare, che, però, le squadre inglesi e la inesorabile Juventus stanno corteggiando. Il Genoa deve fare cassa, il joker deve rientrare……
I tifosi blucerchiati non si stupirebbero se nel mercato andassero via Soriano, il campione del centrocampo blucerchiato o il bomber della nazionale, Eder. Anche Ferrero, aspettando che le favole si avverino, deve fare cassa……
Che derby sta per portare la Befana? Sotto questi profili, appunto, un derby nero, ma la partita è un’altra cosa. I due allenatori Gasperini e Montella, diversamente forti, l’hanno preparata come una finale di Champions. I tifosi andranno allo stadio in quasi trentamila e lo orneranno come nessuna altra città di calcio sa fare con fantasia inarrestabile e imprevedibile e passione, sono le società che hanno più abbonati e più spettatori in proporzione alla popolazione declinante e si dimenticheranno di tutto pur di vincere. Solo a partita finita la Befana con il suo sacco nero svolazzerà tra i fumogeni e i botti (proibiti) sul prato dello stadio Luigi Ferraris.