GENOVA – Genova e la Liguria cambiano il presidente della Regione e il cardinale arcivescovo e la doppia sostituzione sta suscitando una valanga di illazioni in un ruotare di nomi e candidature per due ruoli tanto diversi: la leadership politica amministrativa della Regione e la cattedra dell’arcivescovo metropolita sull’altare della cattedrale di San Lorenzo, sprofondata nei caruggi genovesi.
Sono scelte che non ci azzeccano una con l’altra, perché il presidente verrà scelto ovviamente con l’elezione del popolo sovrano in una data tra la fine di maggio e le prime settimane di giugno, mentre l’arcivescovo arriverà per decisione secca e improvvisa, senza possibilità di data da prevedere, direttamente da papa Francesco.
Ma le due imminenti scelte sono accomunate da una ridda di anticipazioni, in un vortice di candidature che, se per la Regione sono condizionate dalle decisioni dei partiti, delle alleanze e perfino dei movimenti, per la Curia dipendono dal Pontefice in persona, che ascolta i suoi consiglieri, ma poi è da solo.
L’altra differenza fondamentale è che il presidente uscente della Regione Giovanni Toti, ex forzista, leader con pretese nazionali di affermazione attraverso la lista “Cambiamo” può essere rieletto, vincendo le elezioni nelle quali è già stato lanciato, mentre il cardinale Angelo Bagnasco, 77 anni appena compiuti, si è già dimesso, è in regime di prorogatio dal compimento dei 75 anni, come prescrivono i canoni vaticani e non potrà restare al suo posto dopo un regno record di 13 anni.
La partita regionale è molto agitata sul fronte del centro sinistra, che non riesce per ora a designare un contendente in grado di contrastare Toti, arci sicuro di vincere la battaglia, anche grazie al sostegno che gli dà la Lega di Salvini, malgrado la partita sia diventata molto più contendibile dopo il voto in Emilia Romagna e considerata la possibilità che 5Stelle e Pd possono allearsi nel tentativo di dare un assalto molto più massiccio alla roccaforte del centro destra, che in Liguria regna incontrastato su Genova, Spezia, Savona e in parte Imperia, dove è sindaco l’ex ministro Claudio Scajola eletto, però, con una lista civica che si impose contro il candidato di Toti.
I 5Stelle sono molto combattuti: la candidata espressa con i 431 voti della piattaforma Rousseau, la già consigliera regionale uscente, Alice Salvatore, una pasionaria in sedicesimo, trentacinquenne molto protetta da Beppe Grillo in persona, ma combattuta all’interno del Movimento, ha annunciato per conto suo che lei correrà da sola. Non c’è bisogno di alleanze con il Pd.
I democratici, che hanno appena cambiato la loro segreteria regionale, scegliendo un leader più giovane, Simone Farello, rispetto al monumento precedente, il senatore Vito Vattuone, e una squadra molto territoriale di trenta-quarantenni, stanno soffrendo le solite pene per trovare una candidatura forte, ballano tra una soluzione tutta Pd più campo progressista e senza i 5Stelle e una soluzione universale che schieri tutti insieme.
Sono anni e anni che il centro sinistra a Genova e in Liguria stenta a sfornare i candidati per ogni tipo di elezioni, spesso sbagliandoli e prendendo sberle secche dalla concorrenza di centro destra e fino a ieri anche dai grillini.
Emblematica l’ultima sconfitta genovese, quella che ha portato a diventare sindaco Marco Bucci: dopo tentennamenti, incertezze, ritirate, il centro sinistra aveva candidato Gianni Crivello, assessore uscente nell’amministrazione del sindaco-marchese, Marco Doria, un ex infermiere, uomo del territorio, non certo carismatico, che aveva pagato con una sconfitta storica l’incapacità a sinistra di trovare un candidato più forte, più visibile, più mediatico. La lunga crisi del Pd negli anni aveva già fatto pagare pegno a partire dal 2013, quando alle Primarie per scegliere il candidato sindaco erano state sconfitte sia la sindaco uscente Marta Vincenzi che la futura ministra della Difesa e oggi senatrice, Roberta Pinotti, targatissime Pd. Vinse allora Marco Doria, indipendente della sinistra radicale e il Pd a ramengo.
Perfino alle ultime elezioni politiche, nei collegi genovesi e liguri, i big locali, come la stessa Pinotti e Andrea Orlando, oggi vice di Zingaretti nella segreteria nazionale del Pd, sono stati dirottati altrove e eletti in collegi nazionali sicuri, perché a Genova e La Spezia non hanno trovato voti sufficienti. Clamoroso il caso della Pinotti, giunta terza nel suo collegio di Sampierdarena, dietro il candidato leghista e dietro quello pentastellato.
In questo clima, un po’ ravvivato dal responso emiliano-romagnolo, la scelta dell’anti Toti è appunto travagliata e stimolata da una eventuale asse con i Cinquestelle. In questo caso il nome che viene fatto con più insistenza è quello del giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, Ferruccio Sansa, figlio dell’ex sindaco ddi Genova, il giudice Adriano Sansa. Sarebbe gradito da molti 5Stelle, avrebbe la benedizione della Comunità storica di don Andrea Gallo e una parte del Pd lo apprezzerebbe.
La parte democratica che spera di conquistare una fetta moderata dell’elettorato, il famoso centro oscillante dello schieramento, quello che conquista voti nei quartieri borghesi della città, come Albaro, a Levante o come Castelletto, area ombelicale sopra il centro storico di Genova, dove le sezioni del Pd erano soprannominate “sezioni-cachemere”, per il rango socialmente elevato di molti simpatizzanti, ha invece le sue perplessità.
Non è il solo nome che rulla tra i tormentati dirigenti del tormentatissimo centro sinistra: c’è Alcide Massardo, ex preside di Ingegneria, buon professore universitario, che si è lanciato per conto suo nell’agone, c’è una avvocatessa di grido, Daniela Anselmi, cinquantenne, già legale di importanti studi professionali, con ruoli rappresentativi nella categoria, che però nega un suo coinvolgimento, c’è Valentina Ghio, la sindaca di Sestri Levante, che gode di buona stampa, un’altra cinquantenne.
Sulla giostra dei nomi è inizialmente salito anche quello di un avvocato molto noto, esperto europeista, Jimmy Giacomini, che, però, è sparito presto dall’elenco, come Lorenzo Cuocolo, altro avvocato e professore universitario, figlio di un grande della antica Dc, Fausto Cuocolo, già presidente del Consiglio regionale e della banca Carige, che ha negato in modo secco la sua disponibilità.
Così tra autocandidature, incertezze, retromarce, smentite e disponibilità oscillanti, i nomi che resistono, a parte Sansa jr, sono quelli dello stesso Andrea Orlando, che una parte del Pd nazionale spingerebbe alla sfida, ma che non ha precedenti forti di popolarità sul territorio e quello di Comanducci, filosofo del Diritto, il rettore dell’Università di Genova in scadenza di mandato, ma fino ad ora molto restio ad accettare una proposta di candidatura. Tattica o vero convincimento? Chissà.
Oramai il conto alla rovescia per la designazione del concorrente o dei concorrenti, se i 5Stelle decideranno di tentare una sortita solitaria con la pasionaria Salvatore, è agli sgoccioli, in un clima nel quale la partita sembra un po’ più contendibile, dopo il voto emiliano-romagnolo. In Liguria, però il centro destra sembra molto più solido che altrove.
Dietro Toti ci sono tutti e, sopratutto, c’è l’asse con il sindaco di Genova Marco Bucci e con il presidente dell’Autorità Portuale, Paolo Emilio Signorini, un vero blocco di potere, con capacità mediatiche e di trasmissione di messaggi comuni tra città, regione e i grandi porti di Genova e Savona che l’opposizione di questi anni non ha mai provato a scalfire.
La “triade” ha dominato la scena, imponendosi sopratutto nelle emergenze del ponte Morandi, cavalcando minuziosamente ogni altra emergenza metereologica, fronteggiando mareggiate, tempeste di vento, alluvioni, straripamenti, stendendo tappeti rossi a uso di richiamo turistico.
Il possibile futuro candidato anti Toti non troverà assolutamente un terreno arato dall’opposizione, uno o più dossier su cui scatenarsi, come per esempio quello da molti invocato sulla Sanità ligure, che boccheggia pesantemente tra fughe di malati a farsi curare in altre regioni, clamorosi trasferimenti in pullman di decine di malati in cura oncologica, trasportati da Genova a Savona e ad Alessandria perché le macchine della radioterapia sono rotte. Si registrano attese di otto mesi per cure oncologiche, invasioni dei Pronti Soccorsi nei periodi cruciali delle vacanze di Natale o sotto epidemia influenzale.
E non c’è solo la Sanità, ci sono le infrastrutture che fanno annaspare la Liguria tra crolli, interruzioni, allarmi continui, interruzioni di percorsi. Il centro destra non è certo responsabile di tutto questo, ma governa la Liguria da cinque anni e non ci sono tracce di nuove opere progettate o solo indicate, programmate nei grandi nodi dell’isolamento infrastrutturale, sulle ferrovie, sulle autostrade, sulla viabilità ordinaria.
Dal profano al sacro la scelta del successore di Angelo Bagnasco cardinale genovese doc, più longevo successore di Giuseppe Siri, il cardinale-principe che regnò 41 anni, è sicuramente molto più semplice perché nella mani del papa e, per chi ci crede, nello Spirito Santo. Ma anche qui il gioco dei nomi è ampio e interessante.
I sostenitori strenui della politica di papa Bergoglio si augurerebbero che la scelta cadesse su Vittorio Francesco Viola, oggi vescovo di Tortona, un francescano molto ispirato, grande predicatore, cresciuto ad Assisi, nel solco di Francesco, giovane e trascinatore.
Con il suo nome si fanno anche quello di Francesco Moraglia, un genovese oggi patriarca di Venezia, con un passato vicino a Siri e Bertone, una tradizione conservatrice che però si è tradotta negli anni veneziani in atteggiamenti molto più “progressisti” e di Corrado Sanguineti, un altro ligure di Chiavari, che oggi è vescovo di Pavia.
Qualcuno indica tra i possibili successori di Bagnasco, che ha presieduto la Cei per dieci anni, record assoluto nella Chiesa, anche il suo vicario, Nicolò Anselmi, molto giovane, genovesissimo, che è anche parroco della chiesa delle Vigne, un gioiello dei caruggi e perfino il vescovo di Savona- Noli, Calogero Marino.
Ma come sempre in questi casi la sorpresa potrebbe essere assoluta e prevedere una soluzione diversa da questi nomi. Con papa Francesco ci si può aspettare anche un colpo di scena.
Intanto quello che è certo è che, come a Venezia, come a Milano, come a Palermo, dove il vescovo incardinato calzava presto la berretta rossa da cardinale, anche Genova in un futuro prossimo non avrà questo riconoscimento per il suo pastore.
La politica vaticana di Francesco, e chissà se anche dei suoi successori, prevede soluzioni diverse per un Sacro Collegio che è già troppo italiano.