Genova in piazza contro Beppe Grillo traditore? Monta la rabbia dopo il voto beffa

di Franco Manzitti
Pubblicato il 13 Novembre 2018 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Genova in piazza contro Beppe Grillo traditore? Monta la rabbia dopo il voto beffa

Genova in piazza contro Beppe Grillo traditore? Monta la rabbia dopo il voto beffa (Foto Ansa)

Riusciranno i genovesi, gente “diversa”, chiusi, riservati, “stundai” (termine dialettale intraducibile), malmostosi (più traducibile), a scendere in piazza, a andare sulla scia di Roma e di Torino dei 30-40 mila per segnalare il declino della città?

Riuscirà una piazza zeneise a radunarsi dopo quello che è successo e sta succedendo, con la stessa spinta trasversale e non etichettata di Roma e Torino, per urlare educatamente il suo enorme disagio, esattamente a 90 giorni dalla caduta del ponte maledetto, a due settimane dalla mareggiata “storica”, che ha sbriciolato la costa, i porti, le strade, isolando Portofino ma non solo , anche decine e decine di paesi dell’entroterra, in una grandinata di frane, smottamenti crolli, rinforzati dall’ultimo colpo della bomba d’acqua di sabato che ha non solo fermato a Marassi la partita Genoa-Napoli, ma isolato l’entroterra di Pegli?

Ci si chiede se basterà tutto questo o se la spinta a rompere gli schemi di una pruderie, spesso dettata da differenze sociali, carattere irsuto e scarsa comunicatività, sarà rinforzata anche dalle pessime “condizioni generali” che, a prescindere da un’estate e un autunno di disgrazie, infieriscono da anni su Genova, la ex Superba.

Si conta l’emergenza in cui vive la Carige, la ex banca-mamma della Liguria, il cui titolo crolla da anni come il ponte Morandi, fino a essere sospeso per tentare operazioni acrobatiche di salvataggio, emissione di bond da 400 milioni, poi ennesimo aumento di capitale per ripagarlo, sotto l’occhio severo e duro della Bce e del Fondo di Salvaguardia e del mondo finanziario intero.

Si aggiunge la crisi postindustriale, mai frenata da decenni e che riesplode ora con l’incerto destino dell’Ilva, che non si chiama più cosi, con Acelor Mittal indiano, nuovo padrone nelle cui mani sono più di 2000 posti di lavoro e uno strategico destino siderurgico tra Taranto, Cornigliano, Novi Ligure.

Si somma la quasi sentenza di morte che sta per essere emessa su Piaggio Aerei, firma storica di una storica famiglia dell’imprenditoria classica genovese: o le saranno affidate commesse per costruire i droni o calerà la tela e andranno a casa 1.600 operai.

Una catastrofe occupazionale grande. Anche se meno ombelicale di quella della Rinascente, il grande magazzino del boom anni Sessanta, chiuso desolatamente nel centro della città, in faccia alla statua di Guido Rossa, la vittima martire delle Br e a un passo da dove “Balilla” scagliò la sua pietra di rivolta contro gli austriaci nel diciottesimo secolo.

La Rinascente muore e resta vuota e manda a casa 45 commessi e commesse, nel quartiere ex splendente di Piccapietra, dove hanno già chiuso i grattacieli dell’Italimpianti e della Miralanza, dove ci sono gallerie di ex shopping cancellate dalla crisi, sostituite da file di saracinesche chiuse a un passo da Piazza Corvetto, il vero ombelico della città.

Ci vorrebbe un Balilla o, visti i tempi moderni e gli esempi di Roma e di Torino, un gruppo di donne senza etichette politiche, partitiche, con discreta adesione sui social e buon numero di followers per mobilitare la piazza sotto la Lanterna, destinata ad illuminare un panorama sempre più buio.

Se anche non è una formazione femminile che scatena la protesta poco importa. Le spinte incominciano a essere infatti tante, tutte senza targhe e senza le rabbie del dibattito politico in corso: dal vertice di Confindustria Genova (che già organizzò una marcia otto anni fa per far ripartire il Terzo Valico), a un gruppo di associazioni culturali come “Emergente”, di trentenni-quarantenni, “Che l’inse”, gruppo con radici fedeli nel dialetto genovese, ordini professionali, ovviamente i sindacati, anche quelli che progettavano una marcia sotto la casa di Beppe Grillo a Sant’Ilario, fino ad altre formazioni della società civile, con vere e proprie chiamate in campo di personaggi leader, come per esempio Carlo Castellano, il “padre” dell’insediamento tecnologico e informatico degli Erzelli, vera cittadella del futuro, a Stefano Cingolani, il direttore dell’IIT, l’istituto dove 1200 scienziati di tutto il modo preparano robot e macchine del futuro.

Il problema è chi sarà il collante di questa protesta che sale, sale dal ventre della città ferita, quasi accucciata sotto i colpi di un destino avverso che si è incrudelito ancora negli ultimi giorni.

Paradossalmente si può sostenere che Genova è, prima di tutto, stretta in una morsa di due ponti che riassumono le sue emergenze: quello sciagurato da rifare al più presto, caduto il 14 agosto in Valpolcevera, facendo la strage e quello che simbolicamente potrebbe rompere l’isolamento di Portofino, la cui strada di collegamento con Santa Margherita è caduta nella notte fonda del 4 novembre, sprofondando il borgo magico in una separazione simile a chi vive nelle isole: lì si arriva solo via mare o attraverso i fantastici, ma impervi sentieri del Monte.

A 90 giorni dal crollo del Morandi Genova ha rammendato soltanto la viabilità sotto il ponte, aprendo qualche strada che colleghi pezzi della città, separati violentemente nella Valpolcevera, un lavoro del sindaco Marco Bucci e del governatore della Liguria, Giovanni Toti. Sono stati rimosse le macerie più pesanti sotto il ponte, quelle che bloccavano la linea ferroviaria fondamentale per far funzionare il traffico del porto genovese. Sono stati risolti quasi tutti i problemi di sistemazione dei 700 sfollati-abitanti delle case sulle quali il ponte incombe e che saranno demolite. Stop.

I tempi della demolizione del Morandi sono ancora incerti. Quelli della ricostruzione, tanto attesa, ancora più vaghi. Il Governo gialloverde non è ancora stato in grado di varare definitivamente il Decreto Genova, la misura che dovrebbe agevolare la rinascita del ponte stesso e delle attività, circa 13 mila danneggiate direttamente e indirettamente nell’area colpita dalla immane tragedia.

Anzi, quel provvedimento ha fatto più discutere, per il fatto che serve a condonare gli abusi edilizi di Ischia e le difficoltà di alcuni centri dell’Italia centrale, colpiti dal terremoto e a modificare il regine di smaltimento dei fanghi tossici, alzandone il limite di tolleranza e riduce Genova a soli 12 articoli. Il vice ministro alle Infrastrutture, il leghista Edoardo Rixi, sbandiera la cifra di 618 milioni concessi a Genova, per di più rinforzati nei prossimi esercizi della Legge di Stabilità di 500 milioni. Ora questo capolavoro dei grillini, perentorio solo nell’escludere dall’operazione Autostrade spa e nel non citare alcuna ditta per la ricostruzione, giace tra la Commisione Trasporti e l’aula del Senato dove si devono dipanare 480 emendamenti piazzati dall’opposizione che, come alla Camera, spara a zero sul Decreto non per le misure genovesi, ma per Ischia e Amatrice e per i fanghi, censurando soprattutto Luigi Di Maio, nel cui collegio elettorale c’è, appunto Ischia, la super benificiata dal Decreto.

Il commissario straordinario nominato per demolire e costruire, Marco Bucci, sindaco di Genova, voluto in questo ruolo di supervisore dalla parte grillina del governo, sta a bagnomaria dal 4 ottobre, giorno in cui è stato scelto, ma non può operare finché il decreto non sia diventato legge. E, quindi, cerca di formare il suo staff, nel quale dovranno essere scelti due vice commissari e una ventina di tecnici ingegneristici, legali e burocratici per sbrogliare una delle matasse più complicate.

Si fanno già nomi dei suoi assistenti, tra i quali quelli di illustri pensionati genovesi, come Ugo Ballerini, direttore generale di Filse, socialista della prima ora, Renata Olivieri, ex assessore regionale in regione e nel comune di Chiavari, socialista poi passata a Forza Italia, Gian Poggi, super capo dell’Urbanistica comunale e regionale, uomo di Claudio Burlando, ex presidente della Regione , ex ministro ed ex sindaco, del Pci-Pds-Ds e Pd. Anche Poggi è stato di recente pensionato, pur mantenendo una consulenza con l’Urbanistica del Comune di Genova.

Ma questo commissario, anche lui sospeso come il ponte, non può per ora fare nulla, salvo annunciare date e soluzioni che non hanno purtroppo nessuna sicurezza. Così Bucci giura che a dicembre, cioè domani, incomincerà la demolizione, ne fissa perfino il giorno, il 15, e annuncia che in lizza per la costruzione potrebbero esserci anche i cinesi, da lui contattati in un recente viaggio di missione insieme al presidente del porto, Paolo Emilio Signorini, alto funzionario, già segretario generale in Regione e prima ancora nello staff di Incalza, uno dei leader dei lavori pubblici del tempo che fu.

Il ponte cinese ha scatenato un vero vespaio e perfino la reazione di Rixi, amico di Bucci: l’infrastruttura dovranno farla aziende italiane, magari non Fincantieri, che i grillini avevano subito esibito senza sapere che la potente azienda che fabbrica navi per tutte le flotte del mondo non ha il certificato per fare ponti, come ha svelato con documentazione precisa il ”Sole 24 Ore”. E Bucci assicura anche che nel Natale del 2019, cioè tra tredici mesi, il nuovo ponte potrà essere inaugurato.

Ma la data non convince nessuno, nella totale incertezza in cui tutto si muove e sembra più un mantra ottimistico che un vero programma, una preghiera per confortare la città che sta soffrendo disagi colossali e che ha modificato perfino il suo metabolismo per adattarsi a quel crak. La città ascolta dal 15 agosto date di riabilitazione e tempi di costruzione, che ondeggiano dagli 8 mesi annunciati subito da Autostrade ai quattro anni immaginati in uno studio serio di un gruppo di ingegneri.

L’altro ponte, in senso figurato simbolo del momento terribile per il quale mobilitarsi, che può spingere Genova in piazza come Torino e Roma, è quello di Portofino, il borgo incantato. Bisogna infatti gettare come un ponte per rompere quell’isolamento che rende il borgo irraggiungibile, se non via mare o per sentieri del Monte. Il commissario all’emergenza Toti ha annunciato l’intenzione di rendere carozzabile un sentiero che scende da Ruta di Camogli, percorribile in bicicletta o forse in moto e che si vorrebbe allargare per rendere possibile il passaggio di un’automobile. Un’altra strada da studiare è scendendo da Nozarego sulle alture di santa Margherita, ma qui il percorso è ancora più difficile.

La battaglia che i portofinesi, gente dura e con un carattere molto particolare, stanno intraprendendo è ovviamente per rifare subito la strada crollata, impresa complicata, che, però, è incominciata subito con l’obiettivo di finire assolutamente prima di Pasqua.

Ogni giorno nella piazzetta “storica”, che tra l’altro è mezza sprofondata dopo le ultime piogge per l’esplosione di un rio sotterraneo, fino a oggi tranquillo, c’è come un’assemblea dei 250 residenti con il sindaco Matteo Viacava e i cittadini illustri, come il famoso manager Roberto D’Alessandro, già sindaco per molti anni, poi presidente del Cap di Genova e dell’Agusta, che abita tutto l’anno a Portofino e non si dà per vinto. “Quando veniamo attaccati dall’esterno noi portofinesi reagiamo compatti e supereremo questa emergenza“ – dice l’ottantenne ex leader economico. Ma senza aiuti esterni, sottoforma di finanziamenti, l’operazione-strada è complicata e la vita nel borgo è diventata quasi da tempo di guerra: il traghetto e le motovedette, se il mare lo consente, fanno sei corse al giorno per portare viveri e generi di necessità.

I bambini vanno a scuola via mare. Un bypass ha consentito di far arrivare il gas e la Regione ha piazzato una guardia medica stabile in paese. L’inverno è una stagione ferma a Portofino, ma ha il suo fascino da presepe intangibile, tra la piazzetta, le calate, il castello e la chiesa in alto e le barche a dondolare nel porticciolo naturale. Tutto questo lontano e irraggiungibile fino a quando? Portofino non è solo il glamour delle barche che arrivano con i vip, dei nuovi ricchi, arabi e russi, che sbarcano allo Splendido e negli altri alberghi e poi saccheggiano le boutiques. E’ anche una carta d’identità per la Liguria e Genova, quel posto che fino a qualche anno fa indicava dove era Genova, “near Portofino” dicevano nel mondo, riconoscendo al borgo una fama ben superiore al suo misconosciuto capoluogo.

E così la battaglia di mobilitazione in favore della Liguria e di Genova, bastonate dalle sciagure, cammina anche su questo ponte immaginario che toglierebbe l’isolamento così diverso dal sostituto del Morandi. Uno è nell’Inferno della Valpolcevera, nel caos vertiginoso del traffico e delle emergenze, della città divisa al suo interno, tra fabbriche dismesse, nodi stradali e accampamenti di sfollati, l’altro è nell’incanto del Promontorio, tra i più celebri del mondo, nel Parco marino intoccabile, barche da sogno, vegetazione incantevole, ville deliziose.

Poi ci sono le altre infrastrutture che Genova e la Liguria aspettano e che tutti, meno i grillini, vogliono per togliere l’isolamento che distingue questa terra sicuramente più di Torino senza Tav. A questa battaglia ci si vuole attaccare, seguendo anche lo spirito di Milano: il suo sindaco Sala ha parlato di un Triangolo Industriale da rilanciare, per aiutare Milano a collegarsi con Torino e Genova.

Tra Milano e Torino l’alta velocità ferroviaria c’è già, la Tav Torino Lione offrirebbe una linea in più a Milano. Invece Genova è staccata e perduta, in fondo alla famosa A7, l’autostrada costruita in parte da Mussolini, senza più l’ A10 , caduta con il ponte Morandi e, quindi, con la speranza che la liason ferroviaria del Terzo Valico potrebbe alleggerire e velocizzare il traffico merci, ma anche quello passeggeri tra Milano e la Lanterna.

Il Terzo Valico, realizzato al 40 per cento, interamente finanziato per 6 miliardi, travagliato da grandi difficoltà giudiziarie e dal commissariamento del Cociv, il Consorzio che ha la concessione per costruire (la gestione commissariale si è appena conclusa con il ritorno alla normalità gestionale), è stato fieramente avversato da Di Maio in persona, poi dai grillini locali e, infine, dal ministro Danilo Toninelli, il quale ne ha subordinato la conclusione alla famosa analisi costi-benefici. Ma è trapelato che questa analisi, affidata a una commissione speciale, non ha neppure incominciato i lavori e, quindi, il Terzo Valico è sospeso, come i ponti Morandi e di Portofino.

Dopo la mobilitazione di Torino sulla Tav, il Movimento 5Stelle ha incominciato a studiare una exit strategy dalla sua posizione e sembra che abbia scelto la stessa strada usata per la Tap pugliese, il gasdotto autorizzato dopo averne sentenziato in campagna elettorale la fine: ci sono penali troppo pesanti e costi troppo forti per fermare l’opera.

Nella montagna stanno scavando ben tre talpe, macchinari complessi e costosi, che perforano e costruiscono la galleria contemporaneamente. Uccidere il Terzo Valico significherebbe bloccare i cantieri con 2000 uomini impegnati, oltre le macchine e la prospettiva di bloccarne altri 2800 entro il 2022, data di fine lavori, e di mandare in malora un indotto di altre 5500 persone. Tutto questo fa pensare che il Terzo Valico passerà, unica concessione del governo gialloverde, mentre la contropartita sarebbe quella di bloccare la Gronda, l’altra grande opera genovese, la supertangenziale, già finanziata con i pedaggi che Autostrade incassa, il cui via era pronto per lo scorso mese di ottobre.

Il crollo del Morandi ha bloccato tutto, a partire dalla concessione a Autostrade ed ora questa infrastruttura-chiave per il traffico di Genova, costruibile in nove anni di lavoro, che prevedeva un altro ponte parallelo al Morandi, ma più a Nord, è ferma. Se fosse stata costruita nei tempi previsti a partire da quando programmarono la sua antenata, la Bretella, a fine anni Ottanta, il Morandi non si sarebbe logorato al punto di crollare.

Allora che mobilitazione sia, anche se è difficile, anche se si sta cercando la leadership giusta per guidarla e organizzarla, come Roma e Torino hanno insegnato. Anche se qua, a Genova, c’è un detonatore in più: la rabbia contro Beppe Grillo, sulla cui casa i lavoratori del Terzo Valico volevano già marciare e che è visto come l’ispiratore di tutte le manovre anti opere pubbliche, lui un genovese di estrazione popolare, chiuso nel suo giardino dorato a Sant’Ilario, paradiso genovese così distante dalla Valpolcevera in crisi e da Portofino, isolata.