Genova, cuore a Bersani, moderati nella nebbia

ROMA – A Genova, nella città bersaniana più pro Bersani d’Italia, dove si nascondono i moderati, se mai ne esiste qualcuno?

Prendere Genova-capitale, la città del grande porto, delle definizioni apodittiche del tipo “genuensis ergo mercator”, genovese uguale mercante, dello shipping internazionale, della finanza affilata da secoli di esperienze e primogeniture secche, degli imprenditori e magnati potenti e universali, dal Duca di Galliera, settecentesco deus ex machina del porto e della grande solidarietà ospedaliera e culturale, al senatore Gerolamo Gaslini, dell’omonimo ospedale per i bambini, degli armatori che non esistono più, di un ceto medio solido e risparmioso, rosicchiato dallo sboom demografico che trasforma i capitali accumulati nei salvagente per i nipoti disoccupati o sottocupati o precari a vita, prenderla questa Genova capovolta rispetto alla sua storia come cavia di ricerca per un nuovo moderatismo, è un bell’esercizio.

Cercate tracce della grosse koalition dei montiani-centristi casiniani-berlusconiani pentiti-cattolici alla Ruini Bagnasco nella città di Beppe Grillo, del Bersani boom, delle Primarie colorate ancora di rosso, anti Renzi, se si corre per Roma e pro Marco Doria, il marchese rosso-antico diseredato o meno, nella città dei postcamalli di Paride Batini, del governo locale ininterrotto della sinistra dal 1974, del socialismo qui fondato in una trattoria dei vecchi caruggi, di Sandro Pertini e del primo centro sinistra mai sperimentato prima ancora di Moro-Nenni a palazzo Chigi?

Fatica improba: questa Genova ha poco da contrapporre ad un dominio incontrastato dei partiti o post partiti della sinistra storica, riassunti nel Pd, in Sel. Non ha mai avuto un sindaco di destra, come il bolognese Guazzaloca e ancora oggi vedi al centro dello schieramento uno spappolamento totale di ogni tendenza moderata.
L’Udc di Casini, qui maxi impersonata, nel senso della stazza fisica, dal troneggiante Rosario Monteleone, presidente del Consiglio regionale, ex margherito, ex Rinnovamento Italiano, ex democristiano di centro, sta nel governo di centro sinistra regionale di Claudio Burlando e a Palazzo Tursi, sede del Comune, ha fatto di tutto per non appoggiare il rivale del marchese rosso Doria, il senatore post berlusconiano e oggi liberal-Oscar Giannino, il prof. di Economia dei Trasporti Enrico Musso.

Genova è la città del cardinale arcivescovo presidente della Cei Angelo Bagnasco, ma è anche la città di don Andrea Gallo, il prete da marciapiede più popolare che ci sia, autore nei giorni scorsi di un appello altisonante sul rischio democrazia dell’Italia, un sos che non arriva certo da destra, ma dal fronte largo a sinistra e oltre anche verso Grillo, di questo sacerdote ottantetreenne, messo al bando da Siri che lo esiliò alla isola Capraia, fondatore delle Comunità antiodroga di san Benedetto, prete di una rara generosità umana, politicamente straschierato, benedicente il sindaco-marchese e tutto il fronte della sinistra radicale.

E allora dove li peschi i moderati in questa città così trasversale dove la borghesia cattolica, quella che alza il capo e si schiera politicamente, è prevalentemente appoggiata a sinistra attraverso tutto il variegato e rigoglioso mondo della solidarietà sociale che fiorisce anche attraverso le grandi famiglie, appunto borghesi, come gli stessi Costa ex armatori della celebre linea C, come i Pescetto dalla spinta solidale in mille direzioni, ma mai certo verso destra o il centro, almeno nelle ultime generazioni.

Sparita la Dc di Paolo Emilio Taviani ed anche quella più a sinistra morotea o basista, sono spariti anche gli appoggi al centro-moderato. In venti-trenta anni da quel mondo non sono mai usciti candidati sindaci o candidati presidenti di Regione e Provincia cattolici che cercassero casa a destra nel mare magnum del berlusconismo prima maniera e meno che mai in quello della seconda caotica fase post Pdl.

Non resta che fare una sintesi moderata, per quanto questo termine valga ancora e non sia un po’ stretto per questo schieramento nuovo e così antico, negli strati ancora più ruvidamente borghesi, lacerati addirittura nell’ultimo anno dalla contesa su Doria sindaco.

Per il cinquantatreenne professore di Storia dell’Economia all’Università, figlio di Giorgio Doria, il diseredato erede di Andrea Doria e di Branca Doria, seppure per rami trasversali di discendenza, si schierarono anche le elites più snob dell’alta borghesia genovese, compresa parte della nobiltà vera e propria, non schizzinosa quando si trattò di fare le fila alle Primarie che scelsero il candidato del centro sinistra, affondando le due zarine del Pd, la sindaco uscente Marta Vincenzi e la senatrice concorrente, Roberta Pinotti.

In quei salotti molto riservati e chiusi tra via Garibaldi, “la Strada dei Re”, tutti palazzi seicenteschi di raro pregio e di residenze intoccabili, l’opzione Doria fu qualche cosa di sangue e non di ragionamento politico, come se avessero scelto in lui non la collocazione politica ma i geni immarcescibili di una dinastia che ha ancora rami ben presenti e radici piantate nel tessuto cittadino, i Doria Lamba, i Doria Phamphili, romani ma con un palazzo, detto del Principe, nell’ombelico portuale genovese, un magnifico giardino all’italiana davanti alla Stazione Marittima.

Se non erano moderati questi, allora bisognava cambiare la definizione, oppure cercare un impossibile raccordo con i partiti apparentemente moderati del berlusconismo e del post berlusconismo e le nuove nebulose che nascono tra Casini, Montezemolo, Riccardi e i cattolici vicini a Bagnasco di quei ceti ed anche di quelli discendenti in basso della medio alta borghesia, residuale del porto in caduta di traffici, dello shipping massacrato dalla caduta dei noli e dal patatarac degli armatori, razza oramai scomparsa quasi del tutto dall’albero genealogico della città di Cristoforo Colombo e dei Rubattino, che fornirono le navi di Giuseppe Garibaldi per andare a conquistare la Sicilia e strapparla ai Borboni.

Ma Forza Italia prima e poi il Partito del Popolo della Libertà non hanno mai in realtà attecchito nella città ex Superba, dove anche negli anni cavalcanti del successo azzurro, mai hanno trovato un solo leader locale, se si esclude la meteora Sandro Biasotti, presidente della Regione tra il 2000 e il 2005 e oggi deputato un po’ deluso.

Claudio Scajola, il tre volte ministro caduto e rialzato e oggi probabilmente fuori dal gioco elettorale, è stato il più potente, ma era di Imperia e non lascia una eredità di successori, delfini, ma solo durissime guerre quasi di religione nella città capoluogo. Lui viene da Imperia, città-paese lontana e diversa, i cui leader politici si sono sentiti un po respinti dal capoluogo, malgrado i successi romani e il potere conquistato, magari all’ombra di Berlusconi.

E dall’altra parte della Liguria viene il senatore Luigi Grillo, berluscones di lungo corso, spezzino molto più trapiantato a Genova di Scajola, ma in conseguenza di una guerra dei cento anni contro di lui, sempre un po’ tenuto lontano dai gangli della città, se non da quelli bancari e imprenditoriali, conquistati per conto suo.

Al centro in tutti questi anni era spuntato solo quel senatore Enrico Musso, scelto da Scajola come competitor per le elezioni comunali del 2007 contro la zarina Vincenzi, sconfitto di misura, poi fatto senatore e poi diventato oppositore ante litteram di Berlusconi, considerato dagli azzurri un transfuga e quindi emigrato nei gruppi misti, poi nel centro liberale e comunque incenerito da Forza Italia e dalla Pdl in secula seculorum, neppure aiutato da loro nel ballottaggio di otto mesi fa, conquistato con una lista civica Oltremare contro il Doria.

Ma oltre Musso il nulla, una pletora di personaggi litigiosi, spesso l’un contro l’altro armati fino allo spappolamento della destra, che oggi non ha strutture, capi riconosciuti, idee, programmi per la città, per la regione, per il mondo.

Con chi si potrebbe raggruppare questo residuo berlusconiano frastagliato tra l’ex guarda spalle di Scajola, l’onorevole Michele Scandroglio, non si se ancora coordinatore metropolitano Pdl, l’onorevole Minasso, sanremese anche lui scomunicato da Scajola e gli altri epigoni del ministro imperiese, sparpagliati nel territorio ligure, ma, guarda caso, per niente incisivi a Genova-capitale?
Sul fronte moderato non si agita neppure una foglia e non ci sono reincarnazioni locali di Monti o di qualcuno dei suoi ministri o caudatari di Luca di Montezemolo per ora apparsi sui lungomari genovesi o nei carruggi sempre più decadenti. Soffia la tramontana per i moderati, ma sembra quella “scura” che porta nuvole nere e non quella chiara che spiana il mare verso l’incanto di Portofino, che anche Berlusconi ha abbandonato.

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