Genova, Carige. Castelbarco Albani contrastato (5-3) presidente post regicidio

http://www.ilsecoloxix.it/p/economia/2013/09/04/AQYXEhI-rottura_castelbarco_presidente.shtml
Cesare Castelbarco Albani, nominato presidente della banca Carige di Genova

GENOVA – La banca Carige di Genova ha il nome del nuovo presidente, Cesare Castelbarco Albani, che è stato designato dal Cda della Fondazione Carige, azionista di controllo.  La nomina formale avverrà nel corso della assemblea, il 30 settembre.

La scelta è stata contrastata. Di otto consiglieri della Fondazione presenti, solo 5 hanno approvato la scelta, gli altri 3 hanno votato contro.

Dalla riunione molto sofferta del vertice della Fondazione sono usciti i nomi della lista di sua competenza un po’ diversi dalle previsioni: presidente il principe Cesare Castelbarco Albani, già presidente di Filse, imprenditore genovese-milanese, vice Alessandro Repetto, ex presidente della Provincia, deputato della Margherita ed ex dirigente Carige. Gli altri prescelti dalla Fondazione sarebbero Lorenzo Cuocolo, giovane professore di economia alla Bocconi, figlio di un ex presidente Carige, il professor Fausto CuocoloGiuseppe Zampini, presidente di Confindustria Genova e ad di Ansaldo Energia, Luigi Gastaldi, assicuratore, Elena Vasco e Evelina Chistillin, la notissima moglie di Gabriele Galateri di Genola, presidente delle Generali.

La scelta di Castelbarco Albani ha sguito la rinuncia del candidato numero uno alla presidenza di Carige, l’avvocato professore Piergiorgio Alberti, titolare della cattedra di diritto amministrativo, consigliere d’amministrazione di Finmeccanica e Parmalat, consigliere Carige uscente oggi e anche in epoche meno recenti, già indicato, anche da Blitzquotidiano, come possibile e probabile presidente della banca. Alberti, ha rinunciato ufficialmente con una lettera diffusa mercoledì pomeriggio, al possibile ruolo di consigliere e possibile presidente, che gli era stato già assegnato, ma che, a un professionista prudente e rigoroso qual è, non calzava più in questo clima di regicidio.

Le altre liste di candidati, espresse dagli azionisti e gli altri nomi in corsa, stanno bollendo in un altro pentolone che la città osserva in un clima sempre più preoccupato. Si nuota verso il 30 settembre, data dell’assemblea che varerà i nuovi organi dirigenti, con due obiettivi molto delicati: scegliere i nomi giusti e preparare le controdeduzioni alle pesanti osservazioni di Banca d’Italia.

Genova osserva con una preoccupazione palese, ma non espressa in alcun modo dalla politica, silenziosa, assente o presente con rituali dichiarazioni di auspicio per la difesa della genovesità della banca e della sua autonomia.

Al Porto Antico si celebra la Festa nazionale del Partito Democratico. Uno ad uno arrivano tutti i bigs delle larghe intese, ma si parla d’altro. E Genova trema sempre di più, perchè in fondo lo si sa che dopo un regicidio si può anche scatenare il regime del terrore.

E a Genova è davvero un po’ come se fosse avvenuto un regicidio, anche se il re non è del tutto morto. Anzi. Il suo regno aspetta ancora qualche colpo di scena e lui, deposto, se ne sta ancora nella sua stanza, in cima a una delle torri più alte della città a preparare le contromosse.

Ecco, la storia di Giovanni Alberto Berneschi, presidente di Carige, stangato prima dalle otto dimissioni dei suoi consiglieri di amministrazioni, poi da un rapporto durissimo della Banca d’Italia, che di fatto lo rimuove e gli carica addosso, insieme al suo decaduto consiglio, responsabilità gravissime nella gestione del credito e addirittura nella costruzione di un sistema Liguria con il quale aiutare gli amici degli amici, potrebbe essere riassunta così. Il Regicidio.

Il presidente, da venticinque anni al vertice della Carige, un vero sistema con cinque banche, eredi del mitico Monte di Pietà genovese, fondato nel 1483, due società di assicurazioni, un asset managment, 1100 punti di vendita in tutta Italia, seimila dipendenti, due milioni di clienti, è in cima al suo grattacielo, spossessato di fatto dopo il siluro Bankitalia. Ma non si arrende, mentre intorno la confusione sotto il cielo di Genova è enorme. Se trema la banca nella città che le banche le ha create, è come se crollasse la Lanterna, simbolo della Superba, è come se il mare divorasse i moli del porto, è come se il dna genovese si corrompesse.

Più prosaicamente è come se tutto un inossidabile sistema di credito saltasse per aria, insieme a chi quel credito lo erogava e a chi lo riceveva.

Il rapporto-bomba della Banca d’Italia che ha crocefisso Berneschi, ordinandone, dopo le rituali controdeduzione, la dismissione dal ruolo, pubblicato per intero da “Il Secolo XIX”, diretto da Umberto La Rocca, svela i crediti “facili” che Carige avrebbe erogato, raffigurando e postando, si dice oggi, perfino chi ha usufruito con tanto di foto sul giornale. E per questo la città trema davanti alla pubblicazione delle sofferenze dei nomi più noti dell’establishment economico e non solo: dall’armatore integerrimo Alcide Rosina, ex presidente di Finmare e oggi al vertice di Premuda, una delle uniche flotte armatoriali residue di un mondo in crisi, al presidente del Genoa Enrico Preziosi, con quattro delle sue società, compresa, ovviamente, il Genoa stesso, fuori di 250 milioni, a Isnardi, grande imprenditore alimentare dell’olio imperiese, a Gianni Scerni, famiglia storica, re dello shipping, aiutato da Carige nella sua veste di armatore, perfino alle Coop con la società Unieco, alla Smtv degli armatori Messina (non quelli dei traghetti), a Pino Rasero, grande imprenditore, che sta costruendo Erzelli, il villaggio Hig Tech del possibile futuro postindustriale genovese, a Beatrice Cozzi Parodi, l’imprenditrice che con Francesco Bellavista Caltagirone stava costruendo il porto di Imperia, a ….. e chi più ne ha né metta.

Bankitalia, con firma del governatore Visco, snuda quelle che, ad avviso dei sette ispettori inviati a Genova per sei mesi nel 2013 sono le sofferenze della Carige, in una rumba di decine di milioni di euro.

La censura è potente, perché denuncia quel sistema di intervento “circoscritto agli amici”, con sopravvalutazioni della possibilità di recupero della banca e escludente la massa degli aspiranti al credito, piccoli e medi imprenditori di un tessuto come quello genovese, corroso dalla crisi, semi abbandonato, tra le ex grandi aziende Iri e imprese oramai in fase ultrapostfordista, con grandi opere infrastrutturali sempre in discussione e un settore edilizio completamente al tappeto.

Eccola, quindi, spiattellato, dopo una estate di veleni e siluri tra la banca e la sua azionista di maggioranza, la Fondazione, il nocciolo della crisi che fa tremare il re, la sua torre e soprattutto la città, per la quale Giovanni Alberto Berneschi, 76 anni, self made man all’interno della banca, deus ex machina, autore della sua vertiginosa crescita negli ultimi quindici anni, era non solo “il presidente”.

Il delitto di Regicidio può essere denunciato, proprio perché questo personaggio, che più genovese e ligure di così non si potrebbe trovare e più geneticamente dotato degli attributi storici, non potrebbe essere, naso affilato, velocità di analisi, conoscenza ombelicale dell’economia locale, non era solo il banchiere, diventato ultra leader, ma era una specie di doge, appunto di re, in un regno nel quale quella banca era l’ultimo baluardo rimasto in piedi anche visivamente nella struttura del potere locale e ligure. Una città, una regione senza più leader politici, che Scajola “ a sua insaputa” lo avevano segato fuori e che il Pd di potere incrollabile nelle istituzioni locali da 35 anni, non schiera figure nazionali da tempo immemore, una Regione senza imprenditori di grido, dove, scomparso Riccardo Garrone, dopo Giorgio Messina, dopo GianVittorio Cauvin, dopo il tramonto della grandi dinastie amatoriali e della grande edilizia, la classe dirigente stenta a affidare i vertici di categoria.

Presidente di Confindustria è Sergio Zampini, ad di Ansaldo Energia, un supermanager delle aziende pubbliche, presidente di Camera di Commercio, luogo ombelicale del potere genovese è da quindici anni Paolo Odone, commerciante di origine e presidente dei Commercianti, è lo stesso Odone. A presiedere l’autorità portuale, cuore pulsante della storia di Genova e della sua imprenditoria marittima, c’è un politico puro, Luigi Merlo, ex assessore regionale ai Trasporti, spezzino.

Insomma i soli personaggi con una carica di rappresentatività e di notorietà estesa al Paese, che la città e la regione esprimono sono oggi Beppe Grillo, che non è poco, ma che cavolo c’entra con l’establishment, il comico Crozza e il neo senatore a vita l’archistar, Renzo Piano, per non dire del cardinale arcivescovo di Genova e presidente della Cei, Angelo Bagnasco, anche lui subordinato al ridimensionamento del ruolo Cei che papa Francesco sta realizzando nella sua rivoluzione curiale.

E allora a chi volete che si bussasse, davanti a una emergenza genovese e ligure, se non a Berneschi, al suo quattordicesimo piano del grattacielo Carige, riconoscendone, in qualche modo, anche un ruolo di supplenza globale, accentuata vieppiù da quando il ruolo di sindaco della città si è indebolito per le crisi strutturali degli enti locali e per i travagli degli ultimi due primi cittadini, Marta Vincenzi, desaparecida dopo la mancata riconferma alle ultime elezioni comunali e l’attuale Marco Doria, di nobile famiglia, ma di difficile equilibrio politico con la targa Sel che si porta dietro e la critica interna dell’alleato Pd alle sue difficoltà decisionali.

Berneschi, sempre Berneschi, che, al momento della sua ascesa, il predecessore e creatore, l’avvocato Gianni Dagnino, erede di Paolo Emilio Taviani, storico leader della Dc, il presidente che salvò la Cassa di Risparmio e la governò per quindici anni, aveva soprannominato “il Bernesco”, sottolineandone con la storpiatura del cognome, l’estro, ma anche la spregiudicatezza. Quella che, forse, ora lo ha fatto pugnalare in cima alla torre.

Ma da quella torre per ora il Bernesco non vuole scendere e prepara i colpi di reazione, attesi e temuti molto da una città nella quale oggi lo sport preferito è immaginare chi sarà il successore e chi lo affiancherà nel cda.

Bankitalia, infatti, suggerisce, per non dire impone, un rinnovamento globale e, senza fare alcun nome mette, in crisi l’intero pacchetto di mischia che ha deciso insieme a Berneschi la politica della banca, includendo nella censura pure l’amministratore delegato Ennio La Monica, accusato di essere stato troppo timido nell’usare i suoi poteri. C’era il re, decideva tutto il re……

Dall’altra parte della barricata di questa contesa e prima che la Banca d’Italia rendesse noto il suo esplosivo rapporto, c’era già il cavalier Flavio Repetto, presidente della Fondazione e regista dell’operazione, che avrebbe dovuto portare al rinnovamento del vertice di Carige banca, concordato da lui ad alto livello, come si confa a chi ha la maggioranza delle azioni e rapporti molto estesi con il mondo economico italiano, da Mediobanca a Assicurazioni Generali ed anche Oltre Alpe, con i soci francesi al 16 per cento.

I due, il Cavaliere e il Bernesco, non si sono mai amati, ma avevano trovato un feeleng, un tandem su cui correre insieme per far crescere la banca, difenderne l’autonomia dai grandi gruppi e per metterla al sicuro, rispetto ai cataclismi del sistema.

L’avevano issata al settimo posto della classifica italiana per patrimonializzazione, consolidando la partecipazione della Fondazione da una parte ed espandendo gli sportelli dall’altra parte, con l’acquisto quasi vertiginoso di punti di vendita.

Le due operazioni sono ora ambedue nel mirino e al centro di un dibattito che viaggia indietro, verso i testi delle leggi bancarie, che dalla fine degli anni Novanta hanno radicalmente modificato il sistema creditizio italiano, con la creazione, appunto, delle Fondazioni, poi con i limiti di partecipazione al loro pacchetto nelle banche, verso le tavole dei comandamenti bancari europei, Basilea 1, Basilea 2 e ora Basilea 3 e dal 2008, sotto scacco della crisi, verso le strette mondiali e i salvataggi Bce.

Il guaio per la banca e la Fondazione è che, tolto il coperchio alla pentole in ebollizione di Berneschi, disarmato lo scudo stellare del suo potere globale a Genova e nel suo territorio, sono incominciati a partire i razzi terra-grattacielo Carige degli esposti anonimi e la magistratura ha incominciato a aprire fascicoli sugli esposti stessi, che denunciano le presunte scorrettezze della gestione.

Si spalanca, quindi, un fronte giudiziario, che magari ingoierà tutto rapidamente per la genericità e la puzza di vendetta delle denunce senza firma, ma si scopre un fianco abbastanza largo. E si tratta sempre di una banca quotata, la “mamma” dei genovesi e dei liguri, con la sola Spezia esclusa.

E’ in questo clima che gli azionisti devono sfornare i nomi dei candidati consiglieri nell’era post Berneschi, nella proporzione del loro pacchetto e, quindi con la responsabilità per la Fondazione di indicare anche i candidati presidente e vice che erano, appunto, Berneschi e Alessandro Scajola, guarda caso il fratello dell’ex ministro.

E, come riferito all’inizio, le liste di questi candidati si stanno giocando come alla roulette russa, in un vorticare di nomi, di candidature, di selezioni segrete, che sta scuotendo l’intera classe dirigente genovese e ligure.

 

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