Genova. Musso contro, Burlando e Pd sostengono Doria, il Pdl non c’è

Che bandiera sventola a poppa del galeone di Marco Doria, il vincitore delle primarie genovesi nel centro sinistra, cinquecento anni dopo le scorribande vittoriose del suo illustre antenato, l’ammiraglio Andrea, principe, doge, condottiero di imperitura memoria? Quel galeone salpato una settimana fa, dopo aver affondato le due zarine, Marta Vincenzi, sindaco uscente e Roberta Pinotti, senatrice arrembante, sta veleggiando avanti e indietro lungo il famoso waterfront genovese, dal Promontorio blù di Portofino alla fossa della Haven, la petroliera affondata alla fine degli anni Novanta davanti a Arenzano con una nuvola nera che oscurò il cielo e le prospettive turistiche di mezzo Golfo ligure per l’inquinamento che portava in fondo al mare.

In molti, nel convulso day after delle Primarie, non riescono bene a vederla quella bandiera di poppa e non distinguono da terra se i colori sono propriamente quelli del centro sinistra, magari striati dall’arancione di Sel, Sinistra e libertà, che già sventolano sulla Madonnina di Milano con Pisapia, sulla rocca di Cagliari con Zecca e in qualche modo anche sul Maschio Angioino di Napoli, dove si pavoneggia De Magistris dell’Idv.

Lui, il bisbisbisnipote di Doria, che pure eredi diretti non aveva, essendo stato sterile, sposato solo in tarda età e con una dama non certo in erba, ha gonfiato bene le vele, ha forzato i terzaroli e fende le acque del golfo, dove la tramontana scura e gelida del giorno dell’elezione ha lasciato le onde a uno scirocco nervoso e poi a un grecale impertinente, senza dare fuoco alle polveri.

Eccolo lì il Doria che furoreggia in tv , all’ “Infedele” e a “Piazza Pulita”, come se fosse un veterano dei talk show, analitico, fermo sulla barra del suo timone, senza modificare una virgola del suo discorso preelettorale: programma scarno (qualcuno acquattato nell’ombra dei caruggi genovesi già sibila di programma inesistente) e giudizi severi ma non insultanti sugli avversari, solo una battuta impertinente sugli scandali della corruzione, che da Tangentopoli in avanti dilagano inesorabilmente.

Vedete quel porto antico dietro alle mie spalle?” suggerisce Marco Doria al conduttore Tv, alludendo all’immagine che fa da sfondo alla sua intervist: “Anche quando costruirono e lo inaugurarono nel 1992 del Cinquecentenario colombiano ci furono scandali, arresti, tangenti…non è cambiato nulla.”

Allusione criptica ma non troppo all’affaire che coinvolse ingiustamente l’allora sindaco di Genova, Claudio Burlando, arrestato e poi completamente prosciolto per le presunte irregolarità nella costruzione di un sottopasso di quel porto? Chissà?

In realtà proprio Burlando, oggi presidente della Regione Liguria, dopo essere stato da quel fatidico 1992, onorevole deputato, ministro dei Trasporti, responsabile Enti Locali dell’allora partito Ds, e quindi presidente ligure per due volte di fila, è il primo che ha cercato di abbordare il galeone di Marco Doria. Gli ha lanciato più di una cima a bordo nel turbolento dopo primarie, dissertando a lungo sulla fedeltà del Pd al vincitore, “uno di noi”, ha detto e ripetuto fluvialmente sui giornali e in tv, ripescando le comuni origini e militanze, le comuni amicizie, magari allentate come le cime del galeone, quando sono troppo bagnate dalle onde di libeccio cattivo, ma sempre in vigore quando l’equipaggio viene chiamato all’ordine.

E allora vai con la sintonia e con l’alleanza stretta del potente governatore ligure, della sua flotta e del nuovo galeone salpato d’improvviso dai moli genovesi. Professioni di amicizia, comunanza, come se quella bandiera che sventola a poppa fosse chiaramente quella del centro sinistra.

Ma da terra, malgrado i potenti binocoli e malgrado l’osservazione dai punti più alti delle torri e torrette, che si ergono dai mitici caruggi genovesi, quei colori non sono ancora affatto chiari e le scie di veleno che la vittoria di Marco Doria ha lasciato di poppa al suo barco sono ben visibili nella stessa coalizione che oggi pretende uno sventolamento comune di quella bandiera.

La Vincenzi ha strepitato a lungo e senza ritegno, il giorno dopo la sconfitta paragonandosi a Ipazia, la sacerdotessa trucidata dai rivali cristiani fanatici, definendosi martire del maschilismo imperante e obbligando una intera classe politica a ripassarsi un capitolo di storia, come se non ci fosse altro da fare. “Non ci saranno più sindaci donna dopo questa mia sconfitta”, ha urlato come una Erinni ferita, maschilizzando la sberla, dimenticando il crak dei suoi consensi e precipitandosi a Roma a chiedere ragioni, come se non fosse il suo partito, il Pd, a doverle chiedere a lei, in qualche modo sfiduciata fino a essere sottoposta alle Primarie, prima nella storia democrtat e messa in crisi dalla catastrofe alluvione, non certo solo a lei ascrivibile, ma comunque caduta come una folgore nel suo tempo preelettorale (vedasi quanti voti ha preso la sindaco nei quartieri colpiti dalla catastrofe naturale: uno sconquasso).

Dal ponte di comando del suo galeone, Marco Doria ha sicuramente ascoltato quelle urla alte, contrapposte al dignitoso silenzio e alla scomparsa dalla scena dell’altra candidata sconfitta, la sfidante senatrice Roberta Pinotti ed ha osservato il brulichio dei tumulti nelle fila del Pd, tra dimissioni e commissariamenti. Ha visto, il nuovo condottiero del centrosinistra, cadere la testa di Victor Razeto, il segretario provinciale dimesso, l’unico a pagare di cento che avrebbero potuto, a partire dal suo partner nella cavalcata generazionale, Lorenzo Basso, il segretario regionale trentacinquenne, proveniente dalla Margherita, lui rimasto in sella, per tutti santi in Paradiso che ha, a partire da Bersani.

Veri tumulti ben raffigurati nelle assemblee del Pd nel day after con Marta-Ipazia seduta al centro della platea al fianco del marito-eminenza grigia, Bruno Marchese, ingegnere e stratega e con i giovani leoni a urlare il loro dissenso, tutti insieme, come se non ci fosse una sconfitta grande come una casa da digerire, ma solo un dibattito democratico da sviluppare.

Che colore ha la bandiera di Doria? Se il centro sinistra lancia cime a bordo del suo galeone e celebra processi tra Genova e Roma ai suoi dirigenti e ai suoi quadri, interrogandosi sulla sua rotta, in ben altri ambienti questi dubbi non ci sono. Trema la città degli affari, dell’impresa, dei business e di quelli che una volta si chiamavano gli scagni, dove fiorivano commerci, finanza, intermediazioni e sopratutto dove si programmavano le piccole e sopratutto le grandi opere di cemento e ferro del futuro genovese. A quel mondo lì si che il Galeone di Doria fa paura e si che il colore del suo vessillo è chiaro: rosso comunista, ci manca poco che ci vedano sopra la falce e il martello.

Come una scossa elettrica scuote quel mondo molto zeneise, magari anche molto cambiato, ma geneticamente rimasto uguale a se stesso in una città divisa. Così guardano al galeone di Marco Doria, professore di storia dell’Economia nella Facoltà di Economia e Commercio, come a una banda di pirati, molti esponenti di Assindustria Genova, gli imprenditori edili, le imprese che stanno per affrontare la cantierizzazione di due grandi opere, la famosa Gronda, una grande tangenziale che dovrebbe scaricare il nodo autostradale di Genova, già finanziata da Autostrade e molto dibattuto in città, sotto il regno di Marta Vincenzi e il Terzo Valico, una linea ferroviaria veloce per merci e passeggeri, che collegherà la Superba con il Basso Piemonte, già finanziato in parte con quasi due miliardi di euro dal Cipe.

Sarebbero le opere che “sturano” Genova dal traffico e il suo porto dai container, ma sulla loro ineluttabilità Doria, nella sua folgorante campagna delle “Primarie” ha espresso dubbi. Apriti cielo: dalla pancia profonda della città, dalle lobbyes del mattone è partito un allarme che i partiti della Destra e del Centro-Destra, disperatamente tagliati fuori dalla discussione politica, tutta concentrata a sinistra hanno catalizzato. “Ecco il sindaco che “tomberà” Genova”, urlano, soprattutto dal Pdl, sparando sul Galeone di Doria.

La febbre e il terrore sono tanto forti che il centro-destra si è messo freneticamente a cercare un candidato fin’ora non scovato dal partito del Cavaliere. L’alleanza annunciata ufficialmente tra il candidato “civico” Enrico Musso, senatore, ex Pdl ed ex avversario sconfitto di poco, cinque anni fa dalla Vincenzi, e l’Udc di Casini ha ancora più spiazzato la Destra senza candidato. Così, mentre Doria veleggia al largo, il Pdl un po’ vedovo di Claudio Scajola e dei suoi colonnelli genovesi, Michele Scandroglio e Roberto Cassinelli, ambedue onorevoli “degradati” nel partito, si è messa a offrire la candidatura a sindaco a mezza città.

Blitzquotidiano è in grado di elencare i personaggi, prevalentemente imprenditori e professionisti, contattati in questa ultima settimana: l’imprenditore Beppe Costa, della storica famiglia, gestore del favoloso Acquario di Genova, terminalista in porto, già pressato nei mesi scorsi e che aveva rifiutato, il presidente dell’Ordine dei medici Enrico Bartolini, l’imprenditore Franco Gattorno, ex presidente della Fiera di Genova e trader di carbone, l’avvocato amministrativista di chiara fama Gerbi, l’armatore-terminalista Stefano Messina della omomima e potente famiglia.

E non si contano i candidati interni al partito, a incominciare da Sandro Biasotti, governatore della Liguria tra il 2000 e il 2005, l’unico a rompere il monopolio della Sinistra nella storia recente genovese, al “numerario” dell’Opus Dei Pierluigi Vinai, vice presidente della Fondazione Carige, alla consigliera regionale Raffaella Dalla Bianca, al medico-consigliere regionale Matteo Rosso…..Insomma una vera caccia all’uomo che non si sa dove approderà e che la vittoria di Doria ha esaltato, ma senza apparenti risultati.

Andremo da Angelino Alfano con una terna di nomi”, annuncia il king maker attuale del Pdl, il senatore Luigi Grillo: “Poi lui deciderà”. In realtà tanta incertezza e tanta confusione, tra sinistra e destra, sembrano favorire l’altro galeone che naviga nel golfo e che non ha ancora armato i cannoni contro Doria: quello, appunto, del senatore Enrico Musso, già salpato da un paio di anni con la sua Fondazione Oltremare ( un nome, un destino) e con un lavoro molto trasversale, oggi premiato dalla scelta secca di Casini e dell’Udc ( con obiezioni interne di Rutelli) . Se il Pdl non troverà un candidato forte, Musso ha molte probabilità di andare a sfidare  Doria in un ballottaggio “storico” per la città di Genova.

Quel galeone con la bandiera arancione, che traversa il Golfo è, quindi, il segnale più forte di un cambiamento che la Superba potrebbe varare per la prima volta dagli anni Settanta (fatta salva una eccezione tra il 1985 e il 1990 quandò regnò un repubblicano, il farmacista Cesare Campart, retto da una maggioranza Dc-Psi-Pri-Psdi e con il Pci all’opposizione).

Nel successivo consiglio comunale, quello che inaugurò poi la manifestazione del Cinquecentenario Colombiano, sarebbe entrato con la tessera del Pci in tasca quel professore di Storia dell’Economia appena trentenne. Era Marco Doria, figlio del marchese Giorgio diseredato dalla nobile famiglia per le sue scelte comuniste, che fece quell’esperienza di tre anni a Palazzo Tursi prima di ritirarsi dalla politica militante e di scegliere provvisoriamente Rifondazione Comunista.

Il consiglio comunale con Burlando sindaco e Doria consigliere nel suo gruppo fu sciolto proprio per l’arresto del primo cittadino, in carica per sei mesi, incarcerato e poi prosciolto in istruttoria per lo scandalo del Sottopasso colombiano.

Esattamente venti anni dopo il professore, diventato candidato di tutto il centro sinistra ma da indipendente ha preso il largo con il suo galeone e Burlando, presidente della Regione da quasi otto anni gli ha gettato la cima. Corsi e ricorsi di una storia che una volta si poteva definire Superba e oggi forse no.

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