Genova vista da Castelletto Genova vista da Castelletto

Genova e Liguria sprofondano, le grandi opere del futuro soffocate dalla inchiesta giudiziaria

A Genova pochi se ne sono accorti subito, ma nel giorno in cui dai suoi arresti domiciliari a Ameglia, giunti al sessantacinquesimo giorno, Toti scriveva la sua accorata lettera, “non sono attaccato alla poltrona, vale di più l’onore” , la prima pedina si rovesciava sullo scacchiere del suo potere, durato con grande sfarzo di immagine per quasi otto anni.
Proprio la sua giunta, quella che gli giurava fedeltà assoluta e sostegno umano, professionale, strategico, capovolgeva una sua decisione chiave: quella di piazzare nel golfo di Savona il rigassificatore trasferito da Piombino, esaudendo una richiesta della premier in persona, Giorgia Meloni.

LA RIVOLTA DEL GASIFICATORE

Giovanni Toti parla a un comizio a Genova
Genova e Liguria sprofondano, le grandi opere del futuro soffocate dalla inchiesta giudiziaria – Blitzquotidiano.it

Niente rigassificatore, come volevano i comuni del territorio, diretti dal sindaco di Savona, Marco Russo, il leader nascente a Ponente, probabile concorrente a sinistra del dopo Toti, un leader di grande tradizione e famiglia politicamente consolidata nella storia, non solo ligure.

Niente impianto kolossal davanti alle spiagge savonesi, come Toti aveva garantito e nessuna comunicazione al detenuto che l’aveva sostenuto a spada tratta. Sembra che l’ imput sia arrivato direttamente da Salvini in persona, in arrivo a Genova, ben contento di scoccare un’altra frecciata alla presidente del Consiglio Meloni, sostenitrice della soluzione savonese .

Cosa è un rigassificatore? Semplicemente una nave speciale, che si piazza vicino alla costa e “ricicla” il gas in arrivo dagli impianti a terra, per farlo diventare fruibile per l’uso in epoche di restrizioni nelle forniture incominciate con la guerra in Ucraina.

Un segnale in Liguria fortissimo che il vento è cambiato. Sessantacinque giorni dopo l’esplosione dello scandalo la compattezza della giunta ligure, assediata dall’inchiesta giudiziaria, in bilico con il suo presidente, si spacca.

Alla faccia dell’unità di facciata, dei proclami “andiamo avanti ancora più forte per appoggiare il nostro presidente”, il centro destra, fragilissimo senza il comando di Toti, sente odore di elezioni anticipate, avanza le pretese a lungo sopite soprattutto dalla Lega e di Fratelli d’Italia, teme una, fino a ieri impossibile, remontada del centro sinistra.
Che era immobile e oggi, intanto parte da un candidato praticamente già in campo, l’ex ministro Andrea Orlando, uno dei leader del Pd, spezzino di origine, ma romano di grandi manovre nel suo partito, rinunciatario rispetto alla offerta della Schlein di candidarlo per l’Europa e deciso a conquistare la Liguria.

A GENOVA CENTRODESTRA IN CRISI

Si spacca il centrodestra sulle macerie della maxinchiesta che ogni giorno dal 7 maggio vomita fiumi di intercettazioni e verbali, mentre si apre la porta della condizione detentiva di Paolo Emilio Signorini, l’ex presidente del Porto ed ex ad di IREN, licenziato con ignominia, ristretto a Marassi in cella con un uxoricida, passato dalle suites di Montecalo, dai massaggi delle beauty farm monegasche e dalle serate con le migliori escort della piazza, alla brandina del carcere genovese.

Passa dalla galera ai domiciliari, in un appartamento affittato apposta del fratello con i pasti forniti dalla figlia. A suo dire è rimasto economicamente a zero, nonostante i duecentomila euro di emolumenti del porto e i seicentomila di Iren.

UNA FIGURA PATETICA

La sua figura è forse la più patetica di quelle coinvolte nella maxi indagine, perché ha mostrato un personaggio assolutamente imprevisto. Esattamente quello che esce silenzioso, smagrito, tutto vestito di nero dal portone del carcere e cerca con la polizia il suo nuovo alloggio “blindato”, un piccolo appartamento nel centro storico, appunto in fretta e furia affittato dal fratello e nel quale sarà assistito da una figlia, senza contatti con nessun altro in un finale quasi da romanzo russo di Dostojesky per quest’uomo che dettava legge a due passi da quel “caruggio”, da Palazzo san Giorgio ed ora sostiene di non avere neppure un euro sul conto corrente.
Lo scandalo ha fatto a pezzi non solo la sua vita professionale, ma anche quella privata, se il carcere è stato prolungato perché non c’era più una casa per accoglierlo.

Intorno all’uomo simbolo dello scandalo giudiziario, che non ha ancora proporzioni definite, con il super corrotto (secondo l’accusa) Giovanni Toti ancora agli arresti, pronto a ricevere le visite concesse dai giudici dei suoi assessori e soprattutto del ministro e leader della Lega Matteo Salvini, tra l’altro colui che lo starebbe mettendo in difficoltà sul rigassificatore e con l’altro, il corruttore Aldo Spinelli, 84 anni, chiuso nella sua villa da sogno da due mesi e dieci giorni, impedito pure di incontrarsi con il figlio, in grado solo di giocare a scopone con improvvisati e saltuari amici, si scatena l’inferno politico di una Regione intera.

SPINELLI SEMPRE IN VILLA

Spinelli è ora anche “stangato” anche dal Tribunale del Riesame, che gli congela i domiciliari con una motivazione tranchant: i 250 mila euro in contanti più dollari e sterline trovati dalla Finanza a casa sua e che secondo gli inquirenti sarebbero la prova di un malloppo pronto a servire per corrompere senza lasciare traccia.
E così è come se la Liguria si fosse improvvisamente capovolta, incominciando da quel blitz del 7 maggio, un processo nel quale pezzo a pezzo si stanno smontando le opere dei quasi otto anni di governo Toti e si minacciano anche quelle, ben più consistenti, del sindaco Marco Bucci, eletto sulla scia di Toti, che aveva abilmente sfruttato l’indubbio successo del primo cittadino.

Il processo di smontaggio riguarda le opere, a partire da quel rigassificatore, ma è anche , appunto, politico perché mette in discussione una regia del territorio ligure che era affidata totalmente al “terzetto delle meraviglie”(erano loro ad avere battezzato Genova “meravigliosa”), Toti, Bucci e lo sciagurato Signorini.

E LA GRONDA DI Là DA VENIRE

L’opera numero uno del riscatto genovese, attesa da decenni, la famosa Gronda, una tangenziale di 57 chilometri da costruire per sgravare il soffocante nodo autostradale genovese, già in parte finanziata con i pedaggi fatti pagare da tutti gli utenti italiani fino dai primi anni Duemila, è prepotentemente tornata in discussione con le parole dello stesso viceministro di Salvini , il genovese Edoardo Rixi, che ha annunciato la mancanza di fondi per proseguire nell’opera.

Che fin’ora si è sostanziata in qualche esproprio e nella provvisoria costruzione di un campo base. Apriti cielo! La Gronda per discutere la quale la sindaca Marta Vincenzi, negli anni 2010, aveva perfino lanciato un dibattito pubblico, sprofonda in una incertezza che solo Salvini, piombato a Genova cerca di rompere con i suoi proclami. Si farà, come si farà il Ponte sulle Stretto…… Se ci fosse stata già la Gronda ( come doveva essere…), per esempio, il Ponte Morandi non sarebbe crollato perché la sua usura si sarebbe limitata.

Ma dopo la Gronda vacilla anche l’altra Opera-regina di Genova, quella sulla quale scommetteva ancor più di Toti il sindaco Marco Bucci: la superdiga foranea.

Mentre le navi che scaricano ghiaia sul fondo del mare per costruire la base, il fondamento dell’opera, si muovono come formiche nella grandezza del golfo profondo settanta metri, la fortuna secolare del porto genovese, le Sovrintendenze e i Consigli Superiori dei Lavori Pubblici, mettono in discussione la congruità dei cassoni che, impilati uno sull’altro, dovrebbero innalzare fuori dalle onde la superdiga di sette chilometri. Non solo: i lavori sono in ritardo di almeno un anno, si dice perfino di due. E, quindi, la diga vacilla e siccome al suo destino è legato tutto lo sviluppo portuale,anche questo che sbanda.

IL PORTO NELL’INCERTO

Il porto è retto provvisoriamente da un ammiraglio e da un professore di diritto, due commissari, nominati per riempire il vuoto del successore di Signorini, Matteo Piacenza, anche lui indagato nella superinchiesta e che malgrado questo si è confermato nel ruolo di segretario generale dello stesso ente.

Dell’altra grande opera, attesa ancora più che da decenni, il Terzo Valico, la linea ferroviaria veloce da Genova a Milano e che dovrebbe essere pronta entro il 2026, per non dovere restituire i soldi del Pnrr, non si parla nemmeno.
E’ sprofondata in un silenzio sospetto, dopo che la grande talpa che scavava la galleria più impegnativa, nei 37chilometri del suo percorso, si è insabbiata e ora si procede con i mezzi tradizionali, cioè martelli pneumatici e cariche di esplosivo.

A che punto siamo a quasi un anno dalla possibile consegna? Le ultime indiscrezioni riferiscono di una bolla di gas scoperta nelle viscere dell’Appenino che avrebbe fermato i lavori, nel dubbio che si tratti di qualcosa di ben più pericoloso, di un vero giacimento.

Gli ingegneri più competenti, che lavoravano all’opera da tempo, hanno abbandonato il loro ruolo, come se ci fosse sfiducia nella realizzazione di lavori, la cui ripartenza è datata oramai almeno in fase progettuale all’inizio anni Novanta e quella dei lavori nel Duemila avanzato.

Diga più Terzo Valico sono le chiavi dello sviluppo di Genova e della Liguria sui quali Toti, Bucci e suo tempo Signorini avevano puntato lo sviluppo con inaugurazioni, passerelle, lanci pubblicitari, partecipazioni a eventi internazionali, come per esempio il MI.PIM di Cannes, la grande esposizione nella quale Genova aveva mostrato un plastico di sette metri, che raffigurava la città del 2030 con queste ed altre opere ben realizzate.

Una visione da sogno che comprendeva anche altre opere di spicco. Durante la detenzione di Toti è stato anche inaugurato con una cerimonia ristretta ed anche un po’ patetica il nuovo Palasport, una specie di isola nel supercantiere del Water Front di Levante, maxi progetto in esecuzione, con canali, grandi costruzioni residenziali, parchi verdi e l’immancabile settore commerciale, che è il fiore all’occhiello di tutta la narrazione oggi in crisi.

LA CRISI DELLA SANITà A GENOVA E IN LIGURIA

La Liguria capovolta e la Genova che trema con i suoi registi in difficoltà comprende anche la crisi della Sanità, stretta competenza regionale, che Toti a lungo si teneva senza delegare, il cui bilancio è tanto in rosso che si parla di un commissariamento imminente.

Nessun ospedale annunciato dalla giunta Toti, a parte quello di La Spezia, ha visto una partenza di lavori, o progetti esecutivi, mentre le liste di attesa sono diventate un tormento e le fughe verso altre regioni per curarsi una prassi sempre più consolidata. Qui la Liguria non si è capovolta dopo lo scandalo, ma ha continuato a sprofondare inesorabilmente.

La patina turistica, la vera politica totiana, dai red carpet rossi stesi da Ventimiglia a Lerici, all’esaltazione del pesto, propagandato con quel mortaio gigante esportato dal Tamigi alle Alpi, verrebbe da dire dal Manzanarre al Reno, in un sogno di grandezza che in realtà è la scoperta di quell’ overturism che oramai sta “infettando” l’Italia intera in una invasione incontrollabile, i cui numeri e le percentuali esaltano gli amministratori, come se fosse merito loro. Invece è una tendenza pericolosa e vorace che sta invadendo e massacrando lidi, spiagge, montagne e sopratutto città d’arte che potranno difendersi solo con numeri chiusi e no turism, altro che che over.

COME ANDREMO A FINIRE A GENOVA?

Come finirà? Le parole di Nordio, Guardasigilli un po’ tanto schierato, che commenta le sentenze del Riesame genovese, dichiarando che non le ha capite, mentre si diletta a capire la Fenomenologia di Kant, fanno capire che Toti è legittimato a resistere, a non dimettersi, anche se la sua maggioranza si tormenta, si divide.
A giorni il ministro Salvini andrà appunto a trovarlo nei suoi domiciliari, dietro quel cancello di ferro a Ameglia, diventato il simbolo della resistenza. E Toti, comunque vada, diventerà, anche sulle macerie della Liguria, una specie di eroe.

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