GENOVA – Il rumore della battaglia non si sente, né in terra, né in mare dove nessuno riesce a raggiungere il galeone di Marco Doria, figlio di Giorgio, nipote di Ambrogio, erede di una delle trentaquattro dinastie discese dall’ammiraglio-doge Andrea Doria, uno dei grandi della Superba. I galeoni che vogliono conquistare la città di Genova nelle prime elezioni del dopo-casta, quando i partiti tradizionali sembrano andare a fondo nel mare di Genova come altrove, inseguono Doria con poche speranze di raggiungerlo.
I sondaggi approssimati e anche quelli accurati degli ultimi giorni indicano che il candidato del centro sinistra dopo aver sconfitto le zarine del Pd, Marta Vincenzi e Roberta Pinotti, oramai silenziose nelle retrovie, sta minacciando di cannoneggiare i rivali scesi sul campo di una regata complicatissima.
Il dubbio è se questo cinquantaquattreenne marchese diseredato, erede di una famiglia che avrebbe potuto diventare nel Cinquecento-Seicento una dinastia come i Medici a Firenze, se non si fossero divisi trenta volte in rami e diaspore, vincerà al primo turno delle elezioni del 6 maggio, o se qualcuno degli inseguitori lo costringerà a un ballottaggio, cioè a una regata secca, uno contro uno, con gli equipaggi nuovi.
Doria, secondo il sondaggio pubblicato da Il Secolo XIX viaggia al 49, 2, sta, cioè a un braccio di mare da quel 50, 1 che gli darebbe la vittoria secca. Il più vicino degli inseguitori è Enrico Musso, il professore di Economia, senatore liberale del Terzo Polo e della Lista Civica Oltremare, indicato al 20,1, al momento possibile contendente nel ballottaggio.
Più indietro Pierluigi Vinai della Pdl, che veleggia sotto le insegne del potente cardinale di Genova Angelo Bagnasco, protetto da quello di Roma Tarcisio Bertone, con un 12,4 per cento, ma si sa Roma è lontana e anche se Andrea Doria si formò la militarmente sembra difficile un aiuto ancora più forte.
Sfilano lontani e incapaci di prendere utili refoli di vento il candidato della Lega Edoardo Rixi al 6,5 e quello dei grillini, Paolo Putti, un po’ a sorpresa al 5,8.
Il sondaggio precedente, molto più approssimato, pubblicato da Repubblica indicava Doria al 48 per cento e Musso al 22, pronosticando già una vittoria al primo turno con un abisso tra il figlio del “marchese rosso”, così era soprannominato suo padre Giorgio, spossessato da quasi tutti i beni famigliari per avere aderito, nel Dopoguerra, al Pci, sui suoi contendenti.
I rimbombi dei sondaggi che suonano come cupi colpi di tamburo attutiscono il rumore della battaglia tra i candidati che non sono solo solo i primi “piazzati” in questa immaginaria regata, perchè il Golfo genovese di questa stagione attrae molto chi ci vuol provare a scendere in campo, magari con quali scopi se non quello di dare fastidio e magari di guadagnare qualche mercede per il futuro. Ce ne sono altri, eccome a veleggiare nel tentativo di succhiare voti in una città allo stremo.
Doria è un uomo freddo e dall’apparenza inflessibile, che parla un linguaggio nuovo nella politica, quasi un altro idioma rispetto agli altri, viene da fuori dell’agone e non riescono a trascinarcelo dentro neppure alludendo al suo passato episodico di consigliere comunale del Pci negli anni Novanta. Le sue idee sulla città stanno un po’ strette nel programma del Pd e nelle linee della vecchia maggioranza, quella governata da Marta Vincenzi, la prima delle due zarine sconfitte. Anzi quella politica di governo si che è affondata per bene in mezzo al Golfo di Genova, magari sotto la perfida regia della signora che una volta caduta voleva levarsi qualche sassolino dalle scarpe.
Il Comune di Genova non è riuscito ad approvare in tempo il Bilancio per l’opposizione finale dell’alleato IDV, che da tempo fa la fronda. E con i conti difficilissimi dell’amministrazione genovese è andato a fondo anche il progetto di costruzione della Moschea, che per i cinque anni del suo regno la Vincenzi aveva sbandierato come la realizzazione numero uno del suo “tempo”.
Anche questa idea di costruire sulle brulle alture del Lagaccio, una zona periferica della città, sopra il porto, il tempio musulmano, che ai tempi di Andrea Doria stava in mezzo alle banchine, è stata affondata dall’Idv, vera spina del fianco vincenziana.
Allora come conciliare le idee del Doria con quelle della grande maggioranza affondata della Sinistra? La rotta del candidato numero uno sembra con il timone bello dritto: molti dubbi sulla Gronda, l’opera chiave della città del futuro, una supertangenziale per collegare le autostrade che trapassano Genova da Levante e Ponente, in modo da “sturare” il traffico che piomba dalle Riviere e intasa gli accessi al porto. E’ un’opera che in parte Autostrade ha già finanziato, sulla quale la Vincenzi, tanto per menare il can per l’aia, aveva organizzato un debat public alla francese nel quale coinvolgere la popolazione interessata alla costruzione di ponti, viadotti e gallerie nel cuore della città e sulla quale Doria ha riesumato perfino l’ipotesi opzione zero: potremmo anche non farla.
Il Terzo valico, linea ferroviaria veloce tra Genova e la Pianura Padana, attesa da 110 anni, nel programma del marchese-professore perde la definizione “indispensabile”.
Peccato che i lavori stanno già incominciando a Fegino, alle spalle della città e che le ruspe stiano per mettersi all’opera nelle vallate dell’Appennino, verso il Basso Piemonte.
Trema la città produttiva del porto ed anche quella dei business perchè una Genova ferma alle infrastrutture di oggi soffoca e non ha futuro. E così c’è un viavai continuo tra il galeone di Doria e gli ambasciatori del Pd con i quali si deve costruire il programma di Governo. Ma attenzione: i sondaggi delle vigilie riguardano non solo i singoli candidati, ma anche le liste a pioggia che stanno accompagnando al voto. E cosa dicono le liste? Che quelle civiche, magari targate Doria secco, hanno un grande successo, mentre quelle dei partiti, a partire dal Pd( al 28 per cento) arretrano. Doria da solo è oltre al 7, il Sel è al 6, ma anche la lista Musso non se la cava male con l’11.
La giungla delle cifre, per carità sondaggi, per carità parziali, per carità aggiornabili, fa emergere un dato: preferenza ai singoli candidati e distanza dai partiti, dalle vecchie alleanze e allora largo alla battaglia tra di loro.
Si torna così a quel rumore che non c’è, per ora, di scontri tra i galeoni che si inseguono in mezzo al mare di Genova e al baccano che emerge dentro ai vecchi partiti , alle vecchie alleanze. A sinistra con gli strappi Idv, ma anche a Destra, dove la Pdl di Vinai continua a cannoneggiare Musso il senatore, che strappò due anni fa da Berlusconi e che viene considerato tout court un “fuoriuscito”.
Doria è in fuga per la vittoria e probabilmente la mancanza di rumore della battaglia lo avvantaggia e in qualche modo sottolinea come la sua avanzata verso il trono di Tursi, palazzo del potere genovese, nella strada dei Re, dove troneggia ancora il palazzo dei suoi avi, a duecento metri dal Comune, sia una sorta di vendetta.
Suo padre, Giorgio Doria, “fuoriuscito dai ranghi nobiliari” per essere diventato comunista, non riuscì a fare il sindaco della prima giunta rossa genovese nel 1974 quando il fronte Pci-PSI-PSIUP rovesciò il centro sinistra del democristiano Giancarlo Piombino. Gli preferirono il socialista Fulvio Cerofolini, un ex tranviere lombardiano. E dopo un anno da vice sindaco- assessore all’Urbanistica, Giorgio Doria mollò la politica attiva e si dedicò allo studio. Una quarantina di anni dopo la vendetta, se così si può chiamare, starebbe per consumarsi con suo figlio, che gli assomiglia come una goccia d’acqua e che ha spiazzato gli eredi di quel Pci duro e puro. Per di più da Sinistra.
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