Genova città di 30 mila badanti. Su Marta Vincenzi, nel forte rosso, onde minacciose da destra e sinistra

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Genova (foto Lapresse)

GENOVA – La roccaforte resiste almeno dalla metà degli anni Settanta, vigilia degli Anni di Piombo, inizio di tramonto dell’era di Paolo Emilio Taviani, il ligure della politica più importante del Dopoguerra, data dell’inversione di tendenza per il boom demografico, che aveva portato la Superba a sfiorare i novecentomila abitanti. Ora Genova è la sesta città italiana, ma la sua popolazione, malgrado le potenti iniezioni immigratorie (compresi 35 mila equadoregni), sta scendendo sotto i seicentomila e la città sembra stringere pericolosamente i suoi orizzonti, quelli che il più grande di tutti i zeneixi della Storia, Cristoforo Colombo, scrutava scoprendo il Nuovo Mondo.

Per la prima volta dal 1975 il Comune che Mussolini creò unificando la Grande Genova, facendo una città lunga e stretta tra il mare e le montagne, con più chilometri di strade della potente e vicina Milano, potrebbe essere conquistato da forze politiche ostili alla Sinistra post comunista, oggi “democratica”, ininterrottamente o quasi al potere nelle sue istituzioni più importanti. Per conquistare Genova, nelle elezioni del 2012, sta, quindi, per incominciare o forse è già cominciata una vera e propria battaglia epocale, di quelle che possono far cadere un muro, che ha retto anche dopo la caduta di quello di Berlino e introdurre una alternanza di governo municipale, che le ultime generazioni di genovesi non hanno visto mai nel succedersi dei sindaci, delle alleanze, anche dei sistemi politici e amministrativi.

Nella roccaforte sotto la Lanterna, dentro alla pancia dei caruggi, sempre più in mano a un sommovimento etnico e sempre più faticosamente recuperati, regna ancora per un anno Marta Vincenzi, una professoressa-preside di Scuola media, presto politica a tempo pieno, già eurodeputata, già presidente della Provincia, nata geograficamente nel cuore operaio della città e politicamente nel Pci roccioso e onnipotente, cresciuta nelle grandi fabbriche e nel mitico porto prima pubblico e animato da almeno venti-trentamila compagni, tra camalli della storica Culmv e dipendenti del Consorzio del Porto(Cap), un ente che non c’è più e che le potenti trasformazioni privatistiche e globali del diritto e dell’economia marittima hanno mutato in altro da sé.

La Vincenzi, presto soprannominata Supermarta per il piglio trasbordante della sua azione politica amministrativa, è un po’ l’ultimo totem di quella generazione che ha governato Genova e larghe praterie della Liguria, insieme con Claudio Burlando, presidente della Regione per il secondo mandato, anche lui figlio di quel Pci, anzi figlio di un camallo della Culmv, nato pure lui nel ventre operaio di Genova, con carriera folgorante e curriculum di prestigio, già sindaco di Genova, poi deputato, ministro dei Trasporti nel primo governo Prodi, un po’ schiantatosi nel famoso contromano sulle alture di Genova, incidente automobilistico-diplomatico che lo ferì come immagine al punto da farlo precipitare all’ultimo posto nella hit parade dei presidenti regionali e da cui è risorto con la seconda elezione al vertice ligure. Ma mentre Burlando, un ingegnere, un po’ introverso, un po’ ambizioso, ha ancora quattro anni di governo della regione da gestire, Supermarta incomincia a capire che sta entrando nell’ultima fase del suo mandato e che la battaglia di Genova è incominciata. E lei dovrà battersi nel momento peggiore.

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