I primi a stupirsi sono stati gli uscieri del nobile palazzo Tursi, cinquecentesca dimora del sindaco di Genova, nella strada dei Re, via Garibaldi, alle otto di una mattina di inizio luglio. Le urla provenivano proprio dal mitico appartamento del sindaco, con le vetrate sullo storico ballatoio che si affaccia nel cortile. Il sindaco urlava a pieni polmoni. Si era accorto che il servizio on line del Comune, gli addetti al sito di Tursi, non erano ancora in servizio. Alle otto di mattina. E lui, Marco Bucci, l’amerikano, il manager prima privato poi pubblico, diventato primo cittadino il 25 giugno, capovolgendo verso il centro destra la storia politica di Genova, protestava duramente.
Le otto di mattina, in Comune, anzi nell’ufficio del sindaco, l’ora dell’ingresso per i più solerti, l’ora del caffè di inizio giornata, della prima lettura dei giornali (per chi ancora li legge), l’ora dei primi passi felpati sui pavimenti di marmo del primo piano, sulle scale leggendarie che salgono dal cortile alla “rappresentanza” del palazzo civico, quella calma piatta, quella calura mitigata dalle arcate, dalle colonne, dagli alberi dei fantastici giardini, tra fontanelle, panchine, vialetti…..E il sindaco che urla perchè il sito è abbandonato a se stesso e, porca miseria, questo è il Comune di Genova mica la sede periferica di qualche ufficio inutile. Qui pulsa la vita della città! Dove cavolo si sono infilati i responsabili del servizio, chi ha stabilito questi orari, svegliaaaa!!!!
Così è incominciato, sonoramente, il regno di Bucci Marco, 57 anni, diciasettesimo sindaco di Genova nel Dopoguerra, il primo eletto con i voti del centro destra, il primo che viene da quella parte lì, dal podestà fascista che cadde nel 1944, prima della Liberazione in avanti. E’ incominciato con “u’ scindaco c’o cria”, detto im genovese. Poi il sindaco ha continuato a criare, tanto è vero che “Repubblica”, edizione ligure, gli ha dedicato un divertente articolo, dopo qualche tempo, elencando tutte le volte che Bucci ha infranto le regole di un certo stile, moderato? soft? diplomatico?
Dei suoi sedici predecessori, nessuno “criava”, magari sbottava un po’, ma mettersi a “criare” contro i dipendenti e perfino con i suoi assessori! Chi aveva mai osato tanto, rompendo il secolare silenzio di quelle stanze?
Ve lo immaginare il suo predecessore diretto, Marco Doria, il “marchese rosso”, di titolo nobiliare ed anche di modi sopraffini, che alzava la voce, non dico per gridare, ma anche solo per imporre il suo pensiero, magari in uno di quei consigli comunali in cui lo crocifiggevano gli autisti dell’Amt in sciopero continuato o aggravato per la città, o i cortei dei lavoratori licenziati o cassintegrati di una delle tante aziende pubbliche, private o partecipate, che sono saliti per le scale del palazzo comunale, fino alla sala Rossa di riunioni drammatiche. Lì “criavan” gli operai, i sindacalisti, il pubblico, mica il sindaco, che, compunto nel suo ruolo, anche un po’ ingessato nella funzione, con tutti i geni di 32 generazioni dopo Andrea Doria, il grande ammiraglio della Repubblica genovese, pulsanti nel suo aplomb impeccabile e impettito, fronteggiava la sommossa.
E non hanno mai gridato quelli prima del “marchese rosso”, la sventurata Marta Vincenzi, cui la voce si è rotta quasi nel pianto della tragedia dei sei morti per l’alluvione, che le ha stroncato la sua vita pubblica e la carriera politica. Semmai qualche volta lei alzava il tono con un po’ di stridore durante qualche riunione di partito dove cercava di dimostrare la sua “discontinuità” nel governo della città, appellandosi a principi di grande partecipazione pubblica, al comfronto, alle decisioni collettive, altro che il potere imposto dalle solite lobbyes della politica, fosse anche quella del suo partito, il Pd che fu Psd, Ds, Pci. …..
E era inimmaginabile vedere perdere le staffe al sindaco più bravo di tutti, il professor Giuseppe Pericu, che mantenne il sangue freddo anche durante il maledetto G8, quando in maniche di camicia e megafono in mano, affrontava i violenti dei cortei che volevano abbattere le barriere e entrare nella zona rossa, eretta a protezione dei Grandi della Terra, riuniti a Genova nel luglio del 2001. Ragionava, quel sindaco avvocato, eletto nel 1997, regnante fino al 2007, imponeva i suoi diktat anche con vigore, ma nessuno lo ha mai visto alterarsi o alzare solo un sopraciglio. Prima di lui il dottor Adriano Sansa, ex pretore d’assalto, eletto per primo direttamente dai cittadini da indipendente, non deve avere gridato neppure quando il Pds gli comunicò che la sua esperienza era finita, che non lo avrebbe ricandidato, che tanto loro sarebbero stati in grado “di eleggere il primo camionista che passava per strada”. Loro, il “partito” che ha retto Genova con i suoi alleati ininterrottamente fino a quando, un mese fa, è arrivato il sindaco che grida, che è entrato nella stanza del potere con un passo, una voce, un modo di fare sconosciuto e non solo sonoramente sconvolgente.
Bucci evidentemente non è solo il sindaco “che cria” e le sue mosse, perfino il suo linguaggio, sono, dopo i primi trenta giorni, uno spettacolo che i genovesi, prevalentemente stupefatti o un po’ addormentati, stanno incominciano a conoscere.
L’hanno spinto sul trono di Tursi i partiti del centro destra, Forza Italia, Fratelli d’Italia e la Lega, che aveva la titolarità di indicarlo, ma se lo osservate ora, dopo la clamorosa vittoria, magari su un palco insieme ai leader nazionali della sua maggioranza , con Matteo Salvini, con Giorgia Meloni o con Giovanni Toti, che lo affianca appena può, sembra un Ufo. Li guarda e li ascolta parlare come se venissero loro da un altro mondo, come se parlassero una lingua diversa dalla sua.
In effetti il linguaggio del manager Bucci è diverso, è come se fosse pre-politico o magari a-politico. Parla più da capo azienda che da capo Comune. Il suo discorso di insediamento, davanti al Consiglio Comunale appena eletto, non aveva un’ oncia di retorica, di demagogia, ma neppure di spocchia da gran vincitore a sorpresa. Lo ha letto, come un “ad” legge un piano di lavoro del suo gruppo. Non ha attaccato l’opposizione, né difeso la sua parte. Non ha sorriso, né ammiccato, né lasciato qualche spazio di non detto, né sospirato, come fanno i politici, sopratutto quando incominciano una nuova fase di governo.
Poi ha incominciato a governare e….a gridare. E’ molto presto per dare giudizi su questo diciasettesimo sindaco post bellico genovese, quello che ha conquistato la ex roccaforte rossa, approfittando del patatrac del Pd e delle secessioni nei 5 Stelle a casa di Beppe Grillo. Oltre le urla c’è uno stile, appunto “extraterrestre”, rispetto al passato e rispetto allo stile abituale di chi si mette a governare una grande città nel mondo occidentale europeo.
Bucci con la sua faccia da leader aziendale, di quelli che parlano con molte parole inglesi, battono pacche sulle spalle e assillano i collaboratori h24, ha risolto il problema grave che il suo predecessore gli aveva lasciato sul tavolo, con un buco di 13 milioni di euro trasformabili in 28, nel bilancio comunale e l’ipotesi di un commissariamento lampo del Comune, attraverso un’operazione finanziaria di poche mosse.
Il suo assessore alle Finanze ha scovato questi soldi mancanti nelle pieghe del bilancio appena approvato dalla giunta vecchia, come il compagno di banco bravo di matematica risolve in dieci minuti il compito che voi non sapevate da che parte incominciare.
Poi ha annunciato che dimezzerà il costo dei pedaggi del 50 per cento nel centro della città, dove la stangata era la più alta d’Italia. Poi ha fatto sgombrare i “vu cumprà” che riempivano la zona storica del porto antico con la esposizione della merce contraffatta: l’invasione faceva imbestialire tutto il mondo del commercio, poi ha lanciato le “grandi pulizie” per riassettare sopratutto il cuore di una città molto degradata nella sua manutenzione e il suo assessore alla sicurezza ha spedito negli storici caruggi del centro storico squadre di vigili in borghese, per smascherare gli spacciatori e segnalare disservizi e casi estremi di violenze.
Tutti spot della prima ora, in attesa che i bluff vengano smascherati, che le cifre vere del bilancio svelino soluzioni improvvisate, che il Molock della burocrazia impantani le rivoluzioni lanciate con le urla o con i blitz? Che i tagli alle tariffe dei pedaggi si rovescino sui bilanci delle società con quella concessione?
Se una luna di miele è cominciata, comunque finirà. Ma avete mai visto incominciare questa dolce fase di preludio con delle urla?
L’ “extraterritorialità” di Bucci è anche un po’ determinata dallo choc degli sconfitti. Per il centro sinistra, dominato fino a ieri dal Pd, non si è rovesciata solo la Superba, ma in due anni esatti si sono persi la Regione Liguria e le città di Savona, Spezia e, appunto, Genova. Non solo: il centro destra ha anche piazzato un uomo fedele, Paolo Emilio Signorini, nella poltrona più importante della Regione, quella dell’Autorità del Porto di Genova-Savona.
Solo Imperia e Sanremo sono rimasti per ora in mano a maggioranze di centro sinistra. Il Pd sembra come paralizzato: è un partito nel quale è emerso soprattutto lo spirito anti renziano, che catalizza le mosse in una sorta di “cupio dissolvi”. Ci hanno messo due settimane a decidere chi sarà il capogruppo in consiglio comunale, scegliendo poi la consigliera più votata, Cristina Lodi, una assistente sociale, fedelisssima di Pippo Rossetti, uno dei potenti assessori regionali del regno Burlando. Lui, l’ex governatore, che ha dominato per decenni la scena genovese e ligure, ha incassato anche la sconfitta genovese, dopo avere appoggiato lo sventurato concorrente di Bucci, Gianni Crivello, in silenzio. O, forse, nell’esilio politico in cui oramai vive, ha borbottato e rimuginato. Certo non ha gridato. Qui per ora grida, meglio “cria”, solo il sindaco Marco Bucci.