Genova: ko la Carige, ko la politica, ko la città

di Franco Manzitti
Pubblicato il 19 Ottobre 2013 - 07:57| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

Una questione di campanile, dietro i siluri che rischiano di ridurre a zero il potere locale nella banca, una vendetta di Scajola, che sta riemergendo in parte dalle sue catastrofi giudiziarie, che è fuori dal Parlamento, che ha perso perfino le elezioni locali di Imperia. Una specie di bacio della morte del leader che fino a un paio di anni fa dominava la Liguria e si permetteva di snobbare Genova capitale?

Troppo semplice ed anche ingiusto, perch: la politica ligure con la banca Carige e la sua Fondazione non ci ha capito nulla da anni d anni e le ha lasciate governare il credito e il territorio, per manifesta condizione di inferiorità. Berneschi, self mad man bancario, 57 anni in Carige, da sottoimpiegato a Doge, superficialmente definito banchiere-contadino, perchè guida un trattore durante le vacanze estive a La Spezia e Flavio Repetto, self made man imprenditoriale, di origine bassopiemontese, capace di salire dalle mense aziendali che organizzava alla conquista delle più prestigiose firme dell’industria dolciaria, sono state figure nettamente svettanti sul ceto politico della Liguria.

Claudio Burlando e Claudio Scajola, gli ultimi leader di sinistra e di destra rimasti in sella nella regione dove è nato il fenomeno delle 5 Stelle, avevano semplicemente trovato un accordo, sei anni fa, per sistemare qualche poltrona nei consigli della banca e della Fondazione, dove – colpo di genio – avevano addirittura piazzato anche un monsignore della Curia genovese di Angelo Bagnasco.

Scajola si accontentava di avere il fratello maggiore Alessandro nel ruolo di vice presidente della Carige, una posizione buona per tagliare nastri e ricevere qualche imprenditore a quel quattordicesimo piano del mitico grattacielo. E fino a quando era un ministro potente gli bastava compiacersi di “convocare” o Repetto o Berneschi nel suo ufficio imperiese, una piccola palazzina dietro un distributore di benzina. Loro prendevano l’autoblù e filavano sull’Autofuiori fino a Imperia-Porto Maurizio. Tutto sotto controllo signor ministro.

Burlando faceva prima: se c’era qualche problema con la banca, attraversava la piazza De- Ferrari e saliva con l’ascensore speciale nell’ufficio di Berneschi. Tutto sotto controllo, Claudio.

Quando Scajola ha incominciato a vacillare, “ a sua insaputa” e nel crollo del porto di Imperia tra Francesco Caltagirone Bellavista e la sua ex fidanzata, la vedova di Gianni Cozzi, un brillante deputato Udc purtroppo immaturamente scomparso, il cavaliere Repetto si era dispiaciuto a veder cadere il pilastro di Imperia, ma il suo gioco con la sponda politica e con quella finanziaria di Assicurazioni Generali e di Mediobanca era ben più solida che lungo la tratta dell’Autofiori verso Imperia.

Frequentatore delle cene riservate di pochi imprenditori con Berlusconi della prima era e addirittura suggeritore di Luca di Montezemolo in tempi più recenti, che bisogna c’era di qualche “ducetto” locale?

Quando Burlando si distraeva dalla politica per battere il territorio ligure nella sua missione di governatore (ha recentemente confessato in una lunga intervista a Wanda Valli di Repubblica che non “fa politica da dieci anni, troppo occupato di amministrare”, come se le due cose fossero incompatibili…) Berneschi, dall’ultimo piano del suo ufficio stellare, alzava un po’ più la voce ricevendo la fila di imprenditori, armatori, manager piccoli e grandi che veniva a chiedere aiuto non offerto dalla politica a chi opera in Liguria.

Il Terzo Valico, collegamento fondamentale per sviluppare le infrastrutture del porto e della città strangolata dal traffico non andava avanti? Berneschi si sgolava e urlava i suoi anatemi in perfetto zeneise scurrile e cercava lui le piste per far ripartire l’opera dai binari morti di amministrazioni che non decidevano neppure dove depositare lo smarino delle gallerie da scavare, i detriti a milioni e milioni di tonnellate.