Genova: ko la Carige, ko la politica, ko la città

di Franco Manzitti
Pubblicato il 19 Ottobre 2013 - 07:57| Aggiornato il 6 Marzo 2015 OLTRE 6 MESI FA

L’Università si scannava al suo interno per decidere se accettare o no la proposta di trasferire la sua Facoltà di Ingegneria nel costruendo villaggio high tech di Erzelli, finanziato con cifre da capogiro (si parla di 270 milioni di euro) dalla Carige? E l’intoppo stoppava la unica operazione di orizzonte aperto concepita in Liguria negli ultimi anni? Chi cercava di cucire? I tessitori politici che per mestiere avrebbero dovuto farlo, i sindaci di oggi, Marco Doria, una sorta di Forrest Gump tra le macerie genovesi e quelli di ieri come Marta Vincenzi, bravissima a organizzare debat public per conquistare il consenso popolare, meno pragmatica a decidere operativamente alcunch{, facevano come Penelope. O non c’erano o non ci facevano…

La patata bollente finiva su quel tavolo settecentesco del quattordicesimo piano di Berneschi, il quale con chi ne parlava? Ma con Repetto, un azionista di maggioranza della banca che il Doge non amava molto, ma con il quale il rapporto era diretto. O con il cardinale Bagnasco, che lo benediceva….Celebre la frase in genovese tra i due, di fronte alla candidatura a sindaco dell’ex senatore Enrico Musso, ex berlusconiano, poi liberal, oggi solo consigliere comunale di se stesso: “Ghe ne veu un atru”, ce ne vuole un altro. Il cardinale e il banchiere al posto della politica.

Insomma la politica in fase di disfacimento di questi anni e le categorie produttive, l’associazionismo imprenditoriale, ridimensionato dai tempi del Triangolo Industriale, pendevano solo dalle labbra della Superbanca.

Il presidente degli industriali degli ultimi quattro anni (il suo successore Giuseppe Zampini, ad di Ansaldo Energia, è stato appena piazzato nel consiglio della nuova Carige, dopo la decapitazione di Berneschi) il giovane Giovanni Calvini, espresso da una famiglia molto solida, con ditta di import export di frutta secca, poteva andarsi a prendere un buffetto e non molto di più dai banchieri, tanto è oggi il peso di Confindustria e il leader della Camera di Commercio, giunto al terzo mandato era Paolo Odone, di nota famiglia di commercianti, una quintessenza di Berneschi e del suo controllo di ferro sulle categorie camerali, che una volta avevano al centro il mare e il settore marittimo, ma ora navigano in settori terziari ben meno rigogliosi di affari, business e capacità di espansione.

Altro che januensis ergo mercator, genovese uguale mercante… Oggi i mercati sono tutti sotto gli ombrelli e cercano di ripararsi dalla crisi che grandina chiusure, fallimenti, trasferimenti, fughe oltre Appenino e oltre frontiera verso paradisi svizzeri, sloveni e polacchi.

Tutti a bussare alla porta di Berneschi e di Repetto, mentre la burocrazia e gli apparati amministrativi strangolavano sempre di più anche le più piccole iniziative imprenditoriali e commerciali e nessuno scendeva in campo dall’agone politico a smuovere le acque stagnanti.