Genova, la città più bersaniana d’Italia

di Franco Manzitti
Pubblicato il 28 Novembre 2012 - 14:06| Aggiornato il 29 Dicembre 2014 OLTRE 6 MESI FA
Genova, la città più bersaniana d’Italia

GENOVA – Nella città di Grillo, di don Andrea Gallo, prete superstar e, se vogliamo, anche di Sua Eminenza eccellentissima, monsignor Angelo Bagnasco, presidente della Cei, il candidato Bersani Pierluigi ha fatto il pieno più che in ogni altra metropoli italiana, arrivando al 53, 7 per cento. E il suo concorrente Renzi Matteo si è dovuto accontentare del 27 per cento, undici punti davanti al 16 per cento di Nichi Vendola. A Tabacci e alla Puppato poche briciole sotto la Lanterna. Aspettando il ballottaggio.

Governata da un sindaco marchese, Marco Doria, indipendente Sel, in una Regione dove regna da quasi otto anni Claudio Burlando, Pd, discendente dall’ombelico Pci più profondo, in sella dai primi anni Ottanta, questa Genova conferma anche nelle Primarie il suo primato (concedeteci il gioco ripetitivo delle parole) di roccaforte rossa inespugnabile.

Se Bersani vuol dire, come scrive su Blitz Mino Fuccillo, garanzia che tutto cambi per tornare come eravamo prima, venti, trenta anni fa, eccola qua la prova del nove nella città operaia, portuale, postfordista, alla deriva di un Nord Ovest dove il triangolo con Milano e Torino si è ancora di più spezzato e il Gemito diventa un rantolo del passato, ritmato dall’incubo dell’Ilva, che potrebbe chiudere e dell’Ansaldo venduta ai tedeschi. Le due grandi fabbriche che potrebbero esalare l’ultimo respiro industriale, tra un’alluvione e l’altra, tra un allerta e l’altro, in uno degli autunni più duri che si ricordino.

Ma che rantolo forte, potente, deciso, esce dalle urne primarie, che manda in visibilio gli apparatčik del Pd, una nuova generazione montata in sella, trentenni, corroborati dai vecchi sempiterni, che garantiscono la continuità amministrativa-politica-postideologica in secula seculorum!

Il rantolo del successo al primo turno di Pierluigi Bersani, che non a caso era venuto a chiudere la sua campagna nella Sala Chiamata del porto di Genova, la casa dei camalli, benedetta ancora dai ritratti di Marx, Lenin, oltre che a quelli di Guido Rossa e Paride Batini, diventa un inno permanente a questa continuità identitaria.

Guai a chi la tocca, guai al garantismo di una nomenclatura che perpetua se stessa a cerchi concentrici. I media locali già immaginano la scalata nel prossimo governo Bersani dei genovesi in spolvero: dal governatore Burlando, promosso ministro quindici anni dopo la sua prima esperienza, alle giovani new entry, dove furoreggiano le avvocate fiscaliste, Francesca Balzani, ex assessore al Bilancio, oggi eurodeputata e Sara Armella, presidente della Fiera del Mare. Sarete famose, o meglio, sarete sottosegretarie, vaticinano sotto la Lanterna, nel nome di Bersani e degli apparitikit.

Renzi, che pure era sceso a furoreggiare in un teatro stracolmo nello scorso inizio di novembre, ha un po’ dribblato Genova e lo farà anche nei blitz pre ballottaggio, anche se uno dei suoi sostenitori è il sindaco di Savona, Federico Berruti, Pd con forti ascendenze socialiste.

Ma si sa tra Genova e Savona, non è mai corso buon sangue da quando i genovesi interrarono il porto rivale. Non si può, quindi, sostenere che il rottamatore è riuscito a piantare una bandierina nel suo primo turno in Liguria, dove la distanza tra lui e Bersani si è un po’ ridotta solo a Savona e ancor più a Imperia, nota zona “bianca” tra le macerie del potere di Claudio Scajola, comuni commissariati per infiltrazioni mafiose e esplosive inchieste giudiziarie, “in primis” quella sul nuovo porto nautico. A Genova capitale gli unici successi del sindaco di Firenze si appuntano nella tormentata geografia cittadina in tre quartieri borghesi che di più non si può, quelli dove il Pd non aveva mai praticamente sfondato e dove Il Pci stesso non bussava neppure.