GENOVA – Forse la rivoluzione comincia qua, nella “strada dei re”, via Garibaldi, palazzi dei Rolli, patrimonio dell’Umanità, costruzioni nobili del Cinque-Seicento, cortili, marmi, statue, affreschi, scaloni. Uno di questi scaloni a palazzo Tursi, sede del Comune, lo hanno preso d’assalto quelli che fanno la rivoluzione e hanno assediato il sindaco di Genova Marco Doria, il “fu marchese rosso”, discendente del Grande Ammiraglio della Repubblica Cinquecentesca e lo hanno “murato” nel suo palazzo-reggia del Comune. Erano centinaia, hanno occupato il salone del consiglio Comunale, hanno sbattuto fuori i consiglieri, hanno invaso, calpestato, strombazzato in questa moderna Versailles del terzo millennio. Eccoli i nuovi rivoluzionari di questa età difficile in questa città paralizzata: sono i tranvieri, sì i tranvieri, un termine che non esisteva neppure più, i dipendenti dell’Azienda del Trasporto Pubblico, l’ Amt di Genova, la cui rabbia è straboccata come i fiumi in piena nel mese di novembre di tante alluvioni e ha sconvolto la città.
Da tre giorni Genova è senza autobus, bloccata, scioccata sembra una città irreale, chiusa da uno sciopero selvaggio contro il sindaco, la sua giunta di sinistra che non cambia la delibera comunale con la quale si prevede di poter anche privatizzare l’Amt per colmare un deficit, che senza provvedimenti drastici, porterebbe in gennaio al fallimento in tribunale di una società che ha quasi tremila dipendenti, che a fine anni Ottanta, quando è cominciato il calvario del suo dissesto cronico, ne aveva cinquemila cinquecento.
Tre giorni senza bus e oggi anche niente servizio di nettezza urbana, anche l’Amiu altra azienda, partecipata del Comune è in rivolta e a seguire c’è pure l’Aster, la società delle manutenzione pubbliche.
Una paralisi, una ribellione che hanno lanciato i tranvieri, invadendo il palazzo Tursi, bloccando il consiglio comunale, facendo urlare al “golpe” i gruppi politici che non si sono potuti sedere sui loro scranni nella mitica sala Rossa.
Genova è una città irreale. Ha 250 chilometri di linee di trasporto pubblico, tante quanto Milano, che ha tre volte la sua popolazione, ha ascensori pubblici che salgono sulle colline della sua orografia in ogni quartiere, ha funicolari che rimontano il salita verso le delegazioni “alte”. Tutto fermo in una tensione silenziosa, che anche se sei lontano dal cuore della città, dal cuore di quella “strada da re”, dove i tranvieri ora comandano, la palpi quasi fisicamente. La rivoluzione di una città che ha meno di seicentomila abitanti e una crisi esplosiva oramai devastante in ogni settore della sua vita economiva e sociale sembra davvero cominciata.
I cortei dei tranvieri percorrono il centro, tagliano le strade senza bus, piene di “camminatori” per forza, che cercano di raggiungere i posti di lavoro, le scuole, gli asili, vanno avanti e indietro. Si fermano a manifestare davanti ai palazzi del potere, aspettano che il prefetto medi una vertenza impossibile in cima a via Roma, la strada ex snob del centro elegante.
Il prefetto Vincenzo Balsamo non può mediare nulla perchè non c’è nulla da mediare. Nelle assemblee i tranvieri, tra bus parcheggiati, bus in riparazioni, bus smontati a pezzi perchè i soldi mancano e non si può riparare più nulla, respingono anche l’ordine di precettazione della Prefettura, che costa, se inevasa, 250 euro di multa a lavoratore. Sono tanto esasperati i tramvieri che ingoiano la multa, la paga perduta dello sciopero e girano la città alzando striscioni che crocifiggono l’amministrazione della città.
Doria, sindaco eletto diciotto mesi fa, capo di una giunta orientata verso la sinistra più radicale, ma sorretta da un Pd, che proprio domenica ha scelto nelle pre-primarie Cuperlo e non Renzi, è stretto in una morsa dalla quale non sa come uscire. Nel giorno dell’assalto al palazzo è sceso nella sala della Rivoluzione conclamata pallido come un morto. Ha dichiarato che quello non era più un consiglio comunale, ma una assemblea occupante alla quale lui non poteva dire nulla di più di quanto aveva già detto: l’Amt è alla canna del gas, sta per fallire, l’amministrazione comunale ha chiesto di patrimonializzarla per salvare un pezzo di deficit, ma non ha le risposte tecnico giuridiche per farlo, allora non c’è altra strada che tentare una soluzione diversa, fare entrare soci privati.
Gli hanno sparato addosso alzo zero, lo hanno coperto di insulti, quella parola “privatizzare” i tranvieri non la vogliono sentire e siccome non ce ne sono altre di soluzioni, hanno occupato il palazzo, “manu militari” e mentre il sindaco chiedeva soccorso inutile al prefetto, hanno sfilato per le strade allibite della città.
Tre giorni senza bus, senza ascensori, senza funicolari, come vado a scuola, come vado a lavorare? Il traffico di Genova si è bloccato per ore e ore ed è ko da tre giorni ininterrotti, perchè l’unica soluzione per chi ha l’automobile era usarla. Ore di code, la Sopraelevata, quella strada stupefacente che sorvola il centro storico e si affaccia sul porto antico , sbucando dagli svincoli delle autostrade si è bloccata per ore e ore, imbottigliando il resto di una circolazione impossibile da smaltire.
Tre giorni senza bus e tre giorni a cercare una soluzione che la politica non trova, perchè qui si sta sepellendo una esperienza di governo di sinistra, prima il Pci, poi i suoi eredi fino al Pd, che dura dal 1975 e che ha anche accompagnato il disastro del trasporto pubblico, affondando quella che oggi si chiama Amt e prima si chiamava Uite.
Non sanno che pesci prendere il sindaco Marco Doria, ex Rifondazione Comunista, oggi chissà che cosa e i suoi assessori, non sanno che pesci prendere i giovani turchi, cuperliani, renziani del Pd, il capogruppo Simone Farello, il segretario regionale Giovanni Lunardon, quello provinciale appena eletto Maurizio Terrile, che fulminerebbero il loro sindaco, con il quale quella politica “democratica” sta andando a fondo alla vigilia dell’inverno più duro che si ricordi. Ma non possono farlo perchè non sanno cosa succede domani a loro, al Pd, alla politica di una antica “primazia” oramai affondata sotto la Lanterna.
Tre giorni senza bus, senza chi raccoglie dalle strade la “rumenta” e chi mantiene la città, i giardini secchi, le strade dissestate, i parchi abbandonati e nessuna risposta. Doveva arrivare Matteo Renzi in visita pastorale invitato dal presidente della Regione, ex sindaco, ex ministro, ex deputato, ex segretario del fu Pci-Pds, Claudio Burlando, recentemente convertito al “renzismo” dopo essere stato per una vita dalemiano-bersaniano.
Ha declinato perchè come si fa a arrivare da leader in una città roccaforte rossa che ha anche scelto Cuperlo nel giorno della revolucion? E i tranvieri hanno sistemato anche il sindaco di Firenze con gli striscioni e le trombette: “Come fa a pretendere di governare lo stato italiano in crisi se non ha il coraggio di venire qui in una città con questi problemi?”
E allora hanno cercato di confrontarsi con Burlando, la massima autorità istituzionale della Liguria, visto che qui la Provincia l’hanno già cancellata e c’è un commissario e visto che il prefetto spara precettazioni a salve.
Burlando si è dileguato, come ha sempre fatto in questa vertenza che ha scottato le mani del sindaco e nella quale la Regione, invece, ha le sue responsabilità, essendo la Amt, da sempre o quasi, finanziata per il 65 per cento con i soldi pubblici tra i quali ci sono quelli della Regione.
E allora i cortei dei ribelli tranvieri hanno continuato a rimbalzare da una assemblea all’altra, percorrendo trasversalmente quella città grigia, attonita, surreale sempre di più. Dall’autorimessa di Staglieno, che sta a due passi dal Cimitero Monumentale, in riva al torrente Bisagno, quello delle alluvioni improvvise e rabbiose di tanti autunni lividi come questo, alle altre sparse per quel territorio genovese lungo e stretto, fino alle periferie oggi irraggiungibili lungo la costa di Ponente, dove non ci sono cimiteri di umani, ma di grandi fabbriche in crisi: l’Italsider di Riva dal destino incerto, l’Ansaldo che aspetta i diktat di Finmeccanica, l’Italcantieri che varò le grandi navi della nostra storia marinara e che sta lì a aspettare commesse e rilanci.
“Lottiamo anche per quelli che il posto di lavoro non ce l’hanno più” _ urlano i tanvieri in corteo_ noi che il posto ce lo abbiamo ancora ma non sappiamo per quanto ancora!”
Una città senza bus da tre giorni e che calcola almeno trecento posti tagliati nelle Amt, se arrivassero i privati, che a parole non vuole nessuno, neppure i passanti-camminatori, disperati che guardano con odio le pensiline vuote dei bus che non arrivano più. “Privato uguale rovina”, urlano i tranvieri in corteo e “sparano” striscioni sul disastro Alitalia, eccolo lì l’effetto della privatizzazione.
Ora i cortei assediano perfino le tv private, nell’ansia di trovare una interlocuzione, dove la politica non esiste più e una delegazione sale in cima al grattacielo di Genova, quello disegnato da Piacentini e costruito negli Anni trenta, quando Genova pensava di poter assomigliare a New York . La delegazione invade la redazione di “Primo Canale” al trentaquattresimo piano e va in diretta su questa emittente, il cui propietario è oggi un senatore di Scelta Civica, Maurizio Rossi, rampantissimo cinquantenne, “saltato” in politica. E usano la tv come un megafono per urlare gli slogan che scavalcano non l’etere ma la politica di una città semiaffondata, spandendosi sullo scenario a 360 gradi che si ammira da quel tetto, mentre il direttore della testata, Luigi Leone, cerca di contenere la rabbia, la protesta, invitando i tramvieri “ a tenere i nervi a posto”.
Tre giorni senza bus, come si fanno a tenere i nervi a posto in questa città? L’emergenza dell’Amt bolliva da anni. Il solo sindaco capace di affrontarla era stato, tra il 1997 e il 2007, il professor Giuseppe Pericu, espresso dal Pd, noto avvocato e docente che aveva imbarcato soci privati nella società pubblica, ingaggiando i francesi della Transdev e costruendo una bad company, l’Ami, che si era accollata la parte manutenzione dell’azienda per sgravare il settore trasporto. I conti stavano risistemandosi, ma questa politica era stata invertita dal sindaco che succedette a Pericu, la “pasionaria” Marta Vincenzi, che nel segno di una discontinuità totale con il professore fece saltare quel piano, provocando l’ uscita dei francesi. Poi tutto è precipitato. Il sindaco Marco Doria ha ereditato il patatrac mentre la crisi della finanza pubblica si acuiva e i tagli verticali, poi totali di Tremonti e poi solo di….Monti riducevano in poltiglia la finanza comunale. Altro che ripianare Amt.
Pericu si beccò pure un processo davanti alla Corte dei Conti per quella operazione che stava facendo galleggiare Amt. Marta Vincenzi è annegata nell’alluvione del novembre 2011, processata anche un po’ severamente per i sei morti travolti dalla piena, Marco Doria sta annegando nel maremoto dei tranvieri. Novembre è un mese maledetto a Genova e forse proprio da qua è incominciata la vera rivoluzione.
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